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Ritorno al futuro | Marty McFly e il cinema senza tempo di Robert Zemeckis

Michael J. Fox, Christopher Lloyd, Lea Thompson, Reagan e il grande rifiuto della Disney: cronaca di un mito

Ritorno al futuro
La DeLorean DMC-12, i 1,21 gigawatt di potenza e le 88 miglia orarie.

ROMA – La DeLorean DMC-12, i 1,21 gigawatt di potenza e 88 miglia orarie, The Power Of Love degli Huey Lewis & The News rapidamente diventata un brano evergreen. Perché Ritorno al futuro è molto più che un semplice film degli anni Ottanta. È il Rocky degli anni Ottanta: un film perfetto, senza sbavature, dove ogni componente narrativa cresce e si sviluppa spontaneamente in piena armonia. Robert Zemeckis è talmente orgoglioso della trilogia di Ritorno al futuro che un paio d’anni fa, a proposito della possibilità di un remake (che a Hollywood solletica tantissimo i palati degli executives), ha dichiarato candidamente: «O Dio, no! Non potranno realizzare un remake finché io e Bob (Gale, il co-sceneggiatore) saremo morti, e dopo sono certo che lo faranno, a meno che non ci sia un modo grazie al quale i nostri eredi potranno fermarlo…».

Ritorno al futuro
Un dettaglio della DeLorean.

L’idea nacque quasi per caso quando nel 1980, dopo l’uscita in sala de La fantastica sfida, lo sceneggiatore Bob Gale tornò in visita dai suoi genitori a Saint Louis. Rovistando in cantina trovò l’annuario scolastico di suo padre. Sfogliandolo scoprì che era stato capoclasse l’ultimo anno di liceo. A quel punto Gale si chiese come sarebbe stato conoscere suo padre a quel tempo, se sarebbero potuti diventare amici se fossero andati a scuola insieme. Tornato in California, Gale raccontò l’idea a Zemeckis che invece provò ad immaginare tutte quelle madri dal passato promiscuo che oggi educano i figli sostenendo di non aver nemmeno mai baciato nessuno ai tempi del liceo. Così nacque Ritorno al futuro. Trovato un accordo preliminare con la Columbia, buttarono giù lo script, immaginarono gli anni Cinquanta come collocazione temporale così da poter giocare con l’inerzia del presente ed amplificarne gli effetti empatico-narrativi.

Christopher Lloyd e Michael J. Fox sono Doc Brown e Marty McFly in una scena di Ritorno al futuro
Christopher Lloyd e Michael J. Fox sono Doc Brown e Marty McFly

Semmai un diciassettenne del 1985 fosse tornato indietro nel tempo per incontrare i propri genitori si sarebbe spostato proprio in quel decennio. Completato il primo draft di Ritorno al futuro nel febbraio del 1981, la Columbia Pictures lo giudicò poco valido, o per dirla con le parole che riferirono a Zemeckis: «Un film molto bello e carino, ma non abbastanza sexy». Più o meno la stessa ragione per cui, a pre-produzione avviata, dopo un paio di mesi cestinarono E.T. – L’extraterrestre (qui per il nostro Longform) di Steven Spielberg giudicandolo frettolosamente: «Uno stupido film della Disney». Ecco, manco a dirlo, dopo aver rifiutato il progetto consigliarono a Zemeckis e Gale di proporlo proprio alla Disney che però, dal canto suo, nel leggere della dinamica simil-incestuosa madre-figlio tra le componenti del racconto, rigettarono il progetto. «Non appropriatp per un film per famiglie della Disney».

C'è stato un momento, nel corso della pre-produzione, in cui Ritorno al futuro si intitolava Spaceman From Pluto
C’è stato un momento in cui Ritorno al futuro si intitolava Spaceman From Pluto

Da qui iniziò un’autentica odissea per Ritorno al futuro. Zemeckis e Gale non si fermarono e questo nonostante avessero collezionato una quarantina di rifiuti da tutte le principali major. Pur ritenuto valido, le commedie per ragazzi si orientavano principalmente verso pellicole come Fuori di testa e La rivincita dei Nerds e a detta di Zemeckis «Ci ripetevano che i film sui viaggi nel tempo non fanno soldi». A cambiare le carte in tavola fu il successo de All’inseguimento della pietra verde nel 1984 che convinse Spielberg a co-produrre Ritorno al futuro con la sua Amblin Entertainment proponendo il progetto alla Universal Pictures: Sid Sheinberg amava la visione del cinema di Spielberg, non ci volle molto per convincerlo, ma con Zemeckis e Gale fu tutt’altra storia. Tanto per cominciare non era molto attratto dal titolo Ritorno al futuro. Secondo lui Spaceman From Pluto avrebbe avuto molto più appeal commerciale.

Lea Thompson è Lorraine Baines in una scena di Ritorno al futuro
Lea Thompson è Lorraine Baines

Comunicò il cambio di titolo tramite un promemoria in via ufficiale su carta intestata della Universal. A preservare l’originale Ritorno al futuro intervenne Spielberg in prima persona inviandogli a nome di tutti un telegramma sarcastico: «Ciao Sid, grazie per il tuo promemoria così divertente, ci siamo tutti fatti una bella risata, continua a mandarli!». Ma non solo! Per la stessa ragione Sheinberg voleva modificare alcune battute dello script. La celebre: «Mi chiamo Darth Vader, dal pianeta Vulcano» sarebbe diventata: «Sono un viaggiatore spaziale da Plutone». Diede anche suggerimenti validi. Fu intuizione di Sheinberg l’idea che la relazione tra Marty e Doc fosse così informale. Nel draft originale infatti il ragazzo si rivolgeva a lui come Professor Brown e non Doc. A mutare i propri contorni fu soprattutto la macchina del tempo visto che nei primi draft corrispondeva a un frigorifero a Coca-Cola: funzionava grazie alla (celebre) formula segreta della bevanda.

In uno dei draft preliminari Doc Brown era il villain di Ritorno al futuro
In uno dei draft preliminari Doc Brown era il villain del film

L’idea fu poi cestinata perché Zemeckis e Spielberg temevano che con il successo che avrebbe avuto Ritorno al futuro il rischio che i bambini idealizzassero il film infilandosi dentro il frigorifero con il rischio di restarci chiusi dentro era altissimo, ma non del tutto accantonata: trent’anni dopo Spielberg omaggerà quell’embrione creativo nella celebre (e suggestiva) scena del test atomico nel deserto del Nevada in Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo. Solo al terzo draft finanziato dalla Universal la macchina del tempo assunse finalmente le forme mitologiche della DeLorean DMC-12, ma non come ci si potrebbe aspettare. Per scatenare la reazione spazio-temporale con cui viaggiare nel tempo Marty avrebbe dovuto guidarla sino ad un sito nucleare. Idea poco pratica che Zemeckis e Gale modificarono nel quarto (e ultimo) draft con il leggendario flusso catalizzatore che finì con il romanticizzare la DeLorean DMC-12.

Crispin Glover è George McFly in una scena di Ritorno al futuro
Crispin Glover è George McFly

A guadagnarci dal successo di Ritorno al futuro fu soprattutto la DeLorean Motor Company che se nei primi anni Ottanta rischiò il fallimento visto che il loro prodotto di punta fu considerato, per almeno mezzo decennio, una delle peggiori e poco confortevoli auto mai realizzate, l’uscita in sala del gioiellino filmico di Zemeckis rappresentò per loro una rinascita: da catorcio inguidabile la De-Lorean assunse rapidamente a prodotto di culto. Il motivo per cui fu scelta da Zemeckis e Gale? I suoi sportelli laterali. La facevano assomigliare ad un’astronave, cosa che ha facilitato molte delle gag contenute nello script definitivo. Un ulteriore modifica rispetto alle bozze preliminari riguardò proprio la caratterizzazione di Marty McFly che nel primissimo draft si chiamava Marty McDermott e sarebbe dovuto essere un video-pirata fomentatore di rivolte: un anti-eroe cupo e anti-produttivo che fece storcere il naso a molte major.

Prima del clamore mediatico intorno a Ritorno al futuro, la DeLorean DMC-12 non è che fosse proprio una macchina di successo...
Prima del clamore intorno a Ritorno al futuro, la DeLorean DMC-12 non era una macchina di successo…

Nessuno avrebbe mai prodotto un film con un eroe video-pirata, c’è anche da dire che il tono del racconto era molto più apocalittico, specie nel climax. Dopo il concerto rock sulle note di Johnny Be Goode, McDermott avrebbe fomentato una rivolta per poi tornare nei suoi anni Ottanta dovrebbe avrebbe assistito a una linea temporale mutata: il rock n’roll non era mai nato e Doc Brown era diventato l’uomo più potente del mondo grazie alla formula della Coca-Cola! A pre-produzione finalmente avviata Ritorno al futuro ebbe vita difficilissima. La prima scelta per il ruolo di Marty era Michael J.Fox ma il suo impegno con il serial della Paramount Casa Keaton e la (relativa) sovrapposizione delle riprese gli impedì inizialmente di prendervi parte. Fu così scelto il giovane Eric Stoltz fresco del successo de Dietro la maschera. Dopo circa sei settimane però i colleghi lo giudicarono troppo serio e aggressivo.

Di giorno sul set di Casa Keaton, di notte in quello di Ritorno al futuro, o di Michael J. Fox che visse due volte
Di giorno sul set di Casa Keaton, di notte Ritorno al futuro. Michael J. Fox che visse due volte

Zemeckis e Gale si resero conto di aver commesso il peggior errore possibile: sbagliare il protagonista. Considerato anche l’allora semi-sconosciuto Johnny Depp e il gettonatissimo Ralph Macchio che però definì lo script come «Un ragazzino, un auto e delle pillole di Plutonio», si ripartì da zero con Fox che visse un autentico calvario recitativo: «Era il mio sogno lavorare per la televisione e per il cinema e anche se non sapevo che sarebbe stato in contemporanea c’era questa strana opportunità e mi sono buttato». La Paramount infatti non liberò mai il suo giovane interprete dall’impegno seriale. Fox si trovò così a recitare dalla mattina al pomeriggio per Casa Keaton e dal tardo pomeriggio alla sera per Ritorno al futuro dormendo appena 5 ore al giorno. Lavorazione altrettanto estenuante per Zemeckis che ebbe a definirlo come: «Il periodo più pesante, fuori forma e malato della mia vita».

Tiger è Einstein, il cane di Doc Brown
Tiger è Einstein, il cane di Doc Brown

Delle scene con Stoltz fu salvato il possibile, ma le sei settimane di lavoro mandarono in fumo 3 milioni di dollari: cifra ampiamente recuperata visto che Ritorno al futuro ne ha poi incassati globalmente 380. Eppure al primo test screening non ebbe esattamente buoni riscontri. La Universal non disse mai agli spettatori che genere di film sarebbero andati a guardare. Come raccontato da Zemeckis e Gale, nella sequenza iniziale, quando il cane Einstein venne spedito avanti nel futuro di un minuto e ventuno secondi, in sala scese il terrore. Sulla scia di pellicole come Alien e La cosa temevano che sarebbe capitato qualcosa di terribile all’amico peloso di Doc Brown. In più, in maniera del tutto involontaria, il primo cut di Ritorno al futuro ebbe un certo sapore nostalgico per via dei negativi originali in bianco e nero.

L'oramai mitologico flusso catalizzatore della DeLorean di Ritorno al futuro
L’oramai mitologico flusso catalizzatore della DeLorean

Poco importa però, perché se è vero che Ritorno al futuro ha saputo proseguire il trend nostalgico avviato da L’ultimo spettacolo e American Graffiti per cristallizzarlo nella memoria comune creandone una specifica grammatica filmica, è pur vero che il grande merito della narrazione di Zemeckis fu quello di saper raccontare del proprio tempo tra tradizione e innovazione. Nel servirsi dei topos del cinema teen (il direttore della scuola come nemesi/il contesto familiare problematico/rapporto amoroso vivace) Zemeckis costruisce una solida struttura narrativa con cui parlare dell’importanza del retaggio e dei legami familiari alla prova del tempo. Già, il tempo. C’è come una cura metodica dell’elemento temporale in Ritorno al futuro, perfino scolastica: la carrellata di orologi nel laboratorio di Doc Brown, il 7:53 fissato da ogni sveglia, il 1:14 calcolato al millesimo dell’appuntamento nel parcheggio tra Marty e Doc, le 22:04 di Hill Valley per il ritorno nel presente.

26 ottobre 1985: la prova del primo viaggio nel tempo di Doc e Marty in una scena di Ritorno al futuro
26 ottobre 1985: la prova del primo viaggio nel tempo di Doc e Marty

Il tempo assume così sempre maggior peso nell’economia del racconto rappresentando non solo colore e base della narrazione, ma anche influendo sull’inerzia degli eventi e la loro stessa polarità in un tornare nel passato per ricostruire il presente dalle fondamenta e nelle dinamiche relazionali. Come nel corposo e denso secondo atto in cui, tramite l’espediente del viaggio (dell’eroe) nel tempo nel mondo straordinario della Hill Valley del 1955, Marty vede mutare la propria funzione scenica da figlio ad amico/alleato dei suoi giovani genitori dando al padre George (Crispin Glover) la forza necessaria per emergere dalle nube dall’insicurezza e della sottomissione del sempiterno bullo Biff (Thomas F. Wilson), e all’accomodante madre Lorraine (Lea Thompson) la marcia in più per far sbocciare l’amore sino ad un climax che ci regala il più perfetto happy ending della Hollywood degli anni Ottanta al sapore del cinema classico della Golden Age.

Il cameo di Harold Lloyd in apertura di racconto
Il “cameo” di Harold Lloyd in apertura di racconto

Un’opera spontanea, pura, divertente e giocosa Ritorno al futuro, che nel regalarci un ultimo e inaspettato colpo di coda in un finale aperto incerto e spontaneamente diretto alla serializzazione, ci ricorda il valore del cinema semplice e delle grandi storie destinate, più che all’immortalità artistica, all’essere l’inevitabile film del cuore di un’intera generazione di cinefili, appassionati, o semplici spettatori. Tra questi c’era perfino Ronald Reagan di cui si racconta che, durante una proiezione privata a Camp David (26 luglio 1985), rimase talmente divertito dallo stupore scenico del Doc Brown del 1955 nel sapere che un attore potesse un giorno diventare Presidente degli Stati Uniti (praticamente una frecciata simpatica a Reagan) dal chiedere al proiezionista di interrompere la proiezione per rimandare la scena. Non una vera sorpresa però. Nel 1985 infatti, poco prima dell’inizio della lavorazione, la Universal spedì lo script all’ufficio del Presidente per ottenerne l’approvazione.

Nei cinema italiani Ritorno al futuro fu distribuito soltanto a partire dal 18 ottobre 1985
Nei cinema italiani Ritorno al futuro fu distribuito dal 18 ottobre 1985

La battuta successiva «I suppose Jane Wyman is the First Lady and Jack Benny is Secretary of the Treasury» – prima moglie di Reagan conosciuta sul set di Brother Rat del 1938 che in italiano fu resa inserendo Marilyn Monroe e John Wayne al loro posto – generò invece non poco imbarazzo con la seconda moglie Nancy. Questo non impedì al Presidente, da politico navigato qual era, di esprimere la sua passione per la saga di Ritorno al futuro strumentalizzando la battuta finale – «Dove stiamo andando non avremo bisogno di strade» – nel celebre discorso sullo stato dell’Unione del 1986. Ennesima curiosità a corollario di un’altra grande storia del nostro amato cinema, un classico senza tempo dal fascino immutato.

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Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

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