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Brother | L’America, il Giappone e quell’ennesimo capolavoro firmato da Takeshi Kitano

Rimescolare le tipicità al servizio della propria visione: ma perché recuperarlo oggi?

Brother
"O Brother, Where Art Thou?": Takeshi e la sua gang.

MILANO – Un giapponese con degli occhiali da sole impenetrabili e una moltitudine incontrollata di tic facciali cammina a tentoni per una Los Angeles sporca, lurida, dove si spaccia e dormono i senzatetto. Brother – il nono lungometraggio di Takeshi Kitano e disponibile in streaming su CG Collection e a noleggio su Prime Video, Apple Tv e CHILI – inizia fuori asse e in disequilibrio, Giappone e Stati Uniti che si mescolano, si rifiutano e si accettano, uno yakuza che sbarca nella terra della malavita messicana e italiana, valori e concezioni che si scontrano per imporsi. Kitano è un artista che non si è mai accontentato, ha sempre sperimentato e cambiato prospettive visive e narrative passando da Takeshi’s Castle al Leone d’Oro con Hana-bi. Con Brother decide di abbandonare per la prima volta il Giappone per fare uno yakuza movie intriso di angolazioni culturali capaci di collimare ed esplodere nella violenza, nel tagliente umorismo e nella malinconia.

Brother, film del 2000 di Takeshi Kitano
Omar Epps e Takeshi Kitano in una scena di Brother.

Kitano si cala magistralmente nelle vesti di Yamamoto, un silente criminale che dopo aver perso la guerra con una banda rivale rifiuta di sottomettersi al nuovo status quo e scappa a Los Angeles dal fratello. Anche però dall’altra parte dell’Oceano Pacifico Yamamoto, catapultato in una terra sconosciuta e in un ambiente estraneo, non riesce a lasciarsi alle spalle la vita precedente e con il fratello e gli amici spacciatori forma una banda, iniziando poi una guerra di territorio sfidando prima i messicani poi gli italoamericani. Tra macabre esecuzioni, violente sparatorie e intimi momenti dove nascono amicizie e fratellanze, la parabola di Yamamoto andrà incontro a un destino già cristallizzato, una caduta agli inferi voluta e desiderata. Kitano si addentra con Brother nello yakuza movie non solo per l’esperienza visiva energica e folgorante che restituisce il genere, ma perché microcosmo recintato in valori e regole precise.

Claude Maki, Takeshi Kitano e Omar Epps in una scena di Brother
Claude Maki, Takeshi Kitano e Omar Epps

L’ambiente perfetto per esplorare le più complesse e sfaccettate dinamiche umane e sociali. Il regista giapponese disegna un personaggio silenzioso, schivo, capace di essere spietato e ridanciano nel medesimo tempo, un uomo vestito di violenza e morte privo di ogni reazione perché non c’è spazio per la sofferenza, per la gioia, per conoscere il proprio dolore e il proprio vuoto. Yamamoto è perfettamente conscio di tutto ciò – la frase che più ripete spesso è «Moriremo tutti» – conosce le cause che lo hanno spinto in quel vortice e le conseguenze derivanti da quella scelta. Per Yamamoto cadere all’Inferno non è altro che l’ascesa verso il Paradiso, emozioni e sensazioni ribaltate per un uomo pervaso dalla malinconia, da una forte spinta verso la famiglia e al senso di appartenenza, dal vortice di dolore e solitudine che instaura vivere costantemente in bilico.

Joy Nakagawa e Takeshi Kitano in una scena del film
Joy Nakagawa e Takeshi Kitano

Brother, come avevano fatto anche i precedenti Sonatine e Hana-bi, è un’esplosione totale e senza barriere del genio di un artista poliedrico privo di confini. La musica struggente e delicata di Joe Hisaishi (autore delle colonne sonore di molti progetti di Kitano e di film come La città incantata) accompagna l’alternarsi della violenza e della comicità, della morte più cruenta e della risata più genuina perché dentro Takeshi Kitano c’è tutto, gioia e dolore, proiettile e carezza, sangue e risata, c’è la vita nella sua totalità.

Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

 

 

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