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Avengers: Endgame | Thor, dal Dio del Tuono a quella trasformazione già cult

Il personaggio di Chris Hemsworth? Quello che è cambiato più di tutti. In meglio, ovviamente

ROMA – L’esplosione di personalità dei sei Vendicatori originali, culmina nelle tre ore di Avengers: Endgame. Ognuno di loro, a percorso compiuto, è diventato qualcos’altro. Lo abbiamo sempre detto, il viaggio della Marvel non è mai stato incentrato sui supereroi, bensì sull’uomo dietro la maschera. Cap, Tony, Bruce Banner. Natasha, Clint e Thor. A riguardare oggi i film di ieri, magari dopo essere andati al cinema a vedere Endgame, fa un certo effetto. Per dire, Captain America è solo Steve Rogers, Bruce Banner e Hulk hanno imparato a ”rispettarsi”. Natasha ha imparato cosa vuol dire empatia e sicurezza, tant’è che è lei il centro di svolta del film.

Thor, nel primo atto di Avengers: Endgame.

Ma, se c’è un character che più di tutti è davvero cambiato, quello è senza dubbio il Dio del Tuono. Vi avevamo già raccontato di quanto Thor (qui trovate la nostra opinione sulla sua trilogia), da bello, muscoloso e tenebroso, abbia invertito la rotta, finendo per essere l’elemento più divertente, quello più pop, la componente bizzarra venuta dalle stelle. Se non era un caso che in Infinity War faceva terzetto con altri due weird come Rocket e Groot, in Endgame il personaggio di Chris Hemsworth (cresciuto sensibilmente come attore, basti dare un occhio al sottovalutato Blackhat di Michael Mann) è una divinità decaduta, afflitta, depressa.

Prima, pupazzone statuario e integerrimo, poi ultra colorato in Ragnarok di Taika Waitit, ancora vendicativo in Infinity War. Tant’è che lo stesso Hemsworth ha rivelato recentemente che «Non era colpa di nessuno, era un mio problema. Sentivo di essere confinato nel personaggio e che poteva fare poche cose. Quando ho sentito che Taika Waititi aveva la mia stessa idea, di voler rompere le regole e cambiare completamente, e ha avuto il coraggio di farlo come se fosse un lancio di dadi, è stato davvero liberatorio. È come se mi avesse sbloccato». Tutto giusto. Tant’è che qui Thor, raccontandovi qualche strascico di trama, è frustrato e arrabbiato all’inizio, desolato e alcolizzato dopo.

Thor aka Chris Hemsworth, di spalle Natasha, Captain Marvel e James “Rhodey” Rhodes.

Perché, in un salto temporale di cinque anni, poco a poco la squadra sopravvissuta ritorna insieme nella speranza di usare il viaggio nel tempo, suggerito da Scott Lang/Ant-Man, per annullare la devastazione. Degli Original Six, però, manca solo l’asgardiano. In una delle più belle sequenze del film diretto da Fratelli Russo, arriviamo insieme a Hulk e Rocket in uno sperduto villaggio della Norvegia che, a guardar bene, si chiama New Asgard. Ecco, dai nobili astri color oro, a quattro case di legno impregnate dall’odore di pesce e di birra. E Thor, da Dio bellissimo e lucente a Jeffrey Lebowksi. Eh già perché la citazione dei Russo al cul dei Fratelli Coen è lampante.

Thor, vestaglia sdrucita, barba incolta, capelli unti e pancia da alcolizzato, è un vero e proprio spettacolo. Di narrativa, di dimensione, di prospettiva umana prima che supereroistica. The God of Thunder, incolpando se stesso per non aver subito ucciso Thanos, si è completamente lasciato andare, passando le giornate sul divano a ingozzarsi di pizza e birra, mentre gioca ai videogames insieme a Korg e Miek. Non gli importa più di niente. Proprio Thor, colui che ha sempre rappresentato l’aspetto più cavalleresco dell’Universo Marvel, è diventato il Drugo.

L’omaggio nel film, poi, si fa palese quando è lo stesso Tony Stark a chiamarlo Lebowski, ed Hemsworth che per l’intero secondo atto, citando le movenze dell’iconico personaggio che fu di Jeff Bridges, regala i momenti più spassosi e sorprendenti. Se il ciclo dei Sei Vendicatori si è concluso – ma ben lontano dalla conclusione è l’Universo Marvel, anzi – cosa sarà di questo Thor, finalmente svegliatosi da una dimensione troppo divina? Anche il suo ciclo è concluso? Chissà, forse è appena (ri)cominciato…

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