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The Animal Kingdom | Romain Duris, l’intuizione di Thomas Cailley e un’altra idea di futuro

La società, le creature, la famiglia e quella colonna sonora: ma perché è un film da non perdere?

The Animal Kingdom
Romain Duris e Paul Kircher in The Animal Kingdom.

MILANO – Émile ha sedici anni e vorrebbe una vita normale. Ma d’un tratto si trova a fare i conti con alcuni cambiamenti, perso in un futuro molto contemporaneo in cui misteriose mutazioni trasformano gli esseri umani in ibridi animali. Questo (e molto, molto altro) è The Animal Kingdom che, impreziosito dalla presenza dei magnifici Romain Duris, Adèle Exarchopoulos, Paul Kircher (un giovane protagonista destinato alla gloria, rivelato da Winter Boy per chi lo ricorda) e dalle bellissime musiche del nostro Andrea Laszlo De Simone – che gli sono valse il César per la colonna sonora – è un manifesto generazionale che guarda al futuro con un occhio al presente di una società scontenta, ipocrita e malata. Il futuro immaginato magnificamente qui da Thomas Cailley – che ha scritto, oltre che diretto il film – sa molto poco di distopia però, ma della nostra realtà.

The Animal Kingdom
Padre e figlio: Romain Duris e Paul Kircher in una scena.

Le sue venature fantasy sotto forma di animali antropomorfi sono le uniche cose lontane dalla nostra società, ma come per qualsiasi ritratto che guarda al presente, sono solo l’ennesima metafora per il diverso e la paura dell’altro. Perché? Perché The Animal Kingdom è un colossale manifesto che si ispira a noi, che questa società triste e ipocrita la componiamo. C’è l’eco della pandemia e del COVID-19 con il malcontento dei piccoli imprenditori locali e la xenofobia, nello sguardo riservato a coloro che contraggono questa misteriosa mutazione. Ma Cailley non si ferma qui, dipingendo in questo contesto tristemente familiare la situazione di Émile (Paul Kircher) “orfano” di madre – perché sulla strada della trasformazione – con un padre (Romain Duris) in cui apprensione e affetto combaciano. E il film infatti spesso diventa anche un racconto di formazione che deve fare i conti con le turbe adolescenziale di un figlio senza madre. Pensate a quando quelle turbe sono una metamorfosi animalesca anche per il giovane Émile.

Paul Kircher in un momento di The Animal Kingdom.

Il coming-of-age è l’altro aspetto di questo “regno” in cui si cresce e si viene a patti con le storture della società nel tentativo di non farsi troppo male: Émile siamo noi spettatori che guardiamo al futuro ancora con un occhio di speranza, mentre il padre (che si era invece arreso con la madre) è rincuorato dal guizzo che intravede negli occhi del figlio, nonostante la trasformazione. Peculiare la cura dei dettagli nel trucco degli animali antropomorfi (impressionante la scena nel supermercato), dove predilige la praticità rispetto ad una computer grafica, sì presente, ma mai invasiva e che con verosimiglianza dona tenerezza ed empatia alla causa. Per Cailley è chiaro che uomini e animali sono uguali e si sovrappongono, non sono migliori gli uni o gli altri e, anzi, il processo evolutivo che tanto tempo fa separò le specie ora li riavvicina.

The Animal Kingdom
Ancora Duris con Adèle Exarchopoulos in un momento del film.

Il motivo? Forse è da rintracciare in una visione del regista colma di speranza per una società futura che – abitata da una nuova specie che in questo caso potrebbero essere i giovani – riempie di positività la pellicola persino nei momenti più concitati, in netto contrasto con le dolci melodie tratteggiate da De Simone. Questa è la parola chiave di The Animal Kingdom: contrasto. E dalla risoluzione dei conflitti proposta da questo film ecologista e generazionale, la soluzione parrebbe chiara: non smettere mai di evolversi. Anche in questo il cinema può essere uno strumento utile. Guardatelo e passate parola, perché rischia davvero di essere uno dei miglior film che vedremo quest’anno…

  • OPINIONI | Romain Duris e perché riscoprire Mood Indigo
  • VIDEO | Qui una clip di The Animal Kingdom:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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