MILANO – MILANO – In questo periodo in cui la nostra quotidianità è scandita dai tempi dilatati della pandemia siamo costretti a ripensare tutti quegli aspetti che fino a un paio di mesi fa erano la normalità. Come una conferenza stampa. Non più tutti insieme, nello stesso cinema con attori e registi in carne ed ossa ma ognuno nelle proprie case, in videoconferenza. Come è accaduto per la presentazione alla stampa di Favolacce, secondo lungometraggio dei fratelli D’Innocenzo che, dopo l’Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura a Berlino, arriva direttamente in digitale su CHILI.
USCITA DIGITALE «Non vediamo l’uscita del film in digitale come un ripiego ma come un’ideale ripartenza di tutte quelle persone che lavorano nel cinema. Noi siamo dei privilegiati rispetto a molte persone che lavorano nel settore che, invece, hanno bisogno di ripartire subito o non ci sarà più niente nei prossimi mesi. Certo, vedere un film al cinema è un’altra cosa. È come vedere la Roma allo stadio rispetto a vederla sul divano. Ma siamo felici, viviamo l’uscita di Favolacce come una liberazione».
GLI ATTORI «Gli attori non li scegliamo, abbracciamo persone che sentiamo possano toccare determinate corde. Persone che non si nascondono. Ti accorgi di che attori hai nelle pause, magari mentre mangiano o aspettano. E ti innamori di loro. Ci siamo riconosciuti simili. Questo è il nostro unico approccio e ha a che fare con il senso del piacere».
LA PANDEMIA «Favolacce tocca argomenti di cui si parla da sempre. La cronaca ma anche la storia vengono archiviate mentre il simbolo resta. Immaginare di scrivere film che parlino tutti della pandemia, appoggiarci alla cronaca, è per noi limitante. Favolacce è un film archetipico ma ha tantissimi riferimenti alla pandemia: dall’isolamento alla voglia di liberazione. Per fare film sull’isolamento non c’è certo bisogno del Coronavirus, basta pensare a Taxi Driver, ad oggi ancora il miglior film sull’isolamento».
L’AMBIENTAZIONE «Rispetto alla periferia romana de La terra dell’abbastanza, qui volevamo che il paesaggio non fosse subito riconoscibile. Si capisce che siamo nei dintorni di Roma ma tutte quelle case ordinate, quella simmetria lo rendono un luogo apparentemente inoffensivo, igienico. Un luogo in cui quando chiudi la porta rimane un covo dove alimentare malessere. Noi siamo sia i bambini del film che gli adulti. Non ci tiriamo indietro e non giudichiamo nessuno, sarebbe stato immorale. O prendi tutto il pacchetto completo o non entri nella storia, amandola o odiandola rispetto all’ammettere o meno di essere quegli sbagli, merda e poesia».
LE INFLUENZE «Charles M. Schultz, il creatore di Charlie Brown, e la sua poetica capace di unire semplicità e profondità. Poi abbiamo attinto anche da tanta letteratura americana, da Raymond Carver a Richard Yates, che leggevamo negli anni in cui abbiamo scritto la sceneggiatura. Li c’è una semplicità che negli italiani non trovavamo. Eccezione fatta per Gianni Rodari».
LE CONTAMINAZIONI «L’autocensura nel cinema italiano è un limite enorme, un circolo vizioso dal quale è difficile uscire. Ma ora si può tornare verso un cinema dall’impatto più carnale e sensoriale. Non necessariamente guardando all’America o all’Oriente. Basta pensare ai film di Bertolucci. Mentre negli ultimi anni nel cinema italiano sono stati fatti solo due tipi di film, quelli di genere e d’autore. Spesso c’è una differenza nettissima e zero contaminazioni che invece sono fondamentali. In Favolacce abbiamo cercato di unire Stephen King e Charlie Brown, la commedia caustica a elementi della graphic novel».
LA SERIE «La serie avrà un registro diverso rispetto ai nostri film. Come spettatori cerchiamo sempre di stupirci e non vogliamo proporre una formula collaudata. Pensiamo sempre a quello che vorremmo vedere noi il sala. Amiamo un cinema che divide, che non accontenti tutti. Cercheremo di portare questa formula anche in tv. La serie sarà un noir. La stiamo scrivendo con rispetto e grandissima paura».
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