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Un Uomo Da Marciapiede | Jon Voight, Dustin Hoffman e le memorie di un cult

Everybody’s Talkin’, il rating, John Schlesinger, Bob Dylan e la suggestione Elvis Presley. Su Prime Video

Jon Voight, Dustin Hoffman e il cuore di Un uomo da marciapiede, un film di John Schlesinger del 1969
Jon Voight, Dustin Hoffman e il cuore di Un uomo da marciapiede, un film di John Schlesinger del 1969

ROMA – Intanto la musica, perché, a cinquantacinque anni di distanza da quel 25 maggio 1969 che lo vide in anteprima al Coronet Theatre di New York, il retaggio parla chiaro. Senza quella colonna sonora, molto probabilmente non saremmo qui a parlare di Un uomo da marciapiede di John Schlesinger negli stessi termini. E forse nemmeno sarebbe arrivato a vincere l’Oscar per il Miglior film l’anno successivo. Nonostante oggi sia inevitabile associarlo a Everybody’s Talkin’ di Harry Nilsson, infatti, in origine non sarebbe dovuto essere quello il tema musicale del film, ma Lay, Lady, Lay di Bob Dylan. A causa di alcuni ritardi nella composizione, però, Schlesinger accantonò l’idea optando per un brano di Nilsson: I Guess the Lord Must Be in New York City, composto per l’occasione e poi però scartato in favore di Everybody’s Talkin’ fino a quel punto brano provvisorio per la post-produzione. Inizia da qui il nostro nuovo Longform – trovate qui le puntate precedenti – che questa volta ci porta alla riscoperta di un capolavoro assoluto.

Jon Voight in una scena di Un uomo da marciapiede
Jon Voight in una scena di Un uomo da marciapiede

Partiamo dall’Oscar, perché quello fu un Oscar storico per chi non lo sapesse. Un uomo da marciapiede è stato, infatti, il primo e unico film con rating X (per soli adulti) ad essere stato insignito dell’ambita statuetta. Lo stesso Schlesinger, dal canto suo, non riusciva a crederci: «Secondo molti non avremmo dovuto vincere, il film non fu mai approvato dalla vecchia guardia. Dovemmo lottare contro tutti. Poi ci diedero la X, ma nemmeno questo ci ha fermati. Non tagliammo nulla dal film. Ci nominarono e vincemmo!». Quella X fu vista come una condanna fin dall’inizio. La MPAA propose alla United Artists di eliminare alcune sequenze e distribuire Un uomo da marciapiede – che ora trovate in flat anche su Prime Video – con rating R (minori di 16 anni accompagnati da un adulto), ma lo studio non ne volle sapere, nonostante il timore concreto di non riuscire a recuperare minimamente l’investimento visto che alla Berlinale nel 1969 il film fu addirittura fischiato, mentre venne premiato Ciao America! di Brian De Palma.

Un uomo da marciapiede di John Schlesinger fu presentato negli Stati Uniti il 25 maggio 1969
Un uomo da marciapiede fu presentato negli Stati Uniti il 25 maggio 1969

Ad un certo punto si pensò perfino di distribuirlo attraverso la Lopert Pictures, società sussidiaria, ma avrebbe significato darla vinta al sistema. Fu rating X quindi, sapendo che questo avrebbe precluso alcuni canali della filiera distributiva come il passaggio televisivo. Incredibilmente, però, il film fu uno dei pochi a non cadere sotto la scure della National Catholic Office for Motion Pictures che lo ritenne «Forte, sorprendente, a tratti magistrale, moralmente ineccepibile, una celebrazione della dignità dell’uomo». Divenne rapidamente una pietra miliare nella crescente discussione sulla necessità di salvaguardare i film d’autore vietati ai minori. Non a caso, fu proprio grazie al caso mediatico scaturito che la MPAA decise di ampliare il limite d’età del rating R ai 17 anni, in modo da consentire l’inclusione di film di maggiore qualità nella categoria e di assegnare il rating X esclusivamente sulla base della natura discutibile di singoli elementi narrativi.

Jon Voight e Dustin Hoffman in un momento del film
Jon Voight e Dustin Hoffman in un momento del film

E infatti, all’indomani dell’Oscar – e forte dei suoi 20 milioni e mezzo di dollari al box-office world-wide – la United Artists sottopose nuovamente il film alla valutazione dei censori finendo con l’essere riclassificato come rating R, e quindi ridistribuito senza tagli. Questo perché Un uomo da marciapiede, in un modo o nell’altro, aveva dimostrato di essere molto di più di un (semplice) film per adulti infarcito di polemiche sulla classificazione censoria. Era il prodotto del suo tempo, un figlio diretto della New Hollywood e della sua creatività travolgente. Perché non si può definire altrimenti un’opera come quella di Schlesinger, capace di racchiudere nel concatenamento armonioso di immagini crude e allusive, la più pura e poetica espressione del Sogno Americano che quella stagione new-hollywoodiana ricordi. Specie nel raccontarlo attraverso il volto e il corpo di quel Joe Buck (Jon Voight) alla ricerca di libertà e vita nella Grande Mela.

Una scena del film
Una scena del film

Dalla cittadina rurale alla metropoli caotica, il cuore puro e ingenuo del Buck di Schlesinger viene progressivamente abbattuto nello spirito e nel corpo da una New York mai così alienante, deviante, diffidente e illusoria, che ne riduce in brandelli il Sogno sino a spingerlo in una spirale sanguinosa e disillusa di violenza e ambiguità valoriale. Un’autentica caduta libera in un baratro esistenziale fatta riflettere da Schlesinger in un graduale abbassamento del tono del racconto il cui dispiego dell’intreccio viene scandito da un incedere episodico di incontri con individui sempre più rotti, sbandati e privi di un qualunque equilibrio. Tutti in collisione con Buck e la sua anima spezzata, il cui unico appiglio finisce con l’essere l’amicizia disperata con quel Rico Rizzo (Dustin Hoffman) claudicante, altrettanto deviante e dalla caratterizzazione colorita, eppure romantico nella sua ricerca di una vita migliore, anche solo pensando di provarci.

Jon Voight e Brenda Vaccaro in una scena di Un uomo da marciapiede
Jon Voight e Brenda Vaccaro in una scena di Un uomo da marciapiede

Perché nel finale, in quel viaggio climatico in pullman non meno rilevante in termini mitologici di quello de Il Laureato di Mike Nichols di due anni prima – e altrettanto incerto e dubbioso – Buck e Rizzo si avventurano verso l’ennesimo nuovo inizio – stavolta in direzione Miami – la cui solo apparente ciclicità strutturale viene interrotta sul più bello dal caso orchestrato dallo script di Schlesinger, tra un evento luttuoso fuori campo entrato di diritto nella storia del cinema per la brutalità d’esecuzione e quel fermo immagine che cristalizza nel tempo il destino di Joe Buck, lasciandone il compimento nel buio dei titoli di coda. Un’opera straordinaria nella sua semplicità e immediatezza, Un uomo da marciapiede, resa leggenda da un Voight intenso e fragile e da un Hoffman allo stato dell’arte da Metodo, protagonisti di un’autentica gara recitativa di talento purissimo divenuta immortale a mezzo filmico.

Un uomo da marciapiede: il leggendario climax
Un uomo da marciapiede: il leggendario climax

Su ammissione dello stesso Hoffman, in un’intervista al Los Angeles Times rilasciata all’indomani della distribuzione in sala: «Eravamo come Marvin Hagler e Sugar Ray Leonard, due combattenti che si danno battaglia. Sapevamo che il film dipendeva dal legame tra noi. Durante le riprese, ci dicevamo l’un l’altro, con gli angoli della bocca, come un combattente in un clinch: Amico, è questo il meglio che sai fare?» E fu alchimia vera quella tra Hoffman e Voight sul set di Un uomo da marciapiede. E dire però come, lungo il suo tortuoso processo creativo, le cose avrebbero potuto prendere ben altra piega. Nell’agosto del 1965, subito dopo la sua pubblicazione, il romanzo di James Leo Herlihy fu proposto a diversi studi cinematografici per un possibile adattamento. Tutte le principali majors rifiutarono la proposta, inclusa la United Artists secondo cui l’inerzia del racconto era costantemente in discesa. Questo fino all’ottobre dell’anno successivo.

Jon Voight in una scena del film
Jon Voight in una scena del film

In quell’anno, il presidente dello United Artists, David V. Picker, decise di acquistare i diritti di utilizzazione economica dell’opera originaria e di dare il via libera produttivo stanziando un milione di dollari di budget per la resa filmica di Un uomo da marciapiede. Per la regia, il primo e unico nome fu quello di Schlesinger che di suo era già a conoscenza del romanzo dal 1965 di Darling e per cui aveva già manifestato interesse al progetto coinvolgendo l’executive Joseph Janni e la MGM – Metro-Goldwyn Mayer, ma fu un buco nell’acqua. Non solo Janni rimase tutt’altro che colpito dal romanzo arrivando a borbottare: «Sei pazzo? Questa è roba da fro*i, distruggerà la tua carriera!», ma la MGM si disse disponibile a produrlo purché nelle forme di un film musicale con Elvis Presley come Joe Buck e Sammy Davis Jr. come Rizzo! Ovviamente non andò mai in porto la trattativa.

Jennifer Salt e Jon Voight in un momento del film
Jennifer Salt e Jon Voight in un momento del film

Elvis, tra l’altro, pur interessato (e molto) alla parte di Buck, era già in accordo con la NBC Universal per Change of Habit, ennesimo flop della sua carriera cinematografica (inedito in Italia) dove divise la scena con Mary Tyler Moore. Quindi Un uomo da marciapiede per come oggi lo conosciamo, con un indomito Schlesinger che un paio d’anni dopo, nel pieno della lavorazione di Via dalla pazza folla, chiese un secondo parere al produttore Jerome Hellman: «Ho letto un libro che è davvero insolito… vorrei che tu lo leggessi e mi dicessi cosa ne pensi». Hellman lo fece e lo trovò affascinante. Accettò al volo la proposta, ma capì da subito che sarebbe stato molto difficile da realizzare. Dello stesso parere la United Artists che tuttavia decise di proseguire con la produzione, specie considerando che Schlesinger ed Hellman vennero loro incontro in termini economici.

Jon Voight e Bob Balaban in una scena del film

Accettarono, infatti, di tagliare – e di molto – una parte dei stipendi in cambio di una percentuale sui profitti e per una ragione ben precisa: «Il flop di Via dalla pazza folla mi rese un po’ nervoso, ci si aspetta che uno ottenga sempre grandi successi qui a Hollywood. Francamente, temo che quel terribile vecchio adagio secondo il quale il tuo valore corrisponde a quello del tuo ultimo film fosse davvero l’atteggiamento corrente. Credevo poco alle cose che la gente diceva e inoltre sapevo anche che Un uomo da marciapiede era un progetto dannatamente buono». Parallelamente, la United Artists assunse il drammaturgo Jack Gelber prima e quel Walt Salt inattivo dagli anni Cinquanta a seguito del Maccartismo poi per darvi forma scrittoria. Ben presto, purtroppo, ai piani alti della United Artists si resero conto che per portare a casa il progetto, un milione di dollari non sarebbe bastato.

«Hey i'm walkin here!»
«Hey i’m walkin here!»

Almeno il doppio, per renderlo un progetto appetibile: 2 milioni e mezzo di dollari per la precisione e a Schlesinger fu concesso – come tipico dell’epoca New Hollywood – controllo artistico totale e final cut privilege in post-produzione. A quel punto si trattava solo di scegliere gli ideali Joe Buck e Rico Rizzo. Per il primo si fecero sotto Warren Beatty, Robert Redford, Kiel Martin, Van Heflin, Harrison Ford, Jon Voight ma soprattutto – incredibile a dirsi oggi – Michael Sarrazin che ottenne il ruolo nonostante gli altri pretendenti. A seguito di alcune dispute salariali, però, Sarrazin abbandonò Un uomo da marciapiede nel giro di un paio di settimane, per poi ripiegare con Non si uccidono così anche i cavalli? di Sydney Pollack. In seconda battuta ecco Lee Majors, che tuttavia dovette rinunciare a seguito del rinnovo per una seconda stagione del serial La grande vallata.

Dustin Hoffman in una scena di Un uomo da marciapiede
Dustin Hoffman in una scena di Un uomo da marciapiede

Quindi la terza scelta, ovvero quella definitiva. Quel Jon Voight che da principio sarebbe dovuta essere la prima e sola per Schlesinger. Solo che Voight scoprì di avere non pochi problemi a riprodurre l’accento texano (e Joe Buck è da lì che proviene nda). A detta di Schlesinger: «Portò con sé un registratore quando siamo andati per la prima volta a Big Spring, in Texas, per fare un po’ di pianificazione della pre-produzione. Ricordo che iniziò a registrare le voci dei texani che ho intervistato per fare delle piccole parti nel film. Poi ci fece impazzire riproducendo incessantemente i nastri sulla via del ritorno a New York. Fortuna vuole che per quando arrivammo a casa riuscì a riprodurre perfettamente il suo accento texano». Discorso diverso per il ruolo di Rizzo. Fu la produzione a proporre Hoffman dopo il successo de Il Laureato. Film che lasciò Schlesinger particolarmente freddo.

Jon Voight in un momento del film
Jon Voight in un momento del film

La differenza la fece un incontro faccia a faccia in un locale nei pressi di Times Square voluto da Hoffman: «Gli chiesi di incontrarci lì per potermi vestire come il personaggio, con un impermeabile sporco… Mi ero tirato indietro i capelli o qualcosa del genere… John mi guardò, si guardò intorno e disse: Ti ho visto solo nel contesto de Il laureato ma penso che te la caverai abbastanza bene» che era quello che auspicava Hoffman. Temeva, infatti, che il pubblico pensasse che nel film di Nichols stesse interpretando sé stesso. Voleva fortemente la parte di Rizzo, la vedeva come la giusta occasione per mostrare le sue potenzialità da attore caratterista. La sua presenza nel cast de Un uomo da marciapiede fu annunciata da Variety, il 21 febbraio 1968. Una sorpresa che non fu accolta esattamente nel modo migliore da Mike Nichols.

Nei cinema italiani Un uomo da marciapiede è stato distribuito il 21 ottobre 1969
Nei cinema italiani Un uomo da marciapiede è stato distribuito il 21 ottobre 1969

«Sei impazzito o cosa? Ti ho reso una star con quel film Dustin! Questo è un brutto personaggio, è una parte di supporto per Jon Voight, perché ti stai sabotando?!?» gli disse, ma non accadde niente del genere, anzi. Scelse bene Hoffman. Un uomo da marciapiede gli fese spiccare il volo, dando il via a quel periodo d’oro degli anni Settanta che da John e Mary a Kramer vs. Kramer passando per Piccolo Grande Uomo, Cane di Paglia, Papillon, Lenny, Tutti gli uomini del Presidente, Il Maratoneta e Vigilato speciale, finirà con il renderlo un autentica stella del firmamento hollywoodiano come pochissimi altri interpreti della sua generazione. Lo stesso potrà dirsi per Voight, prossimo alla consacrazione con Un tranquillo weekend di paura, del 1972 – cult targato John Boorman – ma quella è tutta un’altra storia…

  • LONGFORM | Un tranquillo weekend di paura, cinquant’anni dopo
  • REVISIONI | Il Laureato, rileggere il capolavoro di Mike Nichols
  • VIDEO | Qui per il trailer del film: 

 

 

 

 

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