ROMA – In quattro stagioni la natura compie il suo ciclo. Una ragazza può farsi donna. Un ventre gonfiarsi e divenire creatura. Si può smarrire il cammino che portava sicuri a casa, si possono solcare mari verso terre sconosciute. In quattro stagioni si può morire e rinascere. Dal 19 settembre al cinema con Lucky Red, Vermiglio, opera seconda di Maura Delpero presentata in concorso all’81. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con protagonisti Tommaso Ragno, Giuseppe De Domenico, Roberta Rovelli, Carlotta Gamba, Sara Serraiocco e Martina Scrinzi, racconta dell’ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale in una grande famiglia e di come, con l’arrivo di un soldato rifugiato, per un paradosso del destino essa perda la pace, nel momento stesso in cui il mondo ritrova la propria.
Un film, Vermiglio, così descritto dalla Delpero: «Una storia di bambini e adulti, tra morti e parti, delusioni e rinascite, del loro tenersi stretti nelle curve della vita, e da collettività farsi individui. Una storia d’alta quota, con i suoi muri di neve. Di odore di legna e latte caldo nelle mattine gelate. Con la guerra lontana e sempre presente, vissuta da chi è rimasto fuori dalla grande macchina: le madri che hanno guardato il mondo da una cucina, con i neonati morti per le coperte troppo corte, le donne che si sono temute vedove, i contadini che hanno aspettato figli mai tornati, i maestri e i preti che hanno sostituito i padri. Una storia di guerra senza bombe, né grandi battaglie».
Un’opera che come spesso succede con il grande cinema vede traslare la propria narrazione dal particolare della propria vita all’universale di quella comune: «Nella logica ferrea della montagna che ogni giorno ricorda all’uomo quanto sia piccolo. Vermiglio è un paesaggio dell’anima, un Lessico famigliare che vive dentro di me, sulla soglia dell’inconscio, un atto d’amore per mio padre, la sua famiglia e il loro piccolo paese. Attraversando un tempo personale, vuole omaggiare una memoria collettiva». Quella di una vita familiare pacata di silenzio e preghiera che la Delpero rievoca in immagini intime e singolari dalla costruzione geometrica rigorosa: realistiche eppure patinate di una coltre fiabesca che ne astrae la percezione sino quasi a renderle assolute. Senza tempo, o forse fuori, dal tempo.
Effetto in sé amplificato dalle scelte musicali operate dalla Delpero. Perché ognuna di queste immagini viene percorsa di dolci sonate al pianoforte e di rovente musica operistica che finiscono con avvolgere la scena di suoni suggestivi e sapori inediti che vanno ad arricchire il senso di meraviglia generato da una narrazione che è, al contempo, fiaba per adulti e album di ricordi in formato filmico. Su di essi galleggiano gli agenti scenici di Vermiglio. C’è chi esplora il mondo attraverso le pagine di un atlante e chi, da quel mondo, vuole provare a isolarsi da sotto un tavolo viaggiando in un sogno musicale. C’è anche chi scopre sé stessa da dietro un armadio – negandosi ai piaceri – e chi invece rischia, lotta e si apre all’amore nonostante tutto.
Ed è un po’ di questo che ci racconta la Delpero con Vermiglio. Di prime volte, lettere e portafortuna, di baci rubati e silenzi accoglienti che non hanno bisogno di spiegazioni. Di scelte, desiderio e viaggi interminabili. Ma anche di patriarcato e tradizioni, di regole e ruoli sociali, di limitazioni e dell’onore in guerra, di padri, madri e figli. Più che un semplice film, una trascinante esperienza cinematografica a ritmo dosato tra Piccole Donne e L’Albero degli Zoccoli che, al pari del tasso registico offerto dalla Delpero, richiede allo spettatore cura e attenzione ai particolari. Un’opera arricchita dalle performance di un Ragno padre padrone gentile ma deciso e di una Scrinzi che al primo ruolo accreditato sul grande schermo si svela come straordinaria sorpresa di pura energia recitativa. Da non perdere.
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