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Solo: A Star Wars Story – La fotografia di Bradford Young e la sua luce di ricordi

La memoria, il giallo ocra, il bianco glaciale: la fulminante cinematography di Han Solo

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È vero, senza una buona storia sotto, anche il film tecnicamente migliore, non regge. La polpa, la sostanza, deve essere la sceneggiatura, colonna portante, su cui poggiarci il resto: regia, montaggio, sonoro, scenografia. Tutto, però, deve essere saldamente legato. E, tra quegli elementi che fanno un film riuscito, c’è un’altra base importante: la fotografia. Insomma, il cinema, nasce proprio dalla fotografia stessa. E, oltre ai cinematographer della old school – Edward Lachman, Tom Stern, Robert Richardson, Wally Pfister, Roger Deakins, Emmanuel Lubezki – ce ne sono un paio da tenere d’occhio.

T-shirt bianca, berretto rosso, Apple Watch, ARRI Alexa 65 sulla spalle: Bradford Young sul set di Solo.

Uno lo conosciamo già molto bene, l’olandese Hoyte Van Hoytema, ormai fedelissimo di Nolan, l’altro, invece, classe ’77, arriva dal cuore degli Stati Uniti, ovvero da Louisville, Kentucky. E che storia, appunto, quella di Bradford Young. Dal sud degli States fino alla Galassia Lontanta Lontanta. Famiglia umile, il trasferimento a Chicago, le folgorazioni arrivate con i dipinti di Romare Bearden e Jacob Lawrence, e l’approccio al cinema, così come alla sua fotografia, arrivato quasi per caso, a diciotto anni, “Non ho capito cosa fosse davvero il cinema fino alla maturità”., ha dichiarato in un’intervista, “Prima di allora, andavo solo a vedere i film di Spike Lee, ma senza approfondire nulla”.

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Solo e Chewie e le lune color seppia.

Del resto, è proprio ad Howard che Bradford Young imbocca la strada che lo porterà tra i grandi, influenzato dal regista etiope Hail Gerima. Così, cambia il suo occhio, la sua prospettiva: i film, per lui non sono solo ”Un piacere da guardare, ma sono il trampolino perfetto per tuffarsi nei colori, nella luce, nei riflessi delle immagini. E che immagini, che sa costruire Bradford. Vedere per credere il suo esordio in Pariah, passato al Sundance nel 2011 e, guarda caso, co-prodotto proprio da Spike Lee.

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Solo: A Star Wars Story, la luce di Young.

Perché, una cosa, non l’abbiamo detta: Young è afroamericano. Certo, in un mondo giusto e uguale per tutti, non sarebbe una cosa da sottolineare, eppure è emblematico come Young sia stato, nel 2017, solo il secondo Direttore della Fotografia candidato all’Oscar (il primo fu Remi Adefarasin, per Elizabeth, nel 1998). Eh già, perché Young, con pochi film nel curriculm, ha già un suo stile riconoscibile, tanto da essere chiamato da Denis Villeneuve per Arrival, facendogli guadagnare la nomination.

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L’ocra di Donald Glover.

Prima? I colpi con filtro seppia del bel 1981: Indagine a New York o la luce calda e profonda di Selma – La Strada per la Libertà. Un’illuminazione solida, quasi tangibile, ma al tempo stesso semplice. Young sa dove far cadere le sfumature, costruendo un quadro visivo semplicemente magico. Così come è stata – letteralmente – magica la chiamata della Disney, che lo ha voluto nel film di Han Solo. Un sogno? No, la realtà, così Bradford, nato proprio mentre al cinema esplodeva Star Wars – Una Nuova Speranza, si affianca a Ron Howard per Solo: A Star Wars Story, dando al film una tavolozza di colori audaci, a metà tra l’indie e il blockbuster. C’è il giallo ocra saturo degli interni ad avvicendarsi con un’inaspettatamente glaciale Tatooine, fino al blu della cabina del Falcon e al bianco asettico sul volto di Emilia Clarke.

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Emilia Clarke, glaciale.

Ed è proprio questo che fa di Solo un film (oltre che narrativamente) tecnicamente riuscito: c’è la grossa produzione dietro, eppure mantiene un cuore da pellicola indipendente. Con l’illuminazione, umorale, del cineasta, quasi come un temporale: lampi di luce che si alternano alle ombre scure: Star Wars, il bene e il male contro. Ma, a Bradford Young da Louisville, delle ancestrali diatribe, importa poco, lui modella il film pensando ai suoi ricordi: “Quando, le prime volte, realizzavo un film e incontravo difficoltà tecniche, tornavo alla mia infanzia. E lo faccio ancora oggi: penso alla luce a casa di mia nonna su Greewood Avenue, o a quella della cucina di mia zia Marie. Ecco, quando non trovo la chiave, penso a loro, e capisco che sto facendo la cosa giusta”. Memoria, luce, immagini e stelle, con il viaggio di Bradford Young accanto a Han Solo e Chewbacca.

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