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Solo: A Star Wars Story – Perché non è l’ennesimo film della saga

Il sogno, il passato, una leggenda galattica: Han Solo è tornato. E da oggi è anche su CHILI

E adesso cosa penserà quel bambino a testa in su, davanti allo schermo, ammaliato dalla volta stellata sopra il suo naso? Semplice: che quell’immensità – affascinante e inquietante – mette una gran voglia di essere scoperta, attraversata, superata. E quella sensazione rimarrà nel suo cuore. Per sempre. Oggi come negli anni Settanta, Guerre stellari come Solo, alla fine non cambia molto. Ecco perché, di tutto quell’universo espanso targato Star Wars, Han Solo è (forse) il personaggio più amato di tutti. Perché ci ricorda i nostri sogni, la voglia di libertà, l’irresponsabilità dei vent’anni senza mai, mai, perdere quel beffardo sorriso di chi, in fondo, sa che non è mai finita finché non è finita.

Coolest cowboy in the galaxy.

L’impresa di Solo: A Star Wars Story – dopo il passaggio in sala ora disponibile su CHILI – è stata ardua: una produzione travagliata, un cambio di regia in piena corsa, un attore che doveva confrontarsi con un’icona pop del Novecento come Harrison Ford. E poi i conseguenti mugugni di un pubblico mai pienamente soddisfatto. Eppure, inaspettatamente, Ron Howard ci riporta a guardare oltre quella Galassia Lontana Lontana, caricando sulla nave più veloce del cosmo tutta la Forza della saga.

Chewbacca, Emilia Clarke e Ehrenreich.

Adesso possiamo dirlo: avevamo temuto il peggio quando Phil Lord e Christopher Miller se ne andarono per “divergenze creative”, con il successivo slittamento e lo stallo delle riprese. Poi l’annuncio: Ron Howard al timone del Millennium Falcon, in un incrocio astrale dove ritrovava il suo vecchio mentore George Lucas (e Harrison Ford) a quarantacinque anni da quel miracolo chiamato American Graffiti. Corsi e ricorsi, storie che si incrociano, a costruire un backgronud degno e credibile da regalare ad uno dei characters fondamentali del Novecento su grande schermo.

Woody Harrelson, Ehrenreich e Thandie Newton.

Così, il cinema di Howard – in fondo tra i pochi a saper fondere mainstream e autoriale – fa riassaporare le sensazioni galattiche a cui eravamo nostalgicamente abituati. Se l’altro spin-off, Rogue One, lo possiamo incorniciare tra le migliori pagine della saga, Solo non è da meno, superando ostacoli e pericoli degni del personaggio che fu di Harrison Ford. Con una domanda: non sarebbe stato meglio continuare con gli spin-off antologici (e ce ne sono tanti, con il prossimo già programmato e incentrato su Obi-Wan), piuttosto che stiracchiare icone e storie concluse con Il Ritorno dello Jedi? Riflessione obbligata.

Donald Glover aka Childish Gambino aka Lando Calrissian

Provocazione a parte, Solo non è (ancora una volta) l’ennesimo film di Star Wars, bensì un caloroso, spiritoso, emozionante film d’avventura dal sapore analogico. Al centro, un ragazzo troppo furbo e intelligente per l’Impero, con il desiderio di diventare il pilota più veloce di tutti. Ci riuscirà? La risposta la sappiamo, tanto che il film si diverte (e diverte noi) nell’assemblare la storia di Han. E se ve lo state chiedendo, Alden Ehrenreich non è (e non può) essere Harrison Ford, ma riesce ugualmente a far vivere Solo, grezzo, spaccone, irresistibile. E i duetti con Chewbacca funzionano a meraviglia.

Ed ecco Han Solo… Ooops, GIF sbagliata…

Fughe e favole stellari, furfanti e sopravvissuti. Poi spunta Lando Calrissian, introdotto come se fosse James Bond (e c’è pure una citazione de La spia che mi amava) al tavolo da gioco, interpretato da un Donald Glover (uomo del momento, anche grazie a This is America) in grado di rubare la scena. Con lui, L3-37 (voce di Phoebe Waller-Bridge) una droide tostissima e rivoluzionaria; Woody Harrelson nei panni del mentore Tobias Beckett e, soprattutto, Emilia Clarke, il primo amore. Amore, la stessa cosa che spinge la Forza della saga. Ma qui alla fine, dimenticando per un attimo il destino che lo sorprenderà, c’è solo un ragazzo attaccato al suo sogno, eroe suo malgrado. Han Solo è morto, evviva Han Solo. Perché è più vivo che mai.

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