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I Sette Samurai | Akira Kurosawa, Toshirō Mifune e i settant’anni di una leggenda

La genesi, la difficile lavorazione, Takashi Shimura, I Magnifici Sette, il retaggio. Riscoprire un mito

Un estratto di una delle scene chiave de I Sette Samurai, un film di Akira Kurosawa del 1954
Un estratto di una delle scene chiave de I Sette Samurai, un film di Akira Kurosawa del 1954

ROMA – Nella storia del cinema mondiale non esiste, probabilmente, un film che abbia saputo ispirare di più del capolavoro di Akira Kurosawa: I Sette Samurai del 1954 (lo trovate su Prime Video). E dire che non fu subito acclamato da critica e pubblico. In questo, non aiutò il fatto che all’estero, la Toho Film scelse di distribuirlo in una versione ampiamente ridotta da 160 minuti contro i 207 del cut della versione originale comprensivi di un intermezzo musicale di cinque. Un taglio necessario secondo gli executives nipponici, che negli Stati Uniti lo lanciarono nel 1955 sotto il titolo de I Magnifici Sette, e che sapevano perfettamente che l’opera di Kurosawa era decisamente tanto (se non troppo), per il proprio contesto di riferimento: il Giappone post-bellico.

I Sette Samurai di Akira Kurosawa è stato distribuito nei cinema giapponesi il 26 aprile 1954
I Sette Samurai di Akira Kurosawa è stato distribuito nei cinema giapponesi il 26 aprile 1954

A differenza di Kenji Mizoguchi che tra il 1941 de I 47 Ronin Ribelli e il 1953 de I racconti della luna pallida d’agosto procedette verso una progressiva auto-vittimizzazione del Giappone, allegorizzando la Seconda Guerra Mondiale e le sue scorie belliche attraverso il racconto dell’era Sengoku, Kurosawa si rifiutò di lasciare il Giappone in balia dei propri demoni e di permettere all’eroismo dei suoi sette samurai di reprimere la propria complicità in un sistema sociale di vasta disuguaglianza. Gli stessi contadini, seppur vittime di una cultura feudale-militaristica, non appaiono come spettatori innocenti del proprio destino. Un concetto espresso da Kurosawa in uno dei momenti chiave de I Sette Samurai, quello in cui, prima di partire in missione, il Kikuchiyo di Toshirō Mifune urla tutto il suo disappunto dinanzi alla squadra.

Toshirō Mifune è Kikuchiyo in un momento del film
Toshirō Mifune è Kikuchiyo in un momento del film

In quel momento, I Sette Samurai viene asciugato del tutto della sua carica epica procedendo, ora verso la demonizzazione dei contadini (ovvero dei cosiddetti deboli), ora verso la dissacrazione del ruolo del samurai (ovvero dei buoni, degli eroi tutti d’un pezzo), per parlare unicamente di uomini e pulsioni: «Ma che idea avete dei contadini? Si atteggiano a poveri deboli e innocenti. Non è vero niente! Se c’è una battaglia, assalgono i vinti col bambù. Credetemi: i contadini sono avari, traditori, piagnoni, meschini, stupidi e cattivi! […] Però, chi li ha fatti diventare così? Siete stati voi! Voi samurai! Quando fate una battaglia, bruciate i villaggi! Distruggete i campi! Li private del cibo! Li fate schiavi! Violentate le donne, le uccidete, se resistono! Che altro possono fare loro?».

Takashi Shimura è Kambei in un momento de I Sette Samurai
Takashi Shimura è Kambei in una scena de I Sette Samurai

Una pellicola di rottura rispetto alla tradizione del jidai-geki realizzata fino a quel momento che nel servirsi della componente didattica del genere speculare ai western statunitensi – da cui la massima del critico dei Cahiers du Cinéma, André Bazin: «Il western è il cinema americano per eccellenza» – ne va a comporre una nuova grammatica filmica che vive del perfetto mix di ritualità e momenti giocosi, riflessioni sull’attesa, sul tempo e sulla caducità della vita, ad altre sulla miseria e il dolore nella ricerca di scampoli di bellezza, ma soprattutto sull’onore in battaglia («Chi difende tutti, difende se stesso. Chi pensa solo a sé, si distrugge»), e sull’empatia tra gli uomini. Un’epica solenne, I Sette Samurai, nel respiro di un kolossal immenso nel valore puro e nella resa delle sue immagini.

«Credetemi: i contadini sono avari, traditori, piagnoni, meschini, stupidi e cattivi! Però, chi li ha fatti diventare così? Siete stati voi!»
«Credetemi: i contadini sono avari, traditori, piagnoni, meschini, stupidi e cattivi! Però, chi li ha fatti diventare così? Siete stati voi!»

Alla spettacolarità delle scene d’azione – qui rarefatte e caratterizzate da combattimenti dalle coreografie approssimative – Kurosawa contrappose la drammatizzazione degli eventi scenici di un agire coeso di una squadra d’azione e non nella gesta epiche dei singoli. Non è un caso, infatti, se I Sette Samurai risulta essere, ancora oggi, a settant’anni di distanza da quel 26 aprile 1954 che lo vide distribuito nelle sale giapponesi, il film più citato, rifatto, rielaborato e invocato di sempre. A partire, ovviamente, da I Magnifici Sette di John Sturges del 1960, la cui scelta di parole del titolo ne andava a configurare le forme di diretto remake (di lì in poi, oltreoceano, il capolavoro nipponico tornò al suo titolo originario). Un’epica d’azione che ribaltò lo spirito kurosawaiano della narrazione aggiungendo spettacolarizzazione dove prima c’era drammaticità.

Il momento del funerale de I Sette Samurai
Il momento del funerale de I Sette Samurai

E se è vero che western e jidai-geki rispondono a esigenze e contesti culturali differenti, la scelta stilistica piacque comunque poco a Kurosawa che in un’intervista rilasciata negli anni Sessanta espresse tutto il suo malcontento parlandone come di un autentico tradimento della sua poetica nonostante le similitudini sintattiche, grammaticali e di movimenti di camera: «La copia americana de I Magnifici Sette (si riferisce al titolo originario nda) è una delusione. Per quanto divertente, non è un rifacimento de I Sette Samurai». Gli omaggi e le ispirazioni non si conclusero al film di Sturges comunque. Ci sono rimandi ovunque, dappertutto, a I Sette Samurai, da Il Mucchio Selvaggio di Sam Peckinpah a Rebel Moon di Zack Snyder, passando per Star Wars di George Lucas e A Bug’s Life di John Lasseter e Andrew Stanton.

Seiji Miyaguchi è Kyūzō in un momento del film
Seiji Miyaguchi è Kyūzō in un momento del film

Eppure, che ci si possa credere o meno, quando Kurosawa sottopose il progetto alla Toho Film, I Sette Samurai avrebbe dovuto avere ben altra forma narrativa. In origine, infatti, la pellicola avrebbe dovuto focalizzarsi su di un giorno nella vita di un samurai, iniziando con lui che si alza dal letto e fa colazione, per poi andare al castello del suo daimyō, e finire con un atto di seppuku a seguito di un errore disonorevole. Immaginato come una narrazione in presa diretta, Kurosawa sentì come, nonostante una ricerca approfondita, non vi fosse materiale sufficiente per realizzare un film di senso compiuto. Passò poi a un I Sette Samurai in forma impropriamente episodica, solo che i samurai erano cinque e il film avrebbe raccontato altrettante battaglie leggendarie.

«Chi difende tutti, difende se stesso. Chi pensa solo a sé, si distrugge»
«Chi difende tutti, difende se stesso. Chi pensa solo a sé, si distrugge»

Proposta l’idea al co-sceneggiatore Shinobu Hashimoto, questa versione del concept non fu mai portata a termine dopo che Kurosawa realizzò come la narrazione non sarebbe stato altro che un susseguirsi di climax. In loro soccorso venne l’executive Sôjirô Motoki che a seguito di ricerche scoprì come nel periodo Sengoku, dopo che ai contadini fu impedito per legge di possedere armi, spesso i samurai si offrivano volontari per fare la guardia ai loro villaggi in cambio di vitto e alloggio. Un intuizione che fece breccia nel cuore di Kurosawa che si imbatté nella storia di un villaggio che assunse una squadra di samurai con l’obiettivo di proteggerli dalla venuta di alcuni pericolosi briganti. Nei successivi quarantacinque giorni, Kurosawa, Hashimoto e lo sceneggiatore Hideo Onugi lavorarono allo script senza sosta e distrazioni.

Keiko Tsushima è Shino in uno degli shot più celebri del film
Keiko Tsushima è Shino in uno degli shot più celebri del film

Un processo di scrittura intensiva che li stremò – al punto che Kurosawa finì in ospedale con i nematodi – ma che contribuì a rendere lo script de I Sette Samurai qualcosa di inimmaginabile. A partire dal fatto che non solo l’autore nipponico realizzò un dossier caratteriale per ognuno dei protagonisti comprensivo di cibi preferiti, backstory, abitudini, reazione in battaglia e dettagli solo apparentemente impercettibili, ma che per ognuno dei centouno membri del villaggio delineò un albero genealogico in modo da aiutare le comparse a costruire i propri personaggi e le relazioni reciproche. Per l’inizio delle riprese, Kurosawa, Hashimoto e Onugi avevano letteralmente ideato dal nulla una società fatta di gruppi di persone ed equilibri di potere. Solo che all’epoca, lo script fu licenziato sotto il titolo provvisorio di I Sei Samurai.

L'aura caratteriale di Kyūzō è ispirata a quella del leggendario Miyamoto Musashi
L’aura caratteriale di Kyūzō è ispirata a quella del leggendario Miyamoto Musashi

Non erano ancora i sette che il cinema ha reso leggenda, ma sei. Tutti vagamente ispirati a personaggi storici. In particolare Kyūzō (Seiji Miyaguchi) i cui contorni caratteriali furono delineati prendendo a modello il mitologico samurai Miyamoto Musashi che nel XVI secolo combatté e vinse sessantuno duelli in battaglia. In origine sarebbe dovuto essere proprio Mifune a interpretarlo. Cosa che effettivamente poi farà, nello stesso anno, con l’omonimo (straordinario) biopic diretto da Hiroshi Inagaki, ma non ne I Sette Samurai. Perché, a draft ultimato, Kurosawa si accorse come: «Sei samurai sobri erano noiosi, avevamo bisogno di un personaggio più eccentrico», ovvero del settimo samurai che samurai non era, del cuore del film e della coscienza del racconto: Kikuchiyo. Lo affidò a Mifune, dandogli licenza totale di improvvisazione.

A Mifune venne data totale libertà di improvvisazione per Kikuchiyo, il risultato è senza precedenti
A Mifune venne data totale libertà di improvvisazione per Kikuchiyo: il risultato è senza precedenti

Nessuna base storica, nessuna ispirazione eccellente, solo puro istinto. Mifune costruì il personaggio di Kikuchiyo guardando ininterrottamente filmati di leoni allo stato brado. Ne derivò una performance folle, insolita, trascinante, emotiva e fisica, comica e drammatica, di pura intensità: praticamente irripetibile. Tanto che Mifune restò nel personaggio per tutta la durata delle riprese. Una scelta artisticamente lodevole che tuttavia ne mise a repentaglio l’equilibrio psicofisico. La lavorazione de I Sette Samurai, infatti, entrò negli annali come una delle più complesse e travagliate che la storia del cinema ricordi. Questo per via del fatto che Kurosawa si rifiutò di girarlo negli studi interni della Toho Film, ma tutto in esterna, in un set completo a Tagata. Dopo soli tre mesi di pre-produzione il budget messo a disposizione finì con l’essere quadruplicato.

Isao Kimura è il giovane Katsushiro in una scena de I Sette Samurai
Isao Kimura è il giovane Katsushiro in una scena de I Sette Samurai

Dai 52 milioni di yen che la Toho Film aveva stanziato, si arrivò presto a 210, pari a oltre mezzo milione di dollari. Questo spinse gli executives a interrompere la lavorazione de I Sette Samurai in più circostanze. In quelle occasioni, anziché discuterne, Kurosawa era solito mollare tutto per andarsene a pescare aspettando che le acque si calmassero. Sapeva di aver ragione: «La qualità del set influenza quella delle interpretazioni, per questo motivo ho costruito i set esattamente come fossero reali. Limita le riprese, è vero, ma incoraggia l’autenticità. Purtroppo ha piovuto per tutto il tempo e non avevamo abbastanza cavalli: era proprio il tipo di film impossibile da fare in un paese come il Giappone». Non a caso Kurosawa poté disporre di libertà creativa sterminata.

«Anche stavolta siamo stati noi i vinti. I vincitori sono i contadini. Soltanto loro»
«Anche stavolta siamo stati noi i vinti. I vincitori sono i contadini. Soltanto loro»

In particolare nelle tecniche registiche. Scelse di filmare I Sette Samurai con i teleobiettivi (nel 1954 praticamente rarissimi nda) e di utilizzare più cineprese in modo da consentire all’azione scenica di riempire lo schermo e di posizionare il pubblico esattamente al centro dell’immagine: «Se l’avessi filmato con il metodo tradizionale – inquadratura per inquadratura – non ci sarebbe stata alcuna garanzia che l’azione potesse essere ripetuta esattamente nello stesso modo due volte». Il suo metodo consisteva nel piazzare una cinepresa nella posizione di ripresa più ortodossa, un’altra per gli scatti rapidi, e un’altra come fosse un’unità di guerriglia. Ogni movimento delle cineprese venne coreografato attraverso diagrammi che resero una lavorazione di suo già difficilissima, praticamente oltre l’impossibile, ma fece la storia perché rivoluzionò il concetto stesso di regia cinematografica.

Nei cinema italiani il film fu distribuito il 19 agosto 1955
Nei cinema italiani il film fu distribuito il 19 agosto 1955

I continui ritardi e slittamenti, tuttavia, incisero sull’originario piano di lavorazione. Il risultato fu che alcune sequenze della battaglia principale, inizialmente previste per l’estate, furono spostate all’inverno. E quindi gli acquazzoni torrenziali, il fango profondo e denso che arrivava al punto di ghiacciarsi e un freddo talmente forte da far cadere perfino le unghia dei piedi. Tanto fu stressante l’esperienza sul set de I Sette Samurai che Mifune, in piena trance artistica da Kikuchiyo, arrivò perfino a minacciare lo stesso Kurosawa con una pistola in mano. Fortunatamente – per loro e per noi spettatori – nessuna conseguenza. Nemmeno tre anni dopo, la coppia Kurosawa-Mifune tornò al lavoro con Il Trono di Sangue, liberamente ispirato allo shakesperaiano Macbeth nonché illustre progenitore di quel capolavoro assoluto di Ran, ma quella è tutta un’altra storia…

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Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

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