ROMA – Ambientato durante la Prima Guerra Mondiale, Campo di Battaglia di Gianni Amelio racconta le dinamiche di una clinica di una grande città del Nord Italia. Il dottor Giulio Farradi (Gabriel Montesi) trascorre le giornate nella Clinica delle Esenzioni, affrontando non solo le ferite fisiche dei soldati provenienti dal fronte, ma anche le oscure arti della simulazione e dell’autolesionismo, un intricato labirinto di menzogne che mina l’integrità del suo operato. Con lui il dottor Stefano Zorzi (Alessandro Borghi) – profondamente contrario alla guerra – che invece di guarire, fa ammalare i soldati o li aiuta a lesionarsi. L’amicizia tra Stefano e Giulio si trasforma in una competizione che va oltre la sfera professionale, estendendosi anche alle relazioni sentimentali con la coraggiosa infermiera Anna (Federica Rosellini).
In concorso a Venezia 81, Campo di Battaglia, arriverà al cinema dal 5 settembre con 01 Distribution. Un film su cui Amelio non ha dubbi riguardo la sua interpretazione: «Non è un film di guerra che spesso al cinema diventa un’avventura, ma un film sulla guerra. La guerra non è un genere, è una tragedia. Il mio film sorvola riflessioni. È una storia di uomini e i miei tre protagonisti la guerra la subiscono come milioni di persone innocenti. Spero di mettere nel mio film una storia così forte da obbligare gli spettatori a uscire con tante domande addosso alle quali dovranno darsi una risposta. L’odio tra i popoli è una malattia da sradicare, e il cinematografo – se motivato da intenzioni decise – può contribuire a questo».
Ed è esattamente ciò che si propone di fare, Campo di Battaglia, che alla maniera di opere belliche anti-militariste come l’immortale malickiano de La Sottile Linea Rossa e il più recente I Dannati di Roberto Minervini – e nonostante l’emblematico titolo potesse lasciare intende altro – sceglie invece di trattare gli orrori della guerra non schiaffandoli in faccia allo spettatore in tripudi di sangue e scene emotive didascalicamente cruenti sul campo, ma mostrandoci le conseguenze nell’animo dell’uomo sotto la divisa. In questo caso gli ufficiali medici Farradi e Zorzi dell’inedita e formidabile coppia scenica Montesi-Borghi dall’intensità straripante (per Montesi possiamo serenamente parlare di un ruolo da immortalità artistica) e il loro essere contenitori valoriali di posizioni opposte sul Conflitto e più in generale sulla guerra in ogni sua forma.
Tra chi, cioè, sceglie la sacralità della divisa e l’onore in battaglia a costo dell’estremo sacrificio, e chi invece la vita, l’inviolabilità di pensiero, il tenere cara la propria pelle e le piccole cose, o più semplicemente quello che i tedeschi sono soliti definire l’essere un mensch: l’essere (e il rimanere) un uomo buono e giusto anche dinanzi al peggiore orrore che la vita possa offrire. Quindi il campo di battaglia che dell’omonimo racconto di Amelio è l’arena scenica. La Clinica delle Esenzioni e le sue decine di casi medici di uomini martoriati, menomati e condannati dalla guerra a indelebili cicatrici su carne viva, di cui Amelio fotografa il dolore restituendocelo in immagini pure, limpide, sgradevoli alla vista e prive di filtri e censure, e concatenate in sequenze necessariamente ridondanti.
Perché è sottopelle che quel senso di disagio deve entrare nello spettatore. Nel mezzo, un Campo di Battaglia opera solida dall’andamento lineare e manovrata da una regia di polso capace di offrire nel terzo atto un interessante guizzo allegorico. Il passato storico della Spagnola di fine anni Dieci, infatti, va a sovrapporsi con il recente presente della pandemia da COVID-19. In quel momento l’opera di Amelio evolve sino a diventare un’ode d’amore e una celebrazione tardiva (forse fuori tempo ma sempre ben accetta nda) dell’eroismo di tutti quei medici e infermieri che in quei mesi si sono coraggiosamente trovati in prima linea dinanzi all’emergenza pandemica. Un film, Campo di Battaglia, intriso di sacrificio, valori sani e buoni sentimenti: una visione da non perdere.
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