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Caro Diario #6: El Gouna e il miraggio fantozziano del gamberetto

Alla fine della giornata, l’inviata di Hot Corn si regala una festa in barca. Che non va come previsto

CANNES – Caro diario, l’aria di festa del weekend ha fatto miracoli e abbiamo ricevuto il primo – e probabilmente ultimo – invito in barca per un cocktail. Arriva dal misterioso Festival di El Gouna, città-resort del Mar Rosso, che a settembre celebra la seconda edizione. L’aspettativa è alle stelle, i preparativi diventano maniacali per essere all’altezza degli standard di Cannes. Premessa: nel pomeriggio incrociamo sulla Croisette uno degli organizzatori. Ci dice: «Conoscete la location? È vicino all’Hotel Martinez». Pensiamo: «Bene, due minuti e ci si arriva, giusto, no?». Sbagliato. Al momento d’incamminarci verso la destinazione scopriamo che la traduzione in egiziano di quell’indicazione suona più o meno così: «Il posto è a due chilometri da qui. Prima o poi ci arriverete».

Come tutto iniziò: El Gouna Film Festival.

E infatti dopo 35 (35, sì) minuti a piedi, ecco il porto (voi direte: non era difficile, quanti porti ci sono a Cannes? Risposta: più di uno). Guardiamo il sole che inizia a tramontare, sembra una commedia romantica in cui ci si aspetta di vedere correre una coppia felice vero l’orizzonte oppure Romain Duris con un mazzo di fiori e invece no. Ci guardiamo intorno e non c’è anima viva, solo una fila di yacht che – da profani in materia di “arte di navigazione vip” – sembrano tutti uguali. Continuiamo a camminare finché un omone della security con l’aria minacciosa d’ordinanza ci ferma. Chiediamo spiegazioni e suggerisce (ancora adesso non si capisce se ci abbia depistato con il suo non-humour francese) di sporgerci su ogni molo e verificare il numero crescente di attracco. Bene.

Le aspettative: Yacht Party stile Leo DiCaprio.

Ci allontaniamo vagando come anime perse in una Disneyland per ricchi lupi di mare finché sentiamo in lontananza una disco-music araba e finalmente appare la tanto agognata meta. Facciamo un paio di prove per sfoggiare la perfetta aria annoiata degli habitué agli eventi mondani e ci dirigiamo con passo deciso verso la passerella. Sbagliato: un altro tizio ci sbarra la strada invitandoci a togliere le scarpe. Attorno a noi si moltiplicano gli sguardi di orrore e basta attendere qualche secondo per capire perché: dalle calzature fanno capolino orridi fantasmini e stuoli di cerotti Compeed. Nessuno vuole vedere i piedi di gente in giro dalla mattina.

La realtà: Fantozzi.

Vabbè, finalmente arriva il momento di salire a bordo: il milionario che ha ideato la kermesse si sta divertendo a fare il deejay dietro la consolle gigante del suo gioiellino di mare, pacioso e rilassato, senza neppure una guardia del corpo. Anche il regista Abu Bakr Shawky, in concorso con Yomeddine, ondeggia tra gli invitati al ritmo di questo sound egiziano che a lui suona familiare mentre per noi è già diventato il guilty pleasure/tormentone dell’estate 2018.

Le aspettative: il barista Isaac di Love Boat.

Fiumi di champagne a bordo piscina (beh sì, piscina sulla barca), ma zero cibo. Almeno finché dalla cabina appare un miraggio fantozziano: cameriera con un vassoio. Da lontano sembra cuoppo napoletano, stanno per scenderci lacrime di commozione. Il cuore accelera i battiti perché quel cono di carta ha tutta l’aria di essere commestibile e sì, lontano anni luce dal finger food con fiorellini viola e gusto di polistirolo. Poi, ecco l’amara verità: dentro l’involucro c’è un solo gambero. Uno. E la cameriera approfitta del nostro stato confusionale per dileguarsi.

La realtà: la fame. Glamour ma sempre fame è.

Accanto a noi una signora con il caschetto alla Anna Wintour e un abito Anni ’50 con una stampa di volti in stile Guernica di Picasso (appena comprato al Cairo, sì, glielo abbiamo chiesto) scuote la testa e si capisce che sta contando le calorie del crostaceo, rinunciando alla tentazione con aria baldanzosa. Dopo i saluti di rito c’incamminiamo per la (lunga) via del ritorno, cercando una mappa mentale che ci porti alla pizzeria più vicina, un qualsiasi Da Nando in salsa francese. Ricordate: il prezzo da pagare per essere glamour è quasi sempre la pancia vuota. Così, distrutti e sfiniti, ci sediamo in un angolo e addentiamo un trancio di margherita come se non ci fosse un domani. Pizza, c’est magnifique!

Finalmente. E tutti a casa.

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