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Profondo Argento | I film, le ossessioni, i ricordi e un mistero chiamato Dario Argento

Dopo Panico, il regista si racconta a Roma in un altro documentario: Profondo Argento

Dario Argento e l'enigma che lo segue: Profondo Argento.

MILANO – Dopo aver visto all’ultima Mostra di Venezia il bellissimo Panico diretto da Simone Scafidi (ma che fine ha fatto?), alla Festa di Roma arriva un altro documentario su Dario Argento: Profondo Argento. Ma cosa significa davvero conoscere un uomo? E si può davvero conoscere un regista? Quando parliamo di Argento, la tentazione di considerarlo un amico di famiglia può essere forte: abbiamo visto tutti i film, da L’uccello dalle piume di cristallo (1970) fino a Occhiali neri (2022), e abbiamo esaltato le sue doti di maestro da Profondo Rosso (1975) in poi. Non solo: abbiamo anche divorato tutte le interviste a cui si è concesso con grande generosità, sappiamo chi sono i suoi figli, chi sono state le compagne, e quali sono i suoi film preferiti (grazie anche al programma di Rai Movie, 100 pallottole d’argento). Ma possiamo, per questo, dire di conoscerlo? Sappiamo rispondere alla domanda su chi sia, davvero, Dario Argento?

Profondo Argento
Dario Argento a casa sua in Profondo Argento.

La risposta è – ovviamente – negativa, e ad aiutarci a procedere più a fondo nella conoscenza di un autore oggetto di culto ci provano in 65 minuti di girato, Steve Della Casa e Giancarlo Rolandi (con la collaborazione di Luca Pallanch) in questo nuovo documentario, Profondo Argento, che verrà presentato in anteprima alla Casa del Cinema di Roma sabato 21 ottobre, nell’ambito della Festa del Cinema, prima della proiezione di Profondo Rosso. Senza la pretesa di coprire ogni aspetto della vita o della carriera del soggetto, di cui peraltro sappiamo ed è già stato detto molto, il tentativo è quello di fare un viaggio nel suo mondo usando un punto di vista privilegiato, più intimo rispetto ai precedenti tentativi di analisi e racconto del personaggio.

Profondo Argento
Il titolo del documentario nel frame d’apertura: Profondo Argento

Il luogo scelto come punto di partenza? La casa del regista, aperta per l’occasione, un punto fermo da cui si parte in un percorso ondeggiante, quasi fosse un componimento letterario-filosofico che procede per temi: il rapporto con il padre produttore e la madre fotografa (sarà lì che ha maturato la sua ossessione per il dettaglio?); gli inizi nel mondo del cinema come critico e sceneggiatore (pare abbia incontrato John Wayne in persona e Hitchcock in un ristorante, ma ricordiamoci anche le sue interviste a John Houston e Godard, oltre alla partecipazione alla scrittura di C’era una volta il west); il suo lavoro da regista in cui emergono la passione per la musica e l’architettura. E infine le amicizie, le figlie, ma si parla anche di gusti letterari, generi e di un piccolo segreto: l’amore per la comicità e il senso del comico, visto di recente anche in Cvlt, il corto di Salmo e Noyz Narcos in cui fa un’apparizione esilarante (lo trovate su Prime Video).

Argento sul set di Cvlt con Salmo e Noyz Narcos

Le vere protagoniste del documentario sono le ombre che hanno vissuto (e ancora vivono?) nei meandri dell’uomo Dario Argento, un regista che ha avuto la capacità di scavare dentro al suo inconscio, parlare con le sue (moltissime) paure e imparare ad avere con loro un rapporto, cercando di impadronirsene isolandole, definendole e provando a riprodurle facendole rivivere ai suoi spettatori. Argento è sin da ragazzo affascinato dall’espressionismo tedesco di Lang, dalla Nouvelle Vague, Hitchcock, dal giovanissimo Bellocchio e, soprattutto, Sergio leone, da cui ha imparato l’importanza della macchina da presa. Attraverso il Cinema, e con queste decisive influenze, Dario Argento trasforma quelle ombre in sentimenti universali, umani, riconoscibili da chiunque, perché raccontano quella componente animalesca presente in ciascuno di noi.

Tutto questo Argento lo fa senza intellettualizzare i suoi film, perché è un autore dotato di istinto, un puro istinto che gli permette di de-contestualizzare i suoi film rispetto al tempo e allo spazio. Da questo deriva, ad esempio, il suo rifiuto per un certo provincialismo del cinema politico che negli anni in cui emerge andava per la maggiore, troppo contestualizzato e che rinuncia per definizione all’universale. Pensiamo alle stranianti musiche prog-rock, alle ambigue ambientazioni delle storie che ci racconta (non è mai indicato un luogo preciso, ma sempre un non-luogo): Dario Argento non ha mai voluto raccontare un momento, una città, o un paese, ma sempre l’uomo come individuo astratto, umano per appartenenza ad una specie e a contatto con il suo inconscio, seduto nella solitudine di una sala cinematografica ad imparare a riconoscere quello di cui ha paura. Per questo, probabilmente, è stato uno degli autori italiani ad essere apprezzato moltissimo all’estero.

A guidarci nel viaggio, oltre alle immagini dei film e le location, Argento in persona, in una conversazione complice, impreziosita dal materiale dell’archivio. Insieme a lui, la figlia Asia (anche sua attrice in una manciata di film dal 1993 in poi), ma anche il cugino e fotografo Daniele Luxardo (che ha mosso i suoi primi passi come fotografo di scena in Profondo Rosso. Poi, uscendo dal perimetro familiare, ecco Donato Carrisi, il critico francese Jean-Francois Rauger e le interviste a tanti addetti ai lavori, da Guido Lombardo a un direttore della fotografia come Luciano Tovoli (se vista basta, è quello di Professione: Reporter, Suspiria, Pane e cioccolata e Bianca di Moretti) fino al compositore Franco Bixio. Da non perdere. Unica controindicazione: alla fine del documentario viene una incontenibile voglia di rivedere tutti i film di Argento, dal primo all’ultimo, in ordine cronologico.

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