ROMA – Troppo qualificata e sovrasfruttata, Rita usa il suo talento di avvocato al servizio di una grande azienda più incline a riciclare i criminali che a servire la giustizia. Ma davanti a lei si apre una porta d’uscita inaspettata, che aiuterà il leader del cartello Manitas a chiudere l’attività e a realizzare il piano che segretamente perfezionava da anni: diventare finalmente la donna che aveva sempre sognato di essere. Presentato in concorso alla 77esima edizione del Festival di Cannes, con Emilia Pérez, Jacques Audiard prosegue nella rivisitazione dei codici del suo cinema, offrendo un’inattesa e fin qui inesplorata ambientazione latinoamericana. Un thriller che è poliziesco e commedia musicale. Nel cast Selena Gomez, Zoe Saldaña, Karla Sofia Gascón, Édgar Ramírez e Adriana Paz.
LA MUSICA, IL MESSICO – «Nel primo lockdown mi serviva uno scopo, così ho letto un romanzo di Boris Razon intitolato Écoute. In questo c’era un capitolo che parlava di un narcotrafficante che voleva cambiare identità. Un tema che non è stato sviluppato molto nel romanzo, ma che mi aveva colpito molto. Ho semplicemente sviluppato quell’idea in Emilia Pérez. Mi è venuta in mente una specie di opera, ci è voluto del tempo per trasformarla in un film. C’è una ragione del perché ho scelto di raccontarla in Messico e proprio in spagnolo. Qualcosa, del Messico, mi sconvolge profondamente. Ci sono tutti questi problemi, le persone scomparse, i femminicidi, tutte le regioni, i posti dove non puoi andare perché non sono sicure, il crollo della democrazia è per me insopportabile. Volevo fare un musical, volevo che la gente cantasse e ballasse, quindi perché non sullo sfondo di una tragedia».
LE RICERCHE –«Beh, anche se molto realistico, non vedo Emilia Pérez come una sorta di documentario sul Messico. Non è un documentario. Abbiamo molti documentari che sono molto meglio documentati. Semplicemente ho letto molta letteratura messicana, ho ascoltato musica messicana, ho visto molti film. Ciò che avete visto penso sia davvero il risultato dell’immaginazione e del modo in cui sento cose, le percepisco. Ho un rapporto molto poetico con il Messico, è esattamente quello che dicevano prima i miei amici. Come detto prima c’è qualcosa di schizofrenico nel Messico, nella sua cultura, nei suoi costumi, nelle persone, che trovo estremamente magnetico».
LA CONDIVISIONE – «Sì, un film come Emilia Pérez può definirsi come un lavoro collettivo. Faccio film e non sono solo a farlo, è così che vanno le cose. Di solito lavoro con un co-sceneggiatore e poi abbiamo una squadra, attori, attrici, tecnici. Un film non può che essere un’opera collettiva. Alcuni angoli sono più grandi di un triangolo. Quando siamo tutti insieme le idee si scambiano, prendono forma e vita. Questa è la mia visione. Se faccio film è per incontrare gente, per stare con la gente, altrimenti sarei molto solitario, quasi un misantropo».
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