MILANO – Se è vero che al cinema di Walter Salles, abbiamo sempre o quasi associato il tema del viaggio, basti pensare al folgorante Central do Brasil e ai due successivi I diari della motocicletta e On the Road, è altrettanto vero che l’indagine autoriale, propria di Io sono ancora qui, il suo decimo lungometraggio da regista, sembri negare almeno in superficie tale declinazione narrativa, per poi dichiararla in seguito, seppur diversamente, rispetto a quanto fatto in precedenza. Ecco perché il viaggio in questo caso, appartiene alle complessità della mente e mai alla linguistica convenzionale, dunque geografica del road movie classico. Salles ne esplora le derive, i suoi cortocircuiti e poi tutti quei processi di pensiero, che pur osservando il dolore, la rabbia, la frustrazione e l’impossibilità di reagire alle violenze del potere e in qualche modo, perfino del destino, sconfinano nell’inevitabile e necessario raggiungimento della luce. Quella che resiste oltre il buio e oltre il dolore. Quella che permette ancora e per sempre d’essere uomini e donne, non più maschere, né tantomeno burattini a servizio del regime. Una luce generata dall’amore e dalla forza dell’umanità.

A sei anni di distanza dal colpo di Stato del 1964, il Brasile fotografato da Salles è estremamente ambivalente. Da una parte la spiaggia, l’armonia, l’amicizia e la monotonia della vita familiare. Dall’altra la paranoia, i complotti, il terrore e la violenza di stato. Chi resta in silenzio di fronte alla sempre più dannosa intolleranza socio/politica della dittatura militare, è colpevole. Proprio come lo è, chi sceglie di gridare e ribellarsi all’ingiustizia ormai tristemente generalizzata, perpetrata in primo luogo dall’esercito e poi dai semplici cittadini. La famiglia Paiva, pur mostrandosi inizialmente armoniosa e inattaccabile, vive sotterraneamente un doloroso conflitto morale, scaturito proprio dall’ambivalenza folle, eppure reale di quella colpevolezza. Com’è possibile non fare niente? Com’è possibile restare passivi e non tentare mai la via del cambiamento e della rivoluzione silente? D’altronde si è colpevoli che si faccia qualcosa, oppure no. Ecco perché Rubens sparisce, ecco perché la vita di Eunice muta inesorabilmente. Qui la svolta. Prima c’è stata la vita, poi la sua privazione. Cosa sarà dopo?

Il grande quesito che Walter Salles ci pone è proprio questo. Nel farlo, affida una risposta mai totale e doverosamente parziale, per quanto sentita, personale e dolorosa, alla prova interpretativa titanica della sua protagonista Fernanda Torres. Qui vero e proprio pilastro di un sistema che crolla inesorabile, poiché sprovvisto di principi ed esempi, capaci di arrestarne la caduta e il graduale fallimento. Fernanda, che veste i panni inizialmente logori – c’è una svolta improvvisa che è qualcosa di davvero angosciante, ansiogeno e rivelatore – e poi sempre più celebrati di Eunice Paiva, è un vero e proprio viaggio che compie dinanzi ai nostri occhi. Un viaggio nella memoria e nei luoghi della mente, che interfacciandosi con la violenza, non può far altro che divenire oscuro, per poi sconfinare ed osservare non tanto il perdono, quanto la necessità di ribellarsi ancora e per sempre alla violenza subita e alla ferocia dello stato, pur sempre battendo la via dell’umanità. Ecco che improvvisamente, quel viaggio diviene un cammino di speranza, resilienza e tenacia, intrapreso da chi una notte, ha posato gli occhi sulla morte da molto vicino, sentendone il sussurro sinistro ed osservandola perfino sul pavimento insozzato e macabro di una delle tante camere della tortura realizzate ad hoc dalla dittatura del periodo. Tanti, troppi corpi. Eppure, mai alcun nome.

In tal senso, Salles sembra rivolgere lo sguardo al Villeneuve di La donna che canta, realizzando il suo film più maturo, compiuto e sofferente sul significato più profondo di privazione e prigionia, che è fisica e prima ancora dell’anima. Non è comune poi che il cinema di denuncia socio/politica, risulti capace di intrattenere i suoi spettatori alla stregua di un thriller, o di un film dalle molteplici sorprese e svolte. Eppure, Io sono ancora qui di Walter Salles, ci ricorda il Costa-Gavras di Missing – Scomparso, il Campanella dello splendido Il segreto dei suoi occhi e come detto Villeneuve, La donna che canta, nel suo incedere senza sosta, in un percorso di scomode e tragiche verità, circondate però da moltissima dolcezza e maturità emotiva. Sulla forza unica di una madre e più in generale di una donna, che per anni ha saputo sorridere della morte, impartendo la medesima lezione ai figli. Perché mostrarsi sofferenti e rabbiosi, quando si può gridare al mondo d’essere ancora qui, attraverso il peso simbolico di un sorriso e non di un lacrima, o peggio di un viso e corpo malridotto? Quando si ha ancora tempo e modo di amare, non farlo sarebbe infantile, ingenuo e ancor peggio, ingiusto. Lo sanno bene Eunice e il figlio Marcelo.

La morte può attendere, nel frattempo resta la vita e così il ricordo di quell’uomo e padre di famiglia, che per le sue idee politiche, un giorno come tanti è stato costretto a lasciare casa, senza più farvi ritorno. Torna il quesito principale, poiché la forza di reagire, non appartiene a tutti in egual misura: Dopo il dolore e la morte, cos’è che resta? Altra vita? Altro amore? Oppure altro dolore e solitudine? La risposta di Salles è chiara. Vale lo stesso per la nostra. Ad ogni spettatore però, è richiesto un doveroso gesto di ascolto, attesa e comprensione. Io sono ancora qui è un film che brucia lento, ma non appena il meccanismo si attiva, non c’è altro da dire se non, che grande cinema questo, che grande autore Walter Salles. Prestatevi al suo cammino, è un viaggio che vale la pena d’essere vissuto. Presentato in anteprima mondiale alla 81ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove ha vinto il Premio alla Miglior Sceneggiatura, Io sono ancora qui potrebbe rappresentare ormai sempre più concretamente il Brasile all’imminente edizione degli Oscar 2025 nella categoria Miglior film internazionale. In Italia invece, arriverà al cinema con Bim Distribuzione, a partire da giovedì 30 gennaio. Da non perdere.
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