ROMA – Un’auto in fiamme sul fondo di un canyon messicano, corpi ormai decomposti o ridotti soltanto ad un mucchio d’ossa, cui difficilmente qualcuno darà un nome, oppure un’età e forse un giorno quel qualcuno arriverà. Potrebbe mai trattarsi di chi un tempo è stato mandante diretto e spietato di tali atti violenti e definitivamente crudeli? Potrebbe e Jacques Audiard non si nasconde di fronte a tale ipotesi. Al contrario, assume di sé una piena, controversa e divertita libertà, che esplora senza confini e limiti di sorta, derivazioni e suggestioni di uno spazio creativo e narrativo, che non soltanto coincide con il reale, senza mai sfiorare il documentaristico, ma anche con l’immediato.
Il presente, che Emilia Pérez fotografa e incide ferocemente; poiché il digitale, al pari della pellicola resta inciso e folgorato dalla memoria delle immagini e dalla forza visiva e concettuale del cinema stesso; guidato dallo sguardo del suo autore, non si limita ad un inevitabile e doveroso citazionismo cinematografico – chi prima di Audiard, ha coraggiosamente esplorato l’oltre-frontiera e la terra di nessuno in mano ai cartelli e ancor più a un Dio senza nome, che tollera violenza e sangue sulla terra arida, poiché è così che forse sopravvive, è proprio il Taylor Sheridan di Yellowstone Saga, in compagnia del suo regista Denis Villeneuve. Ci ricordiamo di Sicario? -, ma anche e soprattutto ad un atto rivoluzionario, che solo un maestro può portare a termine, il ribaltamento dei toni e conseguentemente dei ruoli.
Abbiamo le idee chiare inizialmente, ma vale lo stesso anche al sopraggiungere dei titoli di coda? Difficilmente non si amerà la mutazione, la scoperta dell’amore e della serenità, da parte di chi un tempo è cresciuto e vissuto nella sola violenza e nella convinzione che il sangue, fosse l’unico pegno da pagare e l’esclusivo bottino da riscuotere, insieme al denaro, alle armi e alle gigantesche partite di droga. Eppure, il cambiamento, che Audiard svela lentamente e spietatamente, poiché contrapposto ad un’altra trasformazione, quella della giovane avvocatessa protagonista, Rita Mora Castro (Zoe Saldana mai così emotiva, carnale e disperatamente fragile), cui il denaro incrina logiche e forse perfino le ferree linee morali, inizialmente inattaccabili e in seguiti vacillanti, sfida e aggredisce lo spettatore. Perché ci riesce così facile parteggiare per la crudeltà? Lo facciamo, pur non volendolo, lo facciamo e lo troviamo inspiegabilmente liberatorio, per certi versi perfino sessuale. Accade questo lasciandosi andare al meraviglioso film, di Audiard, a patto di affidarsi totalmente alla visione, senza imporsi mai alcun freno, fisico o emotivo che sia.
Perdiamo d’occhio il bene e il male, perché sappiamo essere superato sia il primo, che il secondo. Preferendo di gran lunga la zona d’ombra. È all’interno di questa infatti, che si muovono e (soprav)vivono le protagoniste di Emilia Pérez. Un cinema sul femminile, che pur raccontando e mostrando l’uomo, non può che interrogarlo instancabilmente sull’inutilità e l’ingenuità del suo essere villain, colmo di corazze, catene d’oro appese al collo e sfilate di guardie del corpo, che vivono al suo posto, mostrandogli protezione, quando invece è soltanto una trappola, una prigione emotiva. La stessa che sembra circondare l’esistenza di Jessi (Selena Gomez, dà prova d’essere interprete capace, sprofondando in un’oscurità di sadismo e vigliaccheria senza fine), che tornando in Messico, dopo anni d’apparente e illusoria latitanza in Svizzera, per il bene di una famiglia, che deve necessariamente tornare ad essere tale, perde la libertà, pur avendola raggiunta, nonostante le differenti trasformazioni, dell’uno, Juan “Manitas” Del Monte/Emilia Pérez (Karla Sofía Gascón, la sua è già l’interpretazione dell’anno), o dell’altra, Jessi/Rita Castro. Un cortocircuito geniale, che ci racconta molto sul sottobosco criminale, parodiandolo quasi, seppur con grande eleganza.
Audiard per la prima volta, priva il suo cinema di paletti e costrizioni, vivendolo appieno. Per questo la danza tra i moltissimi registri e linguaggi narrativi di Emilia Pérez risulta così vitale, armoniosa e dinamica. Il musical è soltanto uno dei moltissimi luoghi e punti di passaggi, di quelli meravigliosi, impeccabilmente coreografati e metaforici. La danza e il canto, si affacciano qui non sulla bellezza e lo splendore del musical canonico, piuttosto sulla violenza, la morte e lo squallore. Audiard, con passo rivoluzionario e ribelle, affida dunque proprio alla danza e al canto, le verità più crudeli e macabre del film. Quelle più ciniche e adulte, svelando atti di corruzione, pedofilia, narcotraffico, stupro e dolore, tra una strofa e l’altra di pezzi musicali incredibilmente orecchiabili, incisivi e apparentemente spensierati.
Dopo di che riappare l’amore. Il tono però non è armonioso, al contrario, tormentato. Il passato non dimentica ed è sempre pronto a tornare. Verità questa, che le tre donne protagoniste conoscono fin troppo bene, accettandola come promessa mortifera di un’esistenza fragile e incessantemente in bilico tra trasformazione e crollo definitivo, tornando dunque a quell’auto in fiamme, sul fondo del canyon messicano, che forse ha messo fine al dolore di qualcuno, o altrimenti di nessuno, generando nuova vita e così inavvertiti inizi. Il male qui non guarda in volto nessuno e al tempo stesso tutti, riflettendo sul narcotraffico, così come sul peso effettivo delle crisi matrimoniali, la necessità di reinventarsi, di superare sé stessi ribellandosi al dolore e sul significato profondo di corruzione morale. Cosa siamo disposti a fare, in assenza di qualsiasi freno o limite, tanto economico, quanto emotivo/sentimentale? Forse tutto, forse niente. Audiard propende per la prima risposta e con lui quanti di noi?
Il decimo lungometraggio da regista di Jacques Audiard, nell’adattare liberamente il romanzo Écoute di Boris Razon, dà vita ad un cinema personale, commovente, spietato e libero come non mai, che prende il volo a suon di proiettili e brani musicali, senza mai voler atterrare. Un cinema sospeso, magico e irripetibile. Una memorabile danza di morte, alla quale abbiamo la fortuna di presenziare, osservando il dolore, ma preferendogli di gran lunga l’amore. Quello che anima e muove Emilia Pérez e più in generale, il cinema, il grande cinema. Audiard di certo ne è artefice da tempo e non intende affatto correre il rischio d’essere dimenticato. Potrebbe mai accadere? No, mai. Soprattutto oggi.
- INTERVISTE | Jacques Audiard racconta il film
- HOT CORN TV | Emilia Pérez, qui il trailer:
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