ROMA – Undici anni, ventidue film, un cinema che ha cambiato il pubblico e l’approccio alle storie. Si potrebbe scrivere un’enciclopedia su come e quanto la Marvel abbia ricalcolato, tra attese ed emozioni, l’immaginario popolare. E chissà cosa staranno pensando, da qualche parte nella galassia, quei ragazzi dai pantaloni corti e dalle bretelle lucide, che durante il periodo più buio del Novecento hanno saputo – matita in mano – rifornire i sogni e le speranze di una generazione cresciuta a pane e fumetti, esorcizzando con un mantello e una calzamaglia gli oscuri mali creati dall’uomo. Prendendoli, letteralmente, a pugni.
Così, ottant’anni dopo, Avengers: Endgame è dedicato soprattutto a coloro che hanno (in)consapevolmente disegnato il presente. E, allora, mentre aspettiamo che inizi l’Endgame – poche volte, prima di una press screening si è avvertita un’aria colma di trepidazione – ci sentiamo come quei ragazzi. Che con 3 cents e qualche penny in mano andavano alla grocery dietro l’isolato, pronti a divorare una carta profumata di colore e speranza. Da chi ci salverà, oggi, Captain America? Da chi ci proteggerà, domani, Iron Man? La risposta, ancora adesso, è sempre la stessa: dall’ineluttabile caos della vita. E, il caos, contrapposto alla ragione, è l’assoluto protagonista del film dei Fratelli Russo.
È tanto, messo in 181 minuti che volano verso l’epilogo. Del resto «La fine è parte del viaggio». Inizia arrabbiato, quasi disperato Endgame, si rilassa e poi si arrabbia di nuovo. Le balene popolano l’Hudson e il Dio del Tuono, in uno sperduto villaggio di marinai e puzza di pesce, non si ricorda più chi sia. Ma guai, guai a parlare di Thanos. Tante teorie hanno accompagnato l’uscita del film ed è bello, necessario, fa parte del gioco, di quell’arazzo che Kevin Feige ha saputo cucire momento dopo momento. Ma come, dopo tutto questo tempo, si può riuscire a fare qualcosa di più grande? Semplice. Cancellando. Ricominciando. Ogni ipotesi è giusta, ogni ipotesi è errata. Come quel colpo d’istinto da seguire prima che sia troppo tardi, vada come vada. Senza pensarci, buttandosi ad occhi chiusi e cuore in mano dalla montagna più alta.
Allora il caos che tanto fa paura diventa mare da navigare, sulle rotte che portano ad un film definitivo, tragico, pieno, compatto, dilatato. Passato, presente e miracoli di un gruppo di supereroi alle prese con la domanda che non prevede risposta: essere o non essere? Vivere o non vivere? Tony Stark, che parla alla sua maschera dilaniata, come Amleto con il teschio del buffone Yorick. Endgame però dice anche altro: gli eroi che ci fanno sentire al sicuro sono anche loro frutto della precarietà, dell’indecisione, delle ansie. Un prospetto che, prima sulla carta e ora sul grande schermo, ci impone di scegliere da che parte stare. Sacrificare se stessi per un ideale, illudersi che domani il mondo sia un posto migliore.
Dunque, senza rivelare troppo di ciò che avviene (magnifico quanto agghiacciante), i fili di quell’arazzo vanno ad allacciarsi in un insieme di trama, characters e narrativa che lascia sbalorditi. Così, viene da pensare: ma davvero avevano pensato a questo? Episodio dopo episodio, Hulk, Cap, Tony, Nat, Clint e Thor, ci hanno spinto a provare la vita, ad essere noi, i soli eroi in grado di salvarci. Riesce nello humour e nelle distrazione, è dinamitardo nel dramma e nell’irreversibile. È quasi aureo nella battaglia finale. I Russo citano immagini e sensazioni del MCU, citano i poemi omerici e carolingi, ponendo l’attenzione sul valore dell’uomo prima che del superpotere.
E teatralmente ed epicamente, il destino di tutti, a film finito, torna agli estremi del quadro. Anche l’inizio è parte del percorso. Ogni sorpresa (molte sono inaspettate) di Endgame è consequenziale, e consapevole che (forse) sarà irreversibile. Nel bene e nel male, volando tra i rimorsi di ieri e le speranze di domani. Anzi, facendo sì che il tempo non esista, che sia un’equazione sbagliata. Perché se ci credi davvero, nulla è perduto. Magari, l’amore della tua vita è ancora lì ad aspettarti, mentre il giradischi suona It’s been a long, long time di Harry James e l’armonia virtuosa di uno swing. «So kiss me once, then kiss me twice, then kiss me once again. It’s been a long, long time. Long, long time». E adesso che tutto è finito? Adesso arriva il bello: gli Avengers siamo diventati (davvero) noi.
#DontSpoilTheEndgame
- Qui potete vedere il trailer di Avengers: Endame:
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