MILANO – C’era una volta una famiglia come tante. Un padre, una madre e due figli, silenziosi ed educati, con (quasi) tutti dieci in pagella. C’era una volta una strada con villette a schiera in cui vivevano famiglie come tante, perse tra insoddisfazioni e pigre cene in giardino con i vicini, ostentazione e invidia. I fratelli D’Innocenzo, dopo il realismo che aveva contraddistinto il loro esordio con La Terra dell’Abbastanza, tornano con Favolacce – lo trovate su CHILI -, una fiaba distorta e oscura che mette al centro del racconto le conseguenze tragiche della perdita di figure di riferimento dei suoi giovani protagonisti.

Ambientato nella periferia del litorale romano che potrebbe essere però la periferia di qualunque posto nel mondo, Favolacce mette in scena il disgregarsi di un tessuto sociale in cui padri, madri e insegnanti dovrebbero dare le coordinate a quei figli che, invece, assistono al loro fallimento. Li osservano, aggressivi e passivi, gelosi e violenti, e decidono di trovare una soluzione a quel vuoto muovendosi come un esercito di piccole formiche unite contro una minaccia comune. Quella di una povertà culturale e umana che fagocita i sogni di una vita diversa riposti in un benessere che si scopre sterile.

Se per La Terra dell’Abbastanza il riferimento – fin dai titoli di testa – era il cinema di Claudio Caligari, con Favolacce i registi romani si muovono tra le suggestioni delle favole di Gianni Rodari e i racconti, a volte malinconici e amari, di Raymond Carver e Richard Yates, il grottesco dei personaggi di Tim Burton e la disperazione nascosta dietro la porta di casa di American Beauty. Un film corale in cui i genitori digrignano i denti per parlare male degli altri, accecati dalla rabbia, o ridono sguaiatamente mentre i figli – che parlano di sesso come adulti – vengono sgridati, pizzicati, umiliati.

Una sceneggiatura scritta dai registi romani, dieci anni fa, quando di anni ne avevano solo diciannove, con cui ci suggeriscono che non è il luogo in cui viviamo a determinare i destini di chi lo abita. Una fiaba che parla di verità, in cui i D’Innocenzo fotografano il nostro presente, dove ad una realtà iperconnessa fa da contraltare l’assenza di comunicazione, di ascolto reciproco. Una fiaba in cui i genitori, anche davanti alla fredda evidenza, si sottraggono dall’accettare il dolore più assoluto, in cui non resta altro da fare se non ascoltare passivamente le tragedie altrui illudendosi di essere diversi o, magari, fingendo di non riconoscersi in quella disperazione.
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- I Fratelli D’Innocenzo: «Il nostro Favolacce, tra Carver e Charlie Brown»
Qui potete vedere il trailer di Favolacce:
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