MILANO – Un altro mondo, inaccessibile, anche (e soprattutto) ai mezzi di informazione e invece, grazie al coraggio di un uomo – il regista curdo-siriano Talal Derki – eccoci proiettati in una dimensione geopolitica incredibile. Di cosa stiamo parlando? Di Of Fathers and Sons – I bambini del califfato – documentario che potete vedere ora in flat su Prime Video – che dopo aver vinto il premio della Giuria al Sundance nel 2018, ha fatto poi il giro del mondo, diventando visione obbligata non solo per chi vuole comprendere il mondo, ma anche per chi pensa (a ragione) che il documentario sia il genere più vitale oggi sulla scena. Qui vediamo Derki fare ritorno in Siria, fingendosi un reporter di guerra simpatizzante con la Jihad per infiltrarsi nel fronte di Al Nusra, braccio siriano di Al Qaeda.
E allora, dopo qualche minuto, eccoci dentro, nella vita di guerriglia, nelle dinamiche con cui avviene la militarizzazione dei bambini. Dopo essersi fatto amico Abu Osama, capo del gruppo al fronte che combatte credendo fortemente nella Sharia, Talal trascorre del tempo con la sua famiglia e i suoi figli. Come in ogni parte del mondo, i bambini giocano a pallone, ma presto capiamo che quell’accenno di innocenza sarà destinato a sparire per sempre, molto brevemente. Tutto ciò che Derki sente e che accompagna la vita dei piccoli è infatti un perenne mantra: «La missione di Dio, la Jihad, il califfato».
I combattenti credono nella guerra come liberazione e sostengono che passerà molto tempo prima che ogni persona venga raggiunta dalla parola della Jihad. A un certo punto, sentiamo dire a Abu Osama: «Questa è una guerra di logoramento, ma non durerà per sempre». L’obiettivo del regista, ora costretto a vivere in esilio a Berlino e in fuga da quello che lui stesso ha raccontato, è di «testimoniare quale sarebbe stata l’eredità della guerra». Vediamo così i figli di Abu Osama, tutti con nomi che riprendono terroristi della storia.
Osama, il figlio più grande, ha solo 13 anni ma è destinato a seguire le orme del padre e ne accoglie il testimone quando si ferisce, disinnescando una mina. Il documentario segue gli anni di transizione dei bambini: già abituati a parlare con naturalezza di guerra, morte e pseudo-giustizia con le loro figure di riferimento, vengono subito mandati in un campo di addestramento, affinché entrino nelle milizie che combattono contro il regime. La telecamera e il regista spariscono sullo sfondo, mentre osserviamo i ragazzini sottoporsi a un crudele e feroce indottrinamento.
Momenti che colpiscono nel profondo le coscienze tanto che, a tratti, lo spettatore deve togliere gli occhi dallo schermo, troppo forte e diretta è la verità che viene servita, troppo dura la situazione psicologica da reggere. Nonostante sia ciò per cui sono sempre stati preparati, i protagonisti capiscono però che quello non è un posto per loro e di notte chiedono di potersene andare: «Non vogliamo più stare qui». Ma il condizionamento non lascia scampo e alla fine vediamo i bambini imbracciare un mitra e salire sui furgoni diretti al combattimento.
In quella «terra degli uomini che bramano la guerra», profondamente cambiata dalla patria che ricordava, Talal Derki riesce a colpire con il crudo e dettagliato realismo con cui mostra quello che avviene. Al di là della tremenda realtà, I bambini del califfato non riesce però a catturare cosa si celi nel profondo dietro l’ideologia jihadista e la sua diffusione. Una credenza così lontana dal nostro sentire e per questi fedeli più forte di qualsiasi immagine o parola. Qualcosa che forse per noi sarà sempre impossibile comprendere fino in fondo. Imperdibile, uno dei documentari più rilevanti degli ultimi dieci anni. Non perdetelo.
- I Am You | L’Afghanistan, i rifugiati e la speranza di un nuovo futuro
- HOT CORN PICKS | Dark Red, Kabul e un corto sull’emancipazione
- VIDEO | Qui il trailer del documentario:
Lascia un Commento