MILANO –«Aspetta, aspetta un attimo. Devo chiudere il file e aprirne un altro. Sono un ossessivo e quando faccio una cosa sono ossessionato solo da quella». Paolo Virzì è al montaggio del suo nuovo film, Siccità, e si distrae in maniera piuttosto faticosa. Riusciamo a convincerlo a prendersi dieci minuti via Zoom solo con un preciso motivo: celebrare i venticinque anni di Ferie d’agosto. «Come dici? Un buon motivo? Ma sì, questo poi lo stabilite voi. Spero lo sia. Io ne ho un buon ricordo, sicuramente». E allora facciamo un passo indietro: è il 5 aprile del 1996 quando Ferie d’agosto, seconda pellicola diretta da Virzì dopo La bella vita, arriva in sala. Mel Gibson ha appena vinto l’Oscar per Braveheart e poche settimane dopo Romano Prodi vincerà le elezioni con l’Ulivo. Un altro mondo, insomma.

Solo due anni prima Virzì era stata una delle rivelazioni della scena con La bella vita: Sabrina Ferilli, Massimo Ghini, un grandissimo Claudio Bigagli e la vittoria di David di Donatello, Nastro d’argento e Globo d’oro: «E proprio da lì arrivavo, da quell’opera prima triste, dolente e dolorosa sulla crisi sentimentale di una coppia operaia di Piombino. Il film ebbe una certa risonanza e quindi, poco tempo dopo, mi chiamò quella che era la major del momento: “Cecchi Gori Group”, che al tempo produceva anche film d’autore, ma soprattutto commedie spensierate e natalizie. Quindi mi posi il problema su quale potesse essere un mio progetto adatto per loro. Pensai che potevo infinocchiarli allestendo una commedia balneare che al primo colpo d’occhio potesse assomigliare ad una commedia dei Vanzina per nasconderci dentro qualcos’altro».

Quello fu il primo passo di Ferie d’agosto…
«Sì. Io e Francesco Bruni scrivemmo la sceneggiatura nel 1994 e poi girammo nella tarda estate del 1995. Per capire il film oggi bisogna però ricordare che venne scritto proprio nell’anno in cui ci fu una grande novità sulla scena politica italiana: la discesa in campo del tycoon Silvio Berlusconi, che di fatto spaccò l’Italia in due. Io e Francesco provammo a mettere in burla questa cosa, inserendo anche dei momenti di autocanzonatura rispetto ad amici che già vedevano il nostro Paese destinato a una specie di declino disperato. Insomma, saremmo finiti soggiogati dal regime televisivo che avrebbe spazzato via anche la grande cultura e l’umanesimo sociale della sinistra. In pratica era l’Italia del karaoke e di Colpo Grosso contro l’Italia dell’Unità e dell’impegno».

Ma la genesi di tutto da dove nasce?
«Nell’estate del 1994 andai in vacanza a Ginostra, nelle Eolie, posto bellissimo e scomodissimo, non c’era nemmeno la corrente elettrica. In un posto così scomodo e bellissimo la maggioranza dei turisti erano milanesi colti, un ceto medio riflessivo che sedeva sugli scogli lavici e aguzzi roventi sfogliando libri con bellissime copertine Adelphi (ride, nda). Un giorno però, arrivò da un’altra isola, probabilmente da Panarea, un motoscafo con dei bagnanti che ballavano su una canzonetta del periodo. Ricordo che io – come altri che erano con me, tra cui alcuni che sarebbero finiti nel film come Silvio Orlando, Gigio Alberti e Silvio Vannucci – provai un fastidio quasi fisico rispetto a questi personaggi che arrivavano e invadevano la nostra quieta baia quieta dove leggevamo le pagine di Joseph Brodsky (ride, nda)».

Quale fu l’apporto di Francesco Bruni, che sarebbe poi diventato regista?
«Francesco fu importante soprattutto nell’aiutarmi a prendere in giro quelli come me. Quando eravamo insieme al Liceo io ero il militante severo che presiedeva le assemblee d’Istituto, mentre lui era quello più leggero che preferiva la barca a vela e fidanzarsi con le belle ragazze. La cosa bella della collaborazione è che il tuo sguardo si allarga e assorbe anche quello degli altri».
Rivedere oggi Ferie d’agosto significa anche ritrovare due attori come Ennio Fantastichini e Piero Natoli, poi scomparsi troppo presto…
«E quanto erano divertenti: Ennio era un interprete drammatico che non aveva mai fatto commedia prima ed era celebre per il ruolo di cattivo in Porte aperte di Amelio, per cui aveva vinto anche un EFA. Piero invece si considerava un autore, era della generazione di Nanni Moretti e Peter Del Monte ed era stupito che il suo modo di parlare e stare in scena ci facesse sbellicare delle risate. Durante le riprese avevo capito che bastava dargli alcune parole con la S e diventata divertentissimo. E poi bastava metterlo in calzoni corti con canottierina da vacanza e l’effetto era garantito. Lui e Ennio furono una coppia irresistibile, ma devo dire che tutto il cast fu azzeccato».

Una delle scene più celebri è quella in cui proprio Fantastichini dice ai villeggianti di sinistra che non ci stanno più capendo nulla…
«Silvio Orlando e la sua comitiva erano il ritratto di un pezzo di umanità progressista, tollerante, aperta verso il mondo, ma che non era capace di digerire il vicino di casa, che sbagliava i congiuntivi e esibiva il cellulare. Il tema era colti contro spettatori televisivi, quindi il riflesso dello schema della dialettica politica di quegli anni, rispetto al passato dove la sinistra significava operai e braccianti e la cui tradizionale modalità di aggregazione erano le salsicce abbrustolite alla festa dell’Unità. Cos’era successo? Ripensandoci non era una vicenda solo italiana: due anni prima era uscito in Francia un film meraviglioso che si chiamava La crisi! di Colin Serrau e che raccontava in altro modo la crisi delle élite culturali e politiche in una stagione populista che, in parte, ancora stiamo attraversando».

L’ultima volta che hai visto Ferie d’agosto?
«Mai. Non l’ho più rivisto. No, non li guardo più i miei film. Anche nelle proiezioni pubbliche assisto ai titoli di testa e poi scappo via con la scusa di fumare una sigaretta. Torno solo ai titoli di coda. Perché? Ma perché mi fanno soffrire, li cambierei e li rifarei daccapo. Ricordo che Orson Welles diceva che se assisteva a un suo film finiva in cabina con la pressa e la taglierina per rimontarlo interamente. Riguardando i propri film si vedono solo i difetti…».
Quanto è cambiato Paolo Virzì in questi venticinque anni?
«Ripensando a quegli anni in realtà devo dire che non avevo capito nulla. Devo fare pubblica ammenda. Se dovessi verificare i pensieri di quel periodo adesso probabilmente non sarei d’accordo su quasi nulla di quello che pensavo nel 1996. Penso alla rivoluzione di Mani Pulite, penso all’assalto della magistratura ai partiti politici. Non è stato un bel momento e posso dire di non averne nostalgia, anche se ho un sentimento molto critico verso il presente».

Ma quindi il ricordo di Ferie d’agosto com’è? Positivo o negativo?
«Ho un ricordo molto bello del periodo di lavorazione. Abitai a Ventotene per un sacco di tempo, da agosto a novembre del 1995, in una casetta di pescatori modesta ma stupenda. Eravamo solo noi, il cast e la troupe, una comunità vivace e affiatata, tra amori, litigi e risate. Fu forse il set più divertente tra tutti quelli che mi sono capitati. Solitamente non mi diverto mai. Mai. Durante le riprese soffro fisicamente, perché il mestiere del regista è un mestiere ossessivo, in cui ti ritrovi a notte fonda a pensare a come girare una scena. Io solitamente vivo il set talmente male che alla fine mi ammalo. Dal set di Ferie d’agosto tornai invece sano e perfino abbronzato. Ripensandoci ora, avrei dovuto girare tutti i miei film in condizioni del genere…».
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