MILANO – È possibile che la stessa persona sia in grado di essere uno dei comici più famosi del Giappone, il creatore del programma TV Takeshi’s Castle e allo stesso tempo un poeta, un pittore e uno dei più importanti ed influenti registi orientali di sempre, capaci di realizzare un film come Sonatine? Sì, e questa persona si chiama Takeshi Kitano, uno degli artisti più poliedrici e versatili che il mondo abbia accolto. Kitano non ha mai nascosto i suoi due lati, quello più divertente, leggero e grottesco – ricordato per i suoi programmi comici e la sua imitazione di Donald Trump – e quello più impegnato e autoriale con i suoi lavori cinematografici, dove spesso ha affrontato e destrutturato lo Yakuza movie, riconosciuti da vari premi, tra cui il Leone d’oro a Venezia nel 1997. Il suo impegno nel mondo del cinema è totale, tutti i suoi film (tranne qualche eccezione) sono diretti, scritti, montati e interpretati da lui, dando così una fortissima impronta personale ad ogni lavoro, davanti e dietro la macchina da presa.
Kitano – che abbiamo appena rivisto a Venezia con Broken Rage – si è avvicinato al cinema per caso e i primi tre lungometraggi sono sì grezzi ed immaturi, ma con già presenti riflessioni profonde sulla violenza, sulla morte e sul contrasto tra illegalità e giustizia, tutti temi che si cristallizzano e maturano appunto in Sonatine, il primo vero capolavoro del regista, un film presentato a Cannes nel 1993 e capace di andare oltre il genere, di commuovere e divertire allo stesso tempo e che lo fa inserire nel circuito di Cannes facendolo così conoscere anche in Europa. Ma di cosa parla Sonatine? Di Murakawa (Kitano), uno dei gangster più importanti di una delle bande Yakuza, che gestisce e controlla insieme ai suoi scagnozzi una grande zona di Tokyo. Per anni ha torturato e ucciso uomini, sfiorando la morte e vivendo a stretto contatto con la violenza, una strada che non ha mai scelto di intraprendere in una realtà che non ti permette di scegliere. Al culmine della carriera si trova però senza stimoli, non vuole più condurre quella vita e sente il bisogno di staccarsi da una continua sofferenza.
Murakawa comunica la sua decisione al padrino, che però prima di lasciarlo andare gli affida un ultimo incarico: recarsi insieme ai suoi uomini più fidati sull’isola di Okinawa e porre fine alla guerra tra bande rivali. Arrivati sull’isola però scoprono che nessuno scontro si sta consumando, tutto è tranquillo e li hanno mandati lì per nulla. Così capiscono di essere stati traditi, di essere stati mandati lontano per prendere la loro zona ed ucciderli. Murakawa, conscio di cosa dovrà affrontare, decide allora di portare i suoi fidati in una casetta sulla spiaggia e aspettare in quel paradiso l’arrivo della morte. Davanti al mare, ritrova la serenità perduta e inizia ad accettare di morire perché stanco di tutto l’orrore a cui ha partecipato. In quel luogo quasi mistico troverà l’amore, la gioia, ma il cerchio deve chiudersi e Murakawa dovrà scontrarsi con il passato, in bilico tra la vita e la morte, tra l’accettazione della fine o abbracciare quel soffio vitale che ancora – forse – risiede dentro di lui.
Kitano con un apparente Yakuza movie scava in profondità nell’animo e nella psiche dell’uomo facendo emergere prepotentemente l’umanità di Murakawa, un personaggio che rappresenta il Giappone, un Paese che – di fatto – non ha potuto scegliere, che come lui si è trovato con una pistola in mano da ragazzo e che ha come unico futuro possibile quello di abbracciare la violenza, la strada e l’annullamento dei propri sentimenti per non restare indietro. Murakawa però è stanco di tutto questo, disilluso, voglioso di scappare e in quell’isola trova ciò che desidera. Gli uomini della Yakuza in quel paradiso puro e incontaminato tornano bambini, giocano, ridono, scherzano svestendosi di ogni obbligo e paura, perché la morte sta arrivando ed è inevitabile. Kitano in Sonatine per la prima volta affronta veramente il tema della morte, percettibile e visibile in ogni scena, sempre crescente fino al climax finale dove la morte li trascina via dal paradiso per portare tutti di nuovo all’inferno.
Sonatine è perfetto in ogni suo aspetto, una regia cruda e reale per trasmettere un forte senso di realtà, una violenza esasperata all’estremo in netto contrasto con la purezza e l’innocenza del mare di Okinawa per mostrare la vita nella sua totalità. Takeshi Kitano è maestoso, scrive un film semplice con una profondità unica e lo dirige e interpreta magistralmente, perché il suo Murakawa è un personaggio complesso, un omicida che torna bambino, che accetta di abbracciare la sua più grande paura insieme ad una donna disposta ad amarlo, ma con demoni interiori che non lo lasceranno mai andare e busseranno per sempre alla sua porta. Un film divertente, violento, malinconico, un’opera totale che riflette sulla condizione umana, che gioca con la morte, che emoziona ad ogni singola scena, una sonata in tre atti capace di lasciare qualcosa con l’impronta gigantesca di un maestro.
- ORIENT EXPRESS #1 | Jia Zhangke e Xiao Wu
- ORIENT EXPRESS #2 | Come riscoprire Wong Kar-wai
- ORIENT EXPRESS #3 | Perché rivedere Burning?
- VIDEO | Il trailer di Sonatine.
Lascia un Commento