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Aliens | James Cameron, Sigourney Weaver e un sequel praticamente perfetto

I conflitti con la 20th Century Fox, la legacy di Alien e la maternità di Ellen Ripley. Su Disney+

Sigourney Weaver nel poster di Aliens -Scontro finale.

ROMA – Molto prima di diventare regista visionario, James Cameron è stato inserviente scolastico e camionista: era così che si guadagnava da vivere. Secondo le cronache dell’epoca, è proprio in quel periodo della sua vita che vide Alien di Ridley Scott. Ricordandosi delle sensazioni e delle emozioni provate guardando quel Dieci piccoli indiani nello spazio, Cameron si chiese perché mai un film perfetto come Alien avrebbe dovuto aver bisogno di un sequel. Sarebbe stato impossibile ricreare quella perfetta mistura narrativa di terrore, fantascienza ed inerzia scenica. O no? L’unico modo, secondo Cameron, era quello di proporre qualcosa di diverso ma allo stesso tempo familiare. Che andasse, cioè, a ricalcare lo stile del capostipite ma che camminasse sulle proprie gambe: inizia il viaggio di Aliens – Scontro finale, il sequel definitivo. Nello specifico immaginava qualcosa che combinasse l’orrore di Alien con il dinamismo del primo successo: l’immortale Terminator.

I titoli di testa di Aliens - Scontro finale
I titoli di testa di Aliens – Scontro finale

Fu questa la ratio filmica alla base del trattamento-light di 42 pagine buttato giù da Cameron in appena tre giorni. Un’ispirazione arrivatagli grazie anche al co-produttore e regista Walter Hill e dal suo soggetto-sequel intitolato Ripley e gli alieni. Eppure non fu affatto facile trovare il coraggio di andare oltre Alien, specie tenendo conto del peso specifico assunto dall’opera nell’immaginario collettivo. C’erano molte perplessità attorno alla scelta di puntare su Cameron alla regia di Aliens: relativamente giovane, inesperto, con appena due regie all’attivo (Xenogenesis, Piraña paura). Dalla sua fu proprio il successo di Terminator a fargli acquistare una grossa fetta di credibilità agli occhi dei dirigenti della 20th Century Fox, oltre che tempo. Per via delle riprese di Conan il distruttore infatti la lavorazione di Terminator verrà rimandata di nove mesi, periodo in cui Cameron sviluppò il trattamento a 90 pagine da cui trarrà poi la sceneggiatura definitiva.

Ellen Ripley passa alle maniere forti

Nonostante il successo del predecessore ci vollero sette anni prima che Aliens ottenesse il via dalla produzione. La Brandywine Productions di Roger Corman l’avrebbe messo in cantiere già nel 1979. Dello stesso avviso Alan Ladd Jr. che avrebbe anche dato il benestare se non fosse che i suoi giorni alla Fox erano prossimi a concludersi. Poche settimane dopo infatti Ladd Jr. avrebbe lasciato la sua scrivania per fondare la The Ladd Company. Al suo posto arrivò Norman Levy che, a differenza del suo predecessore, riteneva Aliens una pessima idea. In realtà un po’ tutti i dirigenti della Fox ci credevano pochissimo, specie perché ritenevano il successo di Alien un autentico colpo di fortuna, figuriamoci il sequel di un film fortunoso appartenente a un genere dall’appeal calante. Le cose presero una piega ancora più critica quando la Brandywine di Hill e Gordon Carroll citò in giudizio la Fox.

Carrie Henn è Newt

Il motivo? La mancata divisione dei profitti di Alien. A quanto pare, attraverso metodi contabili poco chiari, la Fox aveva dichiarato Alien una perdita finanziaria nonostante gli oltre 100 milioni di dollari d’incassi a fronte di un budget di appena 11 milioni. La causa legale si protrasse fino al 1983, risolta in favore della Brandywine. Oltre a corrispondere il mancato pagamento più gli interessi moratori, la Fox avrebbe finanziato l’intero sviluppo di Aliens senza curarne la distribuzione se avessero mantenuto la stessa posizione ostruzionistica: niente incassi, un investimento (stavolta si!) a perdere. Fortunatamente per la Fox il nuovo dirigente-capo Joe Wizan era decisamente più favorevole alla realizzazione di Aliens (lo trovate su Disney+). Nel dare il via alla ricerca di uno script spendibile si imbatterono proprio in Cameron di cui rimasero colpiti – oltre che da Terminator – dalla sceneggiatura di Rambo II scritta a quattro mani con Sly Stallone.

Sigourney Weaver e Michael Biehn sono Ellen Ripley e il Caporale Hicks in una scena di Aliens
Sigourney Weaver e Michael Biehn sono Ellen Ripley e il Caporale Hicks

Nonostante Cameron credesse in Aliens, il peso della legacy artistica era talmente opprimente che tanti, troppi fattori, gli andavano contro: tutti intorno a lui gli consigliavano di lasciar perdere. Il rischio palpabile era che in ogni caso Cameron c’avrebbe rimesso la faccia: se fosse stato un successo avrebbero dato ogni merito a Scott, a parti invertite ogni demerito a Cameron. Lo stesso Scott, dal canto suo, era convinto che non gli avessero mai offerto di dirigere il sequel perché già Alien non fu proprio una passeggiata, figuriamoci bissarne il successo. Cameron però no. Vedeva tutto avvolto in un velo di leggerezza ma pose immediatamente una condizione affinché il sequel funzionasse a dovere: Sigourney Weaver come protagonista. C’era un (grosso) problema però: la Weaver non ne voleva sapere. Non voleva tornare nei panni di Ellen Ripley per mere ragioni finanziarie, la lettura dello script di Cameron le fece cambiare idea.

La Regina

«Se Alien era stato paragonato a una casa stregata, Aliens è più un ottovolante», diceva così Cameron nel delineare un confronto evocativo tra capostipite e sequel. E in effetti, numeri alla mano, la narrazione alla base di Aliens è esattamente questo: un ottovolante di sfumature allegoriche sullo sfondo dell’immortale capolavoro di Scott e del suo genio registico. Al contempo però Aliens ne prende le distanze risplendendo di luce propria più che riflessa in un processo creativo di perfetta unione tra tradizione e innovazione. Partire, cioè, dalla legacy di Alien e dei suoi eventi per costruire una narrazione nel cui seno crescono gemme tematiche pronte ad esplodere come granate in una miscellanea di sapori filmici del tutto inediti se paragonati all’opera scottiana. Aliens nasce infatti come eccezionale narrazione sul reaganismo nella misura in cui consideriamo l’epica da eroina tragica di Ripley e la sua dimensione individuale da self-made-woman/donna sola al comando.

Sigourney Weaver e Carrie Henn in una scena di Aliens
Sigourney Weaver e Carrie Henn

Evolve poi in una denuncia all’orrore bellico del Vietnam tra la gestione della componente traumatica di Ripley da reduce, nonché dell’inerzia militare nella gestione della campagna sul planetoide alieno, per poi consegnarsi all’immortalità cinematografica come opera sulla maternità nello spazio profondo: la più preziosa delle tre sfumature perché prosecuzione, evoluzione e consolidamento dell’anima femminista della narrazione scottiana non più fatta emergere alla distanza ma didascalicamente al centro del racconto (del resto, pura espressione delle donne forti cameroniane). Laddove Alien muoveva l’intero racconto sul tema della nascita tra gusci di ipersonno e uova aliene, Aliens, al contrario, procede verso l’inevitabile step successivo: la crescita e il relativo ruolo del genitore. Elemento reso da Cameron in un doppio arco narrativo madre/figlia a polarità invertita tra Ripley/Newt e Regina/alieni che troverà il suo completamento in quel climax pirotecnico e ormai leggendario.

Il pirotecnico climax

Manco a dirlo tra Alien e Aliens muta drasticamente la cornice di racconto. Il denso survival horror declinato in una perfezione registica chiaroscurale e dal marcato tono claustrofobico dell’high-concept Alien, lascia il posto ad un low-concept d’amplificazione totale e generale delle componenti del racconto che, oltre ad una maggior complessità tematico-narrativa su corposa base action, vede un aumento esponenziale delle armi in dotazione ai Marines, degli alieni in scena in termini numerici e di ferocia, nonché dello stesso Alien/villain al centro del racconto: la mastodontica Regina di Stan Winston. Una differenza marcata su cui Cameron si è così espresso: «Penso di aver seguito le orme di Alien che era il classico modello Dieci piccoli indiani. In Aliens tre personaggi prevalgono alla fine. […] Riguarda più i legami familiari anche se è una pseudo-famiglia e la cooperazione è contro un nemico, quindi non segue esattamente il modello slasher».

Il ruolo della maternità in Aliens

Presentato fuori concorso a Venezia 43 il 7 settembre 1986. Con oltre 131 milioni di dollari d’incasso world-wide, Aliens stravince la prova del tempo consegnando alla storia del cinema un James Cameron che tra Terminator 2: Il giorno del giudizio e Avatar 2 (e successivi) si sta specializzando come macchina da sequel. Del resto è con un sequel che ha iniziato: quel Piraña paura noto oltreoceano come Piranha Part Two: The Spawning, sequel dell’omonimo film di Joe Dante del 1979. Sul valore di Aliens bastano le parole pronunciate dallo stesso Cameron all’edizione 2016 del COMICON: «Devo togliermi il cappello da regista e guardarlo con gli occhi del film: ci sono certe battute, momenti, ricordi. È un film soddisfacente. Ma in realtà penso che lo siano quei personaggi. Possiamo tutti identificarci con Hudson/Bill Paxton che corre in giro e dice ‘cosa diavolo faremo adesso?’. Conosciamo tutti quel ragazzo».

«Se Alien era stato paragonato a una casa stregata, Aliens è più un ottovolante»
«Se Alien era stato paragonato a una casa stregata, Aliens è più un ottovolante»

Ironicamente, il film in cui non credeva nessuno, né la Fox né lo stesso Scott (forse solo Hill oltre che Cameron) per certi versi è perfino superiore al capostipite. Il sequel definitivo, l’inversione di tendenza per cui il secondo capitolo non è mai all’altezza del primo: Aliens è più che degno di Alien. Una scommessa stravinta da Cameron la cui visione folle e mastodontica permise di consolidare sempre più l’immaginario collettivo di quei letali xenomorfi sbucanti dalle fo***te pareti di cui non possiamo semplicemente più fare a meno: una grande pagina del nostro amato cinema.

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Qui sotto potete vedere il trailer del film:

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