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La Recensione | Avengers: Endgame, perché la fine del viaggio è l’inizio più bello

Tragico, maestoso, definitivo. La nostra recensione (senza spoiler!) del film diretto dai Fratelli Russo

ROMA – Undici anni, ventidue film, un cinema che ha cambiato il pubblico e l’approccio alle storie. Si potrebbe scrivere un’enciclopedia su come e quanto la Marvel abbia ricalcolato, tra attese ed emozioni, l’immaginario popolare. E chissà cosa staranno pensando, da qualche parte nella galassia, quei ragazzi dai pantaloni corti e dalle bretelle lucide, che durante il periodo più buio del Novecento hanno saputo – matita in mano – rifornire i sogni e le speranze di una generazione cresciuta a pane e fumetti, esorcizzando con un mantello e una calzamaglia gli oscuri mali creati dall’uomo. Prendendoli, letteralmente, a pugni.

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Avengers? Assemble!

Così, ottant’anni dopo, Avengers: Endgame è dedicato soprattutto a coloro che hanno (in)consapevolmente disegnato il presente. E, allora, mentre aspettiamo che inizi l’Endgame – poche volte, prima di una press screening si è avvertita un’aria colma di trepidazione – ci sentiamo come quei ragazzi. Che con 3 cents e qualche penny in mano andavano alla grocery dietro l’isolato, pronti a divorare una carta profumata di colore e speranza. Da chi ci salverà, oggi, Captain America? Da chi ci proteggerà, domani, Iron Man? La risposta, ancora adesso, è sempre la stessa: dall’ineluttabile caos della vita. E, il caos, contrapposto alla ragione, è l’assoluto protagonista del film dei Fratelli Russo.

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Natasha Romanoff (Scarlett Johansson) Steve Rogers (Chris Evans).

È tanto, messo in 181 minuti che volano verso l’epilogo. Del resto «La fine è parte del viaggio». Inizia arrabbiato, quasi disperato Endgame, si rilassa e poi si arrabbia di nuovo. Le balene popolano l’Hudson e il Dio del Tuono, in uno sperduto villaggio di marinai e puzza di pesce, non si ricorda più chi sia. Ma guai, guai a parlare di Thanos. Tante teorie hanno accompagnato l’uscita del film ed è bello, necessario, fa parte del gioco, di quell’arazzo che Kevin Feige ha saputo cucire momento dopo momento. Ma come, dopo tutto questo tempo, si può riuscire a fare qualcosa di più grande? Semplice. Cancellando. Ricominciando. Ogni ipotesi è giusta, ogni ipotesi è errata. Come quel colpo d’istinto da seguire prima che sia troppo tardi, vada come vada. Senza pensarci, buttandosi ad occhi chiusi e cuore in mano dalla montagna più alta.

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Nat e Clint.

Allora il caos che tanto fa paura diventa mare da navigare, sulle rotte che portano ad un film definitivo, tragico, pieno, compatto, dilatato. Passato, presente e miracoli di un gruppo di supereroi alle prese con la domanda che non prevede risposta: essere o non essere? Vivere o non vivere? Tony Stark, che parla alla sua maschera dilaniata, come Amleto con il teschio del buffone Yorick. Endgame però dice anche altro: gli eroi che ci fanno sentire al sicuro sono anche loro frutto della precarietà, dell’indecisione, delle ansie. Un prospetto che, prima sulla carta e ora sul grande schermo, ci impone di scegliere da che parte stare. Sacrificare se stessi per un ideale, illudersi che domani il mondo sia un posto migliore.

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Essere o non essere, Tony?

Dunque, senza rivelare troppo di ciò che avviene (magnifico quanto agghiacciante), i fili di quell’arazzo vanno ad allacciarsi in un insieme di trama, characters e narrativa che lascia sbalorditi. Così, viene da pensare: ma davvero avevano pensato a questo? Episodio dopo episodio, Hulk, Cap, Tony, Nat, Clint e Thor, ci hanno spinto a provare la vita, ad essere noi, i soli eroi in grado di salvarci. Riesce nello humour e nelle distrazione, è dinamitardo nel dramma e nell’irreversibile. È quasi aureo nella battaglia finale. I Russo citano immagini e sensazioni del MCU, citano i poemi omerici e carolingi, ponendo l’attenzione sul valore dell’uomo prima che del superpotere.

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Ritorno al futuro.

E teatralmente ed epicamente, il destino di tutti, a film finito, torna agli estremi del quadro. Anche l’inizio è parte del percorso. Ogni sorpresa (molte sono inaspettate) di Endgame è consequenziale, e consapevole che (forse) sarà irreversibile. Nel bene e nel male, volando tra i rimorsi di ieri e le speranze di domani. Anzi, facendo sì che il tempo non esista, che sia un’equazione sbagliata. Perché se ci credi davvero, nulla è perduto. Magari, l’amore della tua vita è ancora lì ad aspettarti, mentre il giradischi suona It’s been a long, long time di Harry James e l’armonia virtuosa di uno swing. «So kiss me once, then kiss me twice, then kiss me once again. It’s been a long, long time. Long, long time». E adesso che tutto è finito? Adesso arriva il bello: gli Avengers siamo diventati (davvero) noi.

#DontSpoilTheEndgame

  • Qui potete vedere il trailer di Avengers: Endame:

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