MILANO – «Una foto è una piccola voce, nella migliore delle ipotesi, ma a volte – solo a volte – una fotografia o un insieme di scatti possono portare i nostri sensi alla consapevolezza», sosteneva W. Eugene Smith, leggendario fotoreporter di guerra che ora rivive ne Il caso Minamata, grazie al talento (ritrovato?) di Johnny Depp dopo la cacciata dalla Hollywood che conta. Presentato nella sezione Special Gala della Berlinale quasi tre anni fa e poi smarrito nel nulla, il biopic firmato da Andrew Levitas arriva ora finalmente il in streaming – su CHILI qui – e svela la vera storia di un fotografo che, attraverso il suo fedele obbiettivo, raccontò al mondo le drammatiche conseguenze dell’avvelenamento da mercurio.
Nel 1971 su incarico del direttore della rivista Life Robert Hayes (Bill Nighy), Eugene abbandonò la sua vita da recluso per recarsi nel Sud del Giappone. Più precisamente a Minamata, dove la popolazione affrontava ogni giorno gli effetti di un disastro ambientale senza precedenti, dovuto alla condotta illegale della Chisso Corporation. Nonostante i suoi problemi di alcolismo e gli strascichi fisici e psicologici di una ferita al volto causati da una granata che lo colpì nel 1945, Eugene realizzò alcuni degli scatti migliori della sua carriera, lottando fianco a fianco con i cittadini di Minamata che volevano vedere riconosciuti i propri diritti.
«Spero che sia una rappresentazione di Gene accurata, per quanto sono riuscito a
ricavare informazioni su di lui grazie a tutto ciò che ho letto e all’incontro con le persone che lo conoscevano come Aileen (la moglie di Smith che nel film ha il volto di Minami, Nda)» ha spiegato Depp. Per l’occasione l’attore – che ha creduto al progetto a tal punto che è anche il produttore di Il caso Minamata – ha scelto di invecchiarsi, abbandonando le maschere caricaturali e le interpretazioni sopra le righe che hanno fatto la sua fortuna.
«Eugene era un tipo complesso. Un po’ pazzo, un’ po genio. Era un bohémien che è entrato in una cultura così calma, serena e pacifica. Lui era una bomba a orologeria: aveva un tale dolore dentro che avrebbe fatto di tutto per sfuggire a quella sensazione. Ma penso che Minamata lo abbia aiutato ad aprirsi di nuovo». Inevitabilmente il pensiero va quindi anche alle vicissitudini personali e professionali del divo, tra i processi e le cause finalmente terminate. E allora forse l’intuizione: e se Il caso Minamata avesse salvato il pirata Depp?
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