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Paolo Condò: «Io, il film su Totti e Martín Palermo come Rutger Hauer…»

Tra il Monumental, Blade Runner e Colin Firth: dialogo su cinema e calcio con un ospite d’eccezione

Tra Trieste e il Monumental: Paolo Condò all'Hot Corn Football Club.

MILANO – Spulcia veloce tra i ricordi, mette in fila le parole e poi, ecco l’illuminazione che regala senso a tutto, perché l’unico uomo che può accostare Rutger Hauer nel finale di Blade Runner a Martín Palermo sotto il diluvio del Monumental è solo lui, Paolo Condò, giornalista, scrittore, saggista e molto altro, ospite perfetto per mescolare calcio e cinema nel nostro angolo dell’Hot Corn Football Club. «Ero allo stadio a Buenos Aires quel giorno e l’immagine di quell’uomo biondo, a torso nudo, sotto il diluvio», ricorda oggi, «sembrava uscita da Blade Runner. E Martín Palermo a Rutger Hauer ci assomigliava per davvero». In attesa dell’uscita del nuovo libro, Porte aperte, viaggio in trenta stadi del mondo che uscirà i primi di dicembre per Baldini & Castoldi, con Paolo Condò abbiamo parlato di film e pallone, binomio in realtà non semplice come sembra.

Martín Palermo come Rutger Hauer? Sì. Buenos Aires, 11 ottobre 2009.

CALCIO & CINEMA – «Sì, è vero, non ci sono grandi titoli sul mondo del calcio. Il motivo? Credo che i film sul calcio in generale crollino nel momento in cui scendono in campo perché simulare il momento agonistico non è semplice. Temo sia un momento troppo sincero per essere recitato. In realtà ci sono molti film sul calcio che possiedono una loro dignità, penso a Pelé, che comincia con la sua storia da bambino e rimane una bella biografia, anche se appena cominciano le partite, casca il palco. Un film che ricordo e cito spesso però è Il profeta del gol di Sandro Ciotti, dedicato a Johan Cruijff, ma lì il principio è diverso: non c’è nulla di recitato e le immagini sono originali».

Kuno Becker in una scena girata a Newcastle in Goal!

FILM DA TIFOSO – «A parte Fuga per la vittoria che rimane sempre un classico, non erano malvagi nemmeno i tre film che componevano la serie di Goal!. Furono bistrattati all’uscita, eppure il percorso del ragazzo messicano che da Los Angeles seguiva il suo sogno andando al Newcastle e poi al Real Madrid funzionava. Poi invece ci sono i film che hanno il calcio come soggetto: da questo punto di vista Febbre a 90° rimane un film meraviglioso con un grande Colin Firth. E poi impossibile non citare Il maledetto United con Brian Clough, altro cult. Peccato per Best, che alla fine risultava troppo caricaturale anche se era interessante il rapporto tra il George Best interpretato da John Lynch e Bobby Charlton».

Colin Firth e l’amore per l’Arsenal: Febbre a 90°.

IO E FRANCESCO – «Dal libro che ho scritto con Francesco (Un capitano, Rizzoli, nda) fino al documentario, ho ovviamente seguito da vicino tutta la lavorazione di Mi chiamo Francesco Totti di Alex (Infascelli, nda) e la prima volta che l’ho visto ero in lacrime, perché trovo che quella conclusione sia straordinaria. Le immagini di backstage con quella scelta musicale sono molto potenti. Ho anche seguito la serie Sky che stanno girando, Speravo de morì prima, e quello che posso dire avendo letto la sceneggiatura è che sarà molto ironica. Dove Alex ha puntato sull’epica, qui si punterà sulla commedia».

Totti con Alex Infascelli sul set di Mi Chiamo Francesco Totti.

UNA PARTITA DA FILM – «Una partita che ho visto e che ho pensato potesse essere un film? Dico Italia – Olanda, semifinale degli Europei del 2000. Perché? Perché quella partita è letteralmente un film: l’Italia che si salva in condizioni estreme, si trova a giocare in 10 nel primo tempo dopo l’espulsione di Zambrotta, sopravvive non si sa come a due calci di rigore sbagliati durante i 90 minuti. Pare quasi un trattato sulla resistenza umana. Sembra finita e invece non è mai finita. E poi si riesce ad arrivare ai rigori e lì, e torniamo a Totti, si conclude in gloria, con addirittura la beffa finale del cucchiaio…».

Il cucchiaio, regia di Francesco Totti. Era il 29 giugno del 2000.

IL MIO CINEMA – «Che tipo di spettatore sono? Dunque, vediamo: sono uno spettatore onnivoro, nel senso che il cinema mi piace proprio tutto, non faccio distinzioni di genere, passo dai blockbuster ai film d’autore, da James Bond a Wim Wenders. I miei film preferiti rimangono ancora Blade Runner e The Blues Brothers, che avrò visto decine di volte, ma se devo consigliare ai lettori di Hot Corn un cult assolutamente da rivalutare e rivedere allora dico The Commitments di Alan Parker, una grande pellicola troppo poco citata, un film davvero pieno di grazia…».

Alan Parker e il cast di The Commitments sul set. Era il 1991.

 

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