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Emilia Pérez | Selena Gomez, Zoe Saldana e la danza di Jacques Audiard

Golden Globes, EFA e presto gli Oscar: Abbiamo già il film dell’anno! Dal 9 gennaio al cinema

Un dettaglio del bellissimo poster di Emilia Pérez: Dal 9 gennaio al cinema con Lucky Red
Un dettaglio del bellissimo poster di Emilia Pérez: Dal 9 gennaio al cinema con Lucky Red

ROMA – Un’auto in fiamme sul fondo di un canyon messicano, corpi ormai decomposti o ridotti soltanto ad un mucchio d’ossa, cui difficilmente qualcuno darà un nome, oppure un’età e forse un giorno quel qualcuno arriverà. Forse. Potrebbe mai trattarsi di chi un tempo è stato mandante diretto e spietato di tali atti violenti e definitivamente crudeli? Potrebbe e Jacques Audiard non si nasconde e non ci nasconde questa ipotesi. Al contrario, assume di sé una piena, controversa e divertita libertà, che esplora senza confini e limiti di sorta, derivazioni e suggestioni di uno spazio creativo e narrativo, che non soltanto coincide con il reale, senza mai sfiorare il documentaristico, ma anche con l’immediato. Ma dopo la vittoria a Cannes, e i due Golden Globes vinti (Miglior film commedia o musical; Miglior attrice non protagonista) a fronte di dieci nomination ai Golden Globes e gli EFA vinti, Emilia Pérez è davvero già il film dell’anno? Potrebbe. In attesa del 9 gennaio dove arriverà al cinema con Lucky Red, vi spieghiamo perché.

Karla Sofia Gascón in una scena del film
Karla Sofia Gascón in una scena del film

Emilia Pérez fotografa e incide ferocemente il presente, poiché il digitale, al pari della pellicola resta inciso e folgorato dalla memoria delle immagini e dalla forza visiva e concettuale del cinema stesso. Guidato dallo sguardo del suo autore, a trent’anni dal primo film, la pellicola non si limita ad un inevitabile e doveroso citazionismo cinematografico, ma anche e soprattutto ad un atto rivoluzionario, che solo un maestro può portare a termine, il ribaltamento dei toni e conseguentemente dei ruoli. E chi prima di Audiard ha coraggiosamente esplorato l’oltre-frontiera e la terra di nessuno in mano ai cartelli e ancor più a un Dio senza nome, che tollera violenza e sangue sulla terra arida, è stato di recente Taylor Sheridan nella saga di Yellowstone, in compagnia del suo regista Denis Villeneuve. Ci ricordiamo di Sicario? Abbiamo le idee chiare inizialmente, ma vale lo stesso anche al sopraggiungere dei titoli di coda?

Zoe Saldaña in una scena di Emilia Pérez
Zoe Saldaña in una scena di Emilia Pérez

Difficilmente non si amerà la mutazione, la scoperta dell’amore e della serenità, da parte di chi un tempo è cresciuto e vissuto nella sola violenza e nella convinzione che il sangue, fosse l’unico pegno da pagare e l’esclusivo bottino da riscuotere, insieme al denaro, alle armi e alle partite di droga. Eppure, il cambiamento, che Audiard svela lentamente e spietatamente, poiché contrapposto ad un’altra trasformazione, quella della giovane avvocatessa protagonista, Rita Mora Castro (Zoe Saldana mai così emotiva, carnale e disperatamente fragile), cui il denaro incrina logiche e forse perfino le ferree linee morali, inizialmente inattaccabili e in seguiti vacillanti, sfida e aggredisce lo spettatore. Perché ci riesce così facile parteggiare per la crudeltà? Lo facciamo, pur non volendolo, lo facciamo e lo troviamo liberatorio, per certi versi perfino sessuale. Accade questo lasciandosi andare al meraviglioso film di Audiard, a patto di affidarsi totalmente alla visione, senza imporsi mai alcun freno, fisico o emotivo che sia.

Emilia Pérez, un film di Jacques Audiard, in concorso a Cannes 77
Emilia Pérez, un film di Jacques Audiard, dal 9 gennaio al cinema con Lucky Red

Perdiamo d’occhio il bene e il male, perché sappiamo essere superato sia il primo, che il secondo. Preferendo di gran lunga la zona d’ombra. È all’interno di questa infatti, che si muovono e (soprav)vivono le protagoniste di Emilia Pérez. Un cinema sul femminile, che pur raccontando e mostrando l’uomo, non può che interrogarlo instancabilmente sull’inutilità e l’ingenuità del suo essere villain, colmo di corazze, catene d’oro appese al collo e sfilate di guardie del corpo, che vivono al suo posto, mostrandogli protezione, quando invece è soltanto una trappola, una prigione emotiva. La stessa che sembra circondare l’esistenza di Jessi (Selena Gomez, dà prova d’essere interprete capace, sprofondando in un’oscurità di sadismo e vigliaccheria senza fine), che tornando in Messico, dopo anni d’apparente e illusoria latitanza in Svizzera, per il bene di una famiglia, che deve necessariamente tornare ad essere tale, perde la libertà, pur avendola raggiunta, nonostante le differenti trasformazioni, dell’uno, Juan “Manitas” Del Monte/Emilia Pérez (Karla Sofía Gascón, la sua è già l’interpretazione dell’anno), o dell’altra, Jessi/Rita Castro. Un cortocircuito geniale, che ci racconta molto sul sottobosco criminale, parodiandolo quasi, seppur con grande eleganza.

Nel cast anche Édgar Ramírez
Nel cast anche Édgar Ramírez

Audiard per la prima volta, priva il suo cinema di paletti e costrizioni, vivendolo appieno. Per questo la danza tra i moltissimi registri e linguaggi narrativi di Emilia Pérez risulta così vitale, armoniosa e dinamica. Il musical è soltanto uno dei moltissimi luoghi e punti di passaggi, di quelli meravigliosi, impeccabilmente coreografati e metaforici. La danza e il canto, si affacciano qui non sulla bellezza e lo splendore del musical canonico, piuttosto sulla violenza, la morte e lo squallore. Audiard, con passo rivoluzionario e ribelle, affida dunque proprio alla danza e al canto, le verità più crudeli e macabre del film. Quelle più ciniche e adulte, svelando atti di corruzione, pedofilia, narcotraffico, stupro e dolore, tra una strofa e l’altra di pezzi musicali incredibilmente orecchiabili, incisivi e apparentemente spensierati.

Selena Gomez in un momento del film
Selena Gomez in un momento del film

Dopo di che riappare l’amore. Il tono però non è armonioso, al contrario, tormentato. Il passato non dimentica ed è sempre pronto a tornare. Verità questa, che le tre donne protagoniste conoscono fin troppo bene, accettandola come promessa mortifera di un’esistenza fragile e incessantemente in bilico tra trasformazione e crollo definitivo, tornando dunque a quell’auto in fiamme, sul fondo del canyon messicano, che forse ha messo fine al dolore di qualcuno, o altrimenti di nessuno, generando nuova vita e così inavvertiti inizi. Il male qui non guarda in volto nessuno e al tempo stesso tutti, riflettendo sul narcotraffico, così come sul peso effettivo delle crisi matrimoniali, la necessità di reinventarsi, di superare sé stessi ribellandosi al dolore e sul significato profondo di corruzione morale. Cosa siamo disposti a fare, in assenza di qualsiasi freno o limite, tanto economico, quanto emotivo/sentimentale? Forse tutto, forse niente. Audiard propende per la prima risposta e con lui quanti di noi?

Zoe Saldaña in una scena di Emilia Pérez
Zoe Saldaña in una scena di Emilia Pérez

Il decimo lungometraggio da regista di Audiard, nell’adattare liberamente il romanzo Écoute di Boris Razon, dà vita ad un cinema personale, commovente, spietato e libero come non mai, che prende il volo a suon di proiettili e brani musicali, senza mai voler atterrare. Un cinema sospeso, magico e irripetibile. Una memorabile danza di morte, alla quale abbiamo la fortuna di presenziare, osservando il dolore, ma preferendogli di gran lunga l’amore. Quello che anima e muove Emilia Pérez e più in generale, il cinema, il grande cinema. Audiard di certo ne è artefice da tempo e non intende affatto correre il rischio d’essere dimenticato. Potrebbe mai accadere? No, mai. Soprattutto oggi. Segnatevi la data…

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