ROMA – Karoline (Vic Carmen Sonne), una giovane operaia, sta lottando per sopravvivere nella Copenaghen del Dopoguerra. Quando si ritrova disoccupata, abbandonata e incinta, incontra Dagmar (Trine Dyrholm), una donna carismatica che gestisce un’agenzia clandestina di adozioni, aiutando le madri a trovare case affidatarie per i figli. Non avendo nessuno a cui rivolgersi, Karoline assume il ruolo di balia. Tra le due donne si forma un forte legame, ma il mondo di Karoline va in frantumi quando si imbatte nella verità dietro il suo lavoro. Presentato in concorso a Cannes 77 e diretto da Magnus von Horn, The Girl with the Needle è una storia inquietante su una donna che lotta per trovare l’amore e un senso di moralità nel mondo là fuori. Lo trovate su MUBI e siamo sicuri che ne avrete già sentito parlare.

Si tratta, infatti, di uno dei film che compongono la cinquina per la corsa al Miglior Film Internazionale agli Oscar 2025 – Io Sono Ancora Qui, Emilia Pérez, Il Seme del Fico Sacro e Flow gli altri – e il cui vincitore verrà assegnato il prossimo 2 marzo. Nel mezzo, per buona pace del grande escluso Vermiglio che avrebbe meritato almeno la nomination, c’è proprio il sorprendente The Girl with the Needle descritto dall’autore come: «Una favola per adulti che affronta un argomento vicino noi: gli indesiderati e cosa dobbiamo fare con loro. Con questo film ho voluto esplorare la possibilità di essere buoni all’inferno». È prima di tutto un film sull’empatia quello di von Horn, ma anche sulla ricerca di bellezza negli angoli più bui del mondo, e sul bisogno d’amore degli uomini.

Liberamente ispirato a una spaventosa storia vera, tra l’altro, quella della serial killer Dagmar Overbye – la più famigerata della storia danese – che all’inizio del Novecento manipolava madri povere inducendole ad affidare alle sue cure, come figli adottivi, i loro figli indesiderati, per poi ucciderli a sangue freddo. Della narrazione di The Girl with the Needle occupa parte del suo corposo terzo atto, ma è solo uno dei tanti episodi che vanno a comporre il racconto. Non è esattamente di un crime che parliamo, né di un dramma storico, perché quello di von Horn è cinema purissimo e inclassificabile capace di trascendere gli eventi narrati e incapsulati nelle sue immagini di un bianco-e-nero spettrale interpretabile come assenza di colore piuttosto che come effettivo monocroma, per arrivare a noi come fiaba per adulti onirica e rocciosa.

Una storia di uomini dalle forme mostruose – ma buoni – e di uomini-mostri solo apparentemente eleganti e distinti, The Girl with the Needle, di streghe mangiabambini e codardi senza pudore alcuno, di idilli, imprevisti e percorsi impervi, e di orrori celati agli occhi perché avvengono solo nel silenzio di vicoli deserti. Componenti di cui von Horn si serve per incidere una riflessione universale – e quindi, per definizione, senza tempo – sulla natura marcia e irrimediabilmente danneggiata degli uomini e le loro maschere cangianti, e sull’amore come unico baluardo e strumento possibile da opporre alla cattiveria della privazione di colore del mondo. Un film spirituale e terreno – bellissimo – un poema per immagini, decisamente il film con cui emozionarsi – e per cui fare il tifo – alla notte degli Oscar.
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