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Dead Man | Jim Jarmusch, Neil Young e l’importanza di rimanere irregolari

Dead Man, quel concerto in Arizona, i Nirvana, Eric Clapton e quei due folli nell’era dell’algoritmo

Jim Jarmusch e Neil Young.

MILANO – Saremo noi, sarà l’era digitale, sarà l’ossessione per i trend topics e gli hashtag, ma in questo tempo fragile dettato dall’algoritmo, chissà com’è, ma finiamo per amare sempre di più gli irregolari assoluti, quelli che non si allineano mai, semplicemente perché non sanno nemmeno cosa significhi allinearsi. Due dei principali rappresentanti della categoria sono senza dubbio Neil Young, un maverick totale, e Jim Jarmusch, artisti folli e liberi fino al limite dell’autosabotaggio, sempre in fuga da industria e costrizioni, noncuranti di mode o tendenze, sempre sinceri verso ogni piccola (o grande) cosa che fanno e che hanno fatto. Perché per loro non conta davvero altro.

Dead Man
Sul set: le sedie di Jarmusch, Depp, Gary Farmer e del direttore della fotografia, Robby Muller.

Così, adesso che finalmente arriva in streaming Dead Man, (lo trovate su Prime Video nell’abbonamento), non c’è miglior occasione per raccontare la storia di quella volta che Jim chiamò Neil, di come i due lupi selvatici si fiutarono e di come Young poi improvvisò la colonna sonora del film chiuso in un magazzino di San Francisco, mentre le immagini del film scorrevano davanti a lui (qui sotto c’è il video e potete sentire un brano della colonna sonora qui). Basterebbe questo per capire l’enormità del mito che ci sta dietro, ma ovviamente c’è molto altro, a partire dalla fascinazione di vedere insieme i due irregolari, che poi si scoprirono amici e si sarebbero ritrovati due anni dopo, nel 1997, su Year of the Horse, anche se quella volta fu Neil che chiamò Jim.

Johnny Depp in una scena di Dead Man.

Ma torniamo a Dead Man e alle (molte) suggestioni: da Johnny Depp all’apice del fascino a William Blake, tra Robert Mitchum (che due anni dopo sarebbe morto) a Iggy Pop vestito da donna, e poi la fotografia di un genio come Robby Müller (compare di Wenders) e Gabriel Byrne: «Mancava ancora una cosa però: la musica. Sono sempre stato un grande fan di Neil, soprattutto delle cose con i Crazy Horse, e sognavo di poterlo coinvolgere, ma ero sicuro sarebbe stato impossibile», scrive Jarmusch nelle note di produzione del film, che portò poi a Cannes il 27 maggio 1995. «La sua musica era ovunque: una sera durante le riprese andammo anche a Sedona, in Arizona, a vedere un suo concerto (il 22 ottobre del 1994, nda). Riuscii ad avere un po’ di biglietti e tramite vie traverse riuscii anche a incontrarlo, molo brevemente, dopo il concerto».

Dead Man
Neil Young e Jim Jarmusch nel 1996 agli Spirit Awards.

Immaginate quindi Neil e Jim, una sera di ottobre in Arizona con il regista che prova a spiegare quello che sta facendo e Young che lo guarda e gli risponde: «I don’t plan anything, non pianifico nulla». Così gli risponde di spedirgli il montato di quello che ha girato quando ha finito e poi si farà sentire lui. Eventualmente. Jarmusch obbedisce e, alla fine delle riprese, con Jay Rabinowitz, il montatore spedisce una prima versione del film. Passano tre giorni e poi il telefono di casa Jarmusch, a New York, squilla: «Sono Neil, ho visto il film, mi piace. Senti, prendi un aereo domani e vieni qui nel mio ranch che ne parliamo, d’accordo?». Inizia qui quella che diventerà la colonna sonora di Dead Man. Ma non solo.

Jarmusch sul set di Dead Man, ottobre 1994.

Young era rimasto folgorato dal film perché quel western esistenzialista in bianco e nero era (anche) roba sua, il William Blake di Johnny Depp è un loner come lui e capisce bene di cosa sta parlando. Jarmusch arriva al ranch e quella stessa sera a cena i due iniziano a parlare e si scambiano le idee. Il regista gli dice di ricordare una grande colonna sonora firmata da Eric Clapton per vecchio un film di Stephen Frears, Vendetta, costruita solo sulla chitarra elettrica di Clapton. Young ascolta, poi gli risponde che in realtà ha già pensato a cosa fare per Dead Man: chiamerà i due Nirvana rimasti (Cobain era morto pochi mesi prima, aprile 1994) e scriverà lo score insieme a Krist Novoselic e Dave Grohl. «Bene, mi sembra una buona idea, domattina ne riparliamo», risponde il regista. Poi i due vanno a dormire.

Jarmusch e Young nel 1997 per il documentario Year Of The Horse.

Al mattino dopo, Young e Jarmusch continuano il discorso e il regista dice che l’idea di coinvolgere i Nirvana gli sembra perfetta, ma a quel punto è il musicista ad aver cambiato idea: «No, no, molto meglio la tua. Suonerò io da solo con la chitarra elettrica». Così nacque la colonna sonora di Dead Man, un magma sonoro senza precedenti in cui Young improvvisa – chiuso in un magazzino di San Francisco convertito in studio – davanti alle immagini, costruendo un’architettura sonora che è, di fatto, un viaggio dentro il viaggio: «E ha portato il film ad un altro livello, non ho alcun problema a dirlo», scrive Jarmusch, «anche se non so come ha fatto: è andato in qualche luogo dentro di lui e ha scavato fino a quando non è tornato con tutto questo…». E allora: lunga vita agli irregolari. Sempre e comunque.

  • ROCK CORN | Quando la musica incontra il cinema
  • Qui Neil Young in fase di composizione di Dead Man:

  • Trovate qui le altre puntate della nostra rubrica Rock Corn

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