MILANO – Due operai, lo Yorkshire e tanti pregiudizi da sconfiggere. È una storia di accettazione, di sé stessi e degli altri, e il più classico dei cliché “da nemici ad amanti” quella che Francis Lee ha raccontato nel suo debutto alla regia, La terra di Dio ovvero God’s Own Country, film presentato al Sundance nel lontano 2017 e che ora potete ritrovare in streaming a noleggio su Apple TV e Prime Video. Nella sua carriera, iniziata come attore, Lee – classe 1969 – è arrivato per ora a firmare solo due titoli, insieme a un’altra storia queer, Ammonite – Sopra un’onda del mare, girata nel 2020 con Kate Winslet e Saoirsie Ronan proprio dopo – e grazie – al successo di questo film. La sua produzione infatti non è così prolifica e ci vuole qualche anno perché i film arrivino alla luce, ma quando lo fanno, la sua sensibilità e la forza dei suoi racconti trasformano le pellicole in delle piccole perle da scoprire e amare.

I protagonisti de La terra di Dio sono Johnny (Josh O’ Connor, molto ma molto prima di La Chimera e Challengers) e Gheorghe (Alec Secareanuo). Johnny ha dovuto lasciare il suo lavoro in città per tornare a lavorare nella fattoria di famiglia dopo l’infarto di suo padre, un elemento che è un riferimento preciso alla vita del regista – dichiaratamente gay – che dovette scegliere se rimanere nell’azienda agricola di famiglia o andare alla scuola di cinema. È un uomo schivo e solitario, chiuso nei suoi pensieri e nelle sue convinzioni. Tutto cambia quando Gheorghe viene assunto: immigrato romeno, abituato a non essere accettato e ai pregiudizi. Nei posti più isolati dello Yorkshire, dove solo qualche piccolo villaggio compare tra le distese, lontano dalle grandi città, chi arriva da fuori è guardato con sospetto.

La xenofobia non è un miraggio, e Francis Lee si ricorda di sottolinearlo. Johnny inizialmente è scontroso con Gheorghe, poi impara ad apprezzarlo e abbandona i nomignoli sprezzanti e i trattamenti bruschi. Ma c’è ancora uno scoglio da superare: il legame che si crea tra i due rischia di essere oscurato dai meccanismi di protezione di Johnny, per troppo tempo rimasto solo e inaridito dal duro lavoro. Per questo il film è così speciale, per questo il film è speciale per tanti e lo è diventato anche nel corso di questi ormai otto anni passati. Meno conosciuto dei grandi classici, da Brokeback Mountain a Chiamami col tuo nome, il film è una lenta e meravigliosa decostruzione di come un semplice sentimento può profondamente (e davvero) cambiare le persone.

I personaggi di Lee sono sempre umani e i loro difetti sono ciò che li rendono così speciali. Non c’è spazio per quelle improvvise risoluzioni che a volte tanto amiamo nei film, specialmente se sono storie d’amore. Johnny ha preso delle cattive abitudini, e nonostante l’altro lo accetti per ciò che è, è difficile per lui abbandonare l’alcool e il sesso occasionale. Ci vogliono settimane prima che il ragazzo si renda conto che deve cambiare e che se vuole avere una chance per una vita più felice, è richiesto uno sforzo anche da parte sua. È difficile, ma necessario. Johnny impara comunicare, riconosce i propri errori e decide di cambiare: «Non voglio più fare il cazzone».

La terra di Dio non si perde nel luccichio e nei lustri dei blockbuster americani, nemmeno di quelli che del cinema LGBTQ+ ne sono l’emblema. Rigetta qualsiasi tentativo di trovare una denuncia sociale o un messaggio universale. L’azione di Lee è quella di registrare un sentimento che chiamiamo amore, quando coinvolge due persone che – probabilmente – da tempo hanno dimenticato cosa sia. Il fatto che siano due uomini è solo indicativo del fatto che la realtà e la natura sono più varie di quanto non si creda, ma l’intero film non ruota solo attorno a questo. E meno male. Il messaggio del film, per chi ne ha bisogno, ricorda allo spettatore una piccola ma importante verità: che una parte dell’amare è crescere, rendersi conto di chi si è, assumersi le proprie responsabilità e scendere a patti con la vita che si desidera. Nient’altro.
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- VIDEO | Qui il trailer di La Terra di Dio:
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