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Vincent Deve Morire | Stéphan Castang, Karim Leklou e la violenza come infezione del Mondo

Tra Romero e Carpenter, un survival horror urbano tutto da scoprire. Dal 30 maggio al cinema

Karim Leklou in una scena di Vincent deve morire, un film di Stéphan Castang, dal 30 giugno al cinema con I Wonder Pictures
Karim Leklou in una scena di Vincent deve morire, un film di Stéphan Castang, dal 30 giugno al cinema con I Wonder Pictures

ROMA – La vita scorre placida e senza sorprese per Vincent. Finché, d’un tratto e senza apparente motivo, dei perfetti sconosciuti iniziano ad attaccarlo con chiari intenti omicidi. Il numero dei suoi aggressori sale giorno dopo giorno: basta uno sguardo e tutti vogliono la sua testa. Costretto alla fuga, l’uomo si trova così coinvolto in una spirale di violenza inspiegabile e del tutto fuori controllo. Ma come puoi difenderti, se il tuo nemico è il mondo intero? Tra Zombi e La città verrà distrutta all’alba di Romero e il Carpenter di Essi vivono, un survival horror sorprendente e mozzafiato in cui nessuno è mai al sicuro. Vincent deve morire di Stéphan Castang con Karim Leklou e Vimala Pons, dal 30 maggio al cinema con I Wonder Pictures.

Karim Leklou in un momento di Vincent deve morire
Karim Leklou in un momento di Vincent deve morire

Un titolo che è tutto un programma. Da qui la domanda: Perché Vincent? Perché proprio lui? La risposta di Castang è sorprendente: «Dal tirocinante al postino, tutti cercano di ucciderlo appena lo vedono, senza alcun motivo. Eppure Vincent è un personaggio banale, un graphic designer che vive a Lione. Non è né simpatico né antipatico, è abbastanza soddisfatto di sé, ma niente più. Perché tutta questa violenza gratuita? Non lo sappiamo e ognuno è libero di avere la sua opinione al riguardo. Per Vincent, la domanda porterà velocemente a un’altra: Quanto tempo mi resta?. È grazie a questo interrogativo, proprio quando è intento a sopravvivere, che troverà un senso. Tutto era già nello script di Mathieu Naert, insieme alla promessa di qualcosa di bizzarro».

Karim Leklou e Vimala Pons in una scena del film
Karim Leklou e Vimala Pons in una scena del film

Merito, in tal senso, del concept atipico di un Vincent deve morire dalla componente tonale variegata e multicolore, perfettamente bilanciata: «Siamo dovuti rimanere fedeli ai codici di genere, nonostante questo non sia propriamente un film di genere, abbiamo dovuto giocare con questo mix, trovare il giusto equilibrio per creare armonia tra i vari generi. I diversi toni emergono dalle situazioni in cui Vincent si trova e dalla violenza gratuita di cui è vittima. A un certo punto, la paranoia si crea spontaneamente, poi si passa al film giallo e infine a quello d’azione/di zombie. E dal momento che i personaggi sono persone normali e non sanno lottare, spesso le scene sono goffe, confusionarie, al limite del burlesco. Non si può definire una commedia, ma c’è dell’ironia».

Vincent deve morire di Stéphan Castang, dal 30 maggio al cinema con I Wonder Pictures
Vincent deve morire di Stéphan Castang, dal 30 maggio al cinema con I Wonder Pictures

E qui entriamo nel cuore della narrazione di Castang, perché è la sottile ironia che scorre lungo le pieghe del racconto di Vincent deve morire a rendere possibile la mistura tonale esplosiva di un’opera drammatica negli eventi raffigurati, orrorifica nella cornice di genere, eppure surreale al limite dell’assurdo. Il motivo? La violenza, e come questa si rapporta al corpo filmico: «L’ironia del film sottostà alla violenza della nostra società e quella dell’assurdità a cui dà vita. Ciò che mi piace dell’assurdo è che permette di ridere di questioni serie senza sminuire, per questo, la tragicità, o ridicolizzarne gli intenti. Per me, però, la violenza più brutale del film è quella psicologica e sociale subita da Vincent. Diventa un bersaglio, fa sospettare di lui, suscitando incomprensione anziché empatia».

Vimala Pons in una scena del film
Vimala Pons in una scena del film

Che poi è esattamente il sintomo, o per meglio dire, ciò che Castang vuole denunciare attraverso Vincent deve morire. La complessa componente narrativa del racconto permette a Castang di dar forma a un’opera straordinaria e solo apparentemente indecifrabile in termini critici, che nel servirsi dei codici del genere survival horror va infine a svilupparsi come feroce allegoria dei nostri tempi incerti. La violenza paralizzante, furiosa e cieca subita da Vincent, come esteriorizzazione (al limite) dell’indifferenza e quindi di individualismo e arrivismo – e della relativa crisi di valori del singolo – e come ognuno di essi vada a inquinare l’animo umano sino a disintegrarne lo spirito a lungo andare. È esattamente questo che Castang vuole comunicare allo spettatore tra le pieghe della sua opera: di sentimenti anestetizzati.

Un momento del film
Un momento del film

Di quelli benevoli perlomeno, di quelli che fanno crescere l’individuo e non l’annientano. Non a caso, a detta dello stesso Castang: «Vincent deve morire non è un film post-apocalittico, bensì pre-apocalittico, in riferimento a quella che si potrebbe quasi definire un’apocalisse intima», o in altri termini: L’Alba dei Morti Viventi della società d’oggi. E quindi le suggestioni romeriane, quei due Leklou e Pons intensi e dalla recitazione fisica e quell’ultimo sguardo, alla fine, dove nonostante il nichilismo e la solo apparente rassegnazione, Castang cerca di dare un anelito di speranza ai sopravvissuti di un mondo in preda al caos. Un film imperdibile, Vincent deve morire, esistenziale e adrenalinico. Un instant-cult destinato alla grandezza e alle memorie del tempo.

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