MILANO – Esponente della Nuova Hollywood, autore irregolare, sempre in bilico tra blockbuster e indipendenza, capace di classici e flop meravigliosi. William Friedkin – scomparso a 87 anni il 7 agosto scorso – durante la sua carriera ha compiuto una rivoluzione cinematografica senza precedenti, spesso raccontata poco (e male, malissimo). Per ricordarne l’assoluta grandezza noi di Hot Corn nella nostra rubrica Doc Corn (trovate qui le altre puntate) abbiamo rispolverato un notevole documentario tutto italiano, Friedkin Uncut – Un diavolo di regista, scritto e diretto da Francesco Zippel, ora in streaming su Prime Video, Apple TV e CHILI. La pellicola, presentata a Venezia nel 2018 e candidata come miglior documentario ai David di Donatello, è la fotografia di un artista assoluto, un elogio alla grandiosità della sua arte che ha travolto il pubblico senza troppe filosofie o teoremi, ma sempre mostrando, trascinando, sconvolgendo.
Classe 1935, figlio di ebrei ucraini, Friedkin – che si è anche raccontato in un bellissimo libro, Il buio e la luce. La mia vita e i miei film, lo trovate qui – nacque a Chicago (e John Cusack lo ha ricordato bene su Twitter) e si affacciò al mondo dello spettacolo con un semplice ruolo di montatore in un’emittente TV. Fu la visione di Quarto Potere di Orson Welles a fargli esplodere la passione per il cinema. «Fu in quel momento che capii quale forza potesse avere un film. Quelle immagini erano entrate in profondità nella mia anima, senza scampo…». Cominciò così la sua avventura da regista che debuttò nel 1967 con Good Times, film su commissione su un celebre duo musicale come Sonny & Cher, seguito da tre commedie che nulla lasciavano presagire ciò che verrà dopo: Festa di compleanno (da Harold Pinter), Quella notte inventarono lo spogliarello e Festa per il compleanno del caro amico Harold (da un’altra pièce). Nel 1971, inatteso da un regista con un tale percorso, il primo capolavoro: Il braccio violento della legge.
La rivoluzione di Friedkin inizia da Gene Hackman (ve l’abbiamo raccontata in un Longform qui): realismo, spettacolo e azione sullo sfondo di una buia New York e una misteriosa questione di narcotraffico. Hackman è formidabile, Roy Scheider e l’inseguimento più famoso della storia fanno il resto prima che arrivino cinque Oscar, tra cui quelli a film e regia. Basterebbe questo, invece due anni dopo, Friedkin dirige un altro cult, L’esorcista, con cui trascina il pubblico in un incubo, passo dopo passo. «Perché è la realtà ciò che spaventa di più», disse. Risultato? 440 milioni di dollari di incasso, dieci nomination e due Oscar vinti. Eppure – e nel documentario si dice – sono i passi falsi a far comprendere la grandezza (e la libertà) dell’uomo: Il salario della paura con Roy Scheider (1977) e Cruising con Al Pacino (1980) – entrambi introvabili in streaming – furono due flop ma rivisti oggi (e lo dice Tarantino in Friedkin Uncut) sono eterni.
Oltre a Tarantino, nel documentario ci sono Wes Anderson, Dario Argento, Damien Chazelle, Matthew McConaughey (ma lo ricordate in Killer Joe?) e Francis Ford Coppola, tutti a raccontare un regista riuscito a segnare un’era, stravolgendo la nostra prospettiva e sopravvivendo alla morte visto che tra poco vedremo a Venezia il suo ultimo film, The Caine Mutiny Court-Martial (ve ne abbiamo parlato qui). Un artista che prese spunto dalla realtà per non uccidere la sorpresa, un uomo libero e irregolare che non si è mai fatto schiacciare dalla pressione, non concedendo quasi mai un secondo ciak, puntando tutto sulla spontaneità. Un autore che per anni la critica non ha riconosciuto come tale, capace di dirigere video come Self Control di Laura Branigan (sì, e lo ritrovate qui) e film come Jade, di intervistare Fritz Lang su Goebbels e di immaginare un altro cult come Vivere e morire a Los Angeles…
- LONGFORM | Vivere e morire a L.A., il ritorno alle origini di Friedkin
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- VIDEO | Qui il trailer di Friedkin Uncut:
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