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La sfida del samurai | Akira Kurosawa, Sergio Leone e quello strano caso giudiziario

Per un pugno di dollari, Django, Ancora Vivo e Toshirō Mifune: analisi di un mito e di un caso

La Sfida Del Samurai
Toshiro Mifune ne La Sfida Del Samurai.

ROMA – Ritenuto tra le vette massime del jidai-geki (period drama) e in Giappone tra le opere imprescindibili del suo autore, qui in Italia La sfida del samurai (ovvero Yojimbo) di Akira Kurosawa del 1961 ebbe un successo clamoroso per ragioni – oltre che artistiche – extra-schermo finendo con l’essere (tristemente) protagonista di un curioso caso giudiziario. Perché nell’innovare la grammatica filmica del suo genere di riferimento La sfida del samurai riuscì a conquistare vaste platee di pubblico, non solo quello nipponico, arrivando sino alle orecchie e agli occhi stupefatti dei padri degli spaghetti-western: Sergio Leone e Sergio Corbucci. Ma facciamo un passo indietro. Di che narra La sfida del samurai? Delle gesta di Sanjuro (uno stratosferico Toshirō Mifune), un ronin senza passato trovatosi coinvolto in una lotta sanguinosa tra famiglie per il controllo di comunità. L’astuzia e la sua spada riporteranno la pace nel villaggio.

Un samurai, un villaggio, due famiglie a contenderselo, in una parola: Yojimbo

Ma torniamo in Italia: nel 1963, Sergio Leone stava lavorando al trattamento di un peplum dal titolo Le aquile di Roma da lui definito così: «I magnifici sette ambientato nell’antica Roma». Sul finire dell’estate dello stesso anno, su consiglio del DoP, Enzo Barboni, andò a vedere proprio La sfida del samurai. Per Leone fu una vera e proria folgorazione. In preda all’entusiasmo, chiamò a raccolta gli sceneggiatori Duccio Tessari, Sergio Corbucci (poi regista di Django, che del film di Leone è il gemello narrativo) e Tonino Delli Colli e per gennaio 1964 lo script de Per un pugno di dollari era già bello che pronto sulla base del copione tradotto de La sfida del samurai. Il motivo? Mantenerne l’identità strutturale.

La sfida del samurai fu presentato a Tokyo, in Giappone, il 25 aprile 1961
La sfida del samurai fu presentato a Tokyo, in Giappone, il 25 aprile 1961

«Mi feci fare una traduzione del copione solo per essere sicuro di non ripeterne nemmeno una parola. Tutto ciò che volli mantenere fu la struttura di base del film di Kurosawa. Concepii l’intero trattamento in cinque giorni con Duccio Tessari. Il titolo provvisorio era: Il magnifico straniero», ricordò poi Leone. Non era dello stesso avviso Corbucci secondo cui gli intenti di Leone erano ben altri e ben più precisi: «Leone copiò in moviola per filo e per segno il film di Kurosawa». E in effetti, al di là delle similitudini di sinossi, ve ne sono molte di più in termini di svolte narrative e di scelte registiche. È evidente la simbiosi strutturale tra Per un pugno di dollari e La sfida del samurai come l’entrata nel villaggio, il preludio al final-showdown con la caduta dell’eroe, la cattura da parte dei villain e la sua resurrezione miracolosa.

Toshirō Mifune è il ronin Sanjuro in una scena de La sfida del samurai (Yojimbo)
Toshirō Mifune è il ronin Sanjuro

Però non c’era alcun intento malevolo e/o disdicevole nei piani di Leone: voleva per davvero realizzare un remake autorizzato de La sfida del samurai. Diede mandato alla casa di produzione a cui faceva capo, la Jolly Film di Papi e Colombo, di pagare i diecimila dollari di compenso per i diritti di utilizzazione economica pattuiti con la Toho Film. Quei soldi però, purtroppo, non verranno mai pagati. Si arrivò così ad una causa legale tra le due case di produzione con Kurosawa e Leone parti interessate, chiamate in giudizio. Pur di avvalorare la propria tesi, la difesa della Jolly Film sostenne che l’ispirazione di Per un pugno di dollari fosse addirittura la commedia teatrale di Carlo Goldoni del 1745, Arlecchino servitore di due padroni.

L'arena scenica de La sfida del samurai
L’arena scenica de La sfida del samurai

Manco a dirlo, vinse la Toho Film che, come risarcimento per il non-voluto plagio, ottenne i diritti di distribuzione di Per un pugno di dollari nel mercato asiatico e il 15% degli incassi del film in tutto il mondo. Leone non la prese bene commentando in modo infelice l’esito sfavorevole: «Kurosawa aveva tutte le ragioni per fare ciò che ha fatto. È un uomo d’affari e ha fatto più soldi con questa operazione che con tutti i suoi film messi insieme. Lo ammiro molto come regista». La causa non va ad inficiare, in alcun modo, sul valore filmico di una gemma come Per un pugno di dollari, né cancella i meriti di un’opera capace di dare un’identità a un genere come lo Spaghetti-Western fino quel punto frammentario, ma è l’ulteriore conferma della bontà del lavoro svolto da Kurosawa con il suo pirotecnico La sfida del samurai.

A Venezia22 invece La sfida del samurai fu presentato in concorso ufficiale il 20 agosto 1961
A Venezia il fllm fu presentato in concorso il 20 agosto 1961

Circa trent’anni dopo Leone infatti l’epica di Sanjuro troverà nuova vita in un ulteriore remake – stavolta autorizzato – a opera di Walter Hill. Quel Ancora vivo del 1996 con un formidabile Bruce Willis sugli scudi che permise al regista di 48 ore (qui per il nostro Revisioni) di dare a La sfida del samurai una nuova (e sorprendente) vita in salsa gangster. Ancor prima che precursore indiretto (e duplice, influì anche su Django) dello Spaghetti-Western però, la genesi filmica dell’opera di Kurosawa svela un ulteriore legame di genere: il noir de La chiave di vetro di Stuart Heisler del 1942, a sua volta adattamento dell’omonimo romanzo di Dashiell Hammett del 1931. Insomma un concept per tutte le stagioni quello di Yojimbo e per tutti i generi. Facciamo un altro piccolo passo indietro.

Come Sanjuro, Toshirō Mifune fu premiato a Venezia con la Coppa Volpi al miglior attore

Al pari di Leone e Corbucci, anche Kurosawa ha saputo incidere sul genere di riferimento de La sfida del samurai. Quel jidai-geki da lui rinnovato giocando di mimesi filmica con la grammatica western – quello classico stavolta – di John Ford (il suo modello dichiarato). Sulla base del principio baziniano («Il western è il cinema americano per eccellenza») Kurosawa vestì i suoi agenti scenici di cariche valoriali dagli intenti pedagogici per poi calibrare le narrazioni in funzione del topos del viaggio fordiano, o del viaggio come esplicitazione degli archi di trasformazione dei personaggi in scena. Quando parliamo di jidai-geki, parliamo di uno dei generi cardine del cinema giapponese tra cui citiamo opere senza tempo come I 47 Ronin Ribelli del 1941, L’intendente Sansho del 1954, nonché i vincitori dell’Oscar al Miglior film straniero 1955 e 1956: La via dell’inferno, Miyamoto Musashi.

Il preludio al duello finale de La sfida del samurai
Il preludio al duello finale

In nessuna di queste pellicole però, così come nei successivi Harakiri (qui per il nostro Storie) – opera a metà tra jidai-geki e gendai-geki (drama contemporaneo) – e L’ultimo samurai, entrambi a firma Masako Kobayashi, manca quella concezione fordiana/kurosawiana del genere tipizzata da La sfida del samurai che ha finito con il renderlo grande – o comunque – universale. Ciò che ha saputo fare Kurosawa – meglio di chiunque tra i colleghi nipponici – è stato il calibrare la sua rilettura del jidai-geki secondo differenti sfumature: ora come epica drammatica (I sette samurai), ora come epica brillante (La fortezza nascosta), ora come acuta riflessione sullo scambio d’identità (Kagemusha – L’ombra del guerriero) e sulla forza della verità soggettiva (Rashomon), ora – ancora – come rilettura nel Giappone medievale di due grandi tragedie shakespeariane come il Macbeth (Il trono di sangue) e il Re Lear (Ran).

L'entrata in scena di Sanjuro nel climax de La sfida del samurai
L’entrata in scena di Sanjuro nel climax de La sfida del samurai

E La sfida del samurai (oltre che il sequel urbano Sanjuro)? Una denuncia totale verso la corruzione d’animo e di intenti degli uomini. Tematica già affrontata da Kurosawa nei suoi gendai-geki Vivere e I cattivi dormono in pace, rispettivamente, come assalto frontale verso l’anti-vitale e ingarbugliatissima burocrazia giapponese e le sempre più stritolanti Zaibatsu che nell’immediato Dopoguerra nipponico divennero di enorme peso specifico per le sorti economico-sociali della nazione. Ne La sfida del samurai però, nel raccontare attraverso la solitudine dell’arguto ronin Sanjuro e il suo giocare allo stesso gioco dei potenti/oppressori sfruttando gli ingranaggi di un sistema malato di violenza e terrore, è tutto più fantasioso, vivace, ritmico.

Tatsuya Nakadai in una scena de La sfida del samurai (Yojimbo)
Tatsuya Nakadai

Un concept di chiaro stampo action – seppur dalla tecnica registica e dalla grammatica filmica ancora assai rarefatta quello de La sfida del samurai – semplice nella forma (ma elaborato nello sviluppo) capace di alternare momenti profondi e densi dal respiro intimista e critico. Formidabile in tal senso l’espediente registico alla base del racconto che tiene il tempo della criticità: giocare di semi-soggettive e claustrofobici primi piani e medi intensi in apertura di racconto, per poi, con il dispiego dell’intreccio, allargare sempre più l’obiettivo attraverso campi lunghi dalla profondità di campo a perdita d’occhio e (di riflesso) la percezione dei confini di uno spazio scenico comunque scarno e vuoto: microcosmo di un villaggio sperduto e senza-vita (impossibile a germogliare).

Toshirō Mifune in una scena de La sfida del samurai (Yojimbo)
Toshirō Mifune

Elemento quest’ultimo che trova la sua massima espressione nel climax de La sfida del samurai in cui, in una delle sequenze più belle del cinema di Kurosawa per costruzione dell’immagine, Sanjuro riporterà la pace nel villaggio. Leone la farà sua ne Per un pugno di dollari puntando sulla cifra mitologica del momento e sul dinamismo scenico rimarcando registicamente sul contrasto pistola/fucile piuttosto che sull’immensità strabordante dell’eroe: ovvero la cura registica leoniana contro l’abilita narratoria kurosawaiana. Presentato a Tokyo il 25 aprile 1961 per poi sbancare in concorso a Venezia22 con Toshirō Mifune vincitore della Coppa Volpi al migliore attore nell’edizione che vedrà L’anno scorso a Marienbad insignito del Leone d’oro, La sfida del samurai è una di quelle opere che, come il buon cinema sa fare, non perde un grammo della sua forza filmica nello scorrere del tempo.

La sfida del samurai e Sanjuro: archetipo caratteriale per tutte le stagioni
La sfida del samurai e Sanjuro: archetipo caratteriale per tutte le stagioni

Oggi come ieri, un’opera imprescindibile per il cinema nipponico e non solo quello, perché larga parte del retaggio della squisita opera di Kurosawa sta proprio nelle mille vite che il cinema e la serialità – tra l’Uomo senza nome (Clint Eastwood), Django (Franco Nero), John Smith (Bruce Willis) e Ahsoka Tano (Rosario Dawson) di The Mandalorian – ha saputo dare, nel bene e nel male, al Sanjuro di Mifune, un’altra grande (e immortale) storia del nostro amato cinema.

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Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

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