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200 metri | L’odissea di un uomo e quel film che raccontava il dramma della Palestina

L’esordio alla regia di Ameen Nayfeh? Un’opera attualissima che oggi va assolutamente recuperata

Ali Suliman,, il protagonista di 200 metri.

MILANO – Già vincitore del premio del pubblico alle Giornate degli Autori a Venezia ormai tre anni fa, va assolutamente rivisto alla luce degli ultimi eventi 200 metri, piccolo ma prezioso film palestinese co-prodotto anche dall’Italia, ora in streaming su I Wonderfull, AppleTV+ e CHILI. Al centro della vicenda, Mustafa, padre di famiglia che vive a 200 metri (appunto) dall’abitazione di moglie e figli, ma con la barriera di separazione israeliana a dividere le case. Mentre la moglie Salwa ha accettato di lavorare dall’altra parte della barricata, Mustafa non accetta sia necessario un visto israeliano per poter vivere nella propria terra. Deve così limitarsi ad un gioco di luci notturne per poter dare la buonanotte alla moglie e ai figli, ma l’infortunio di uno di loro darà uno scossone all’opprimente status quo. Complice un disguido burocratico, Mustafa si vedrà costretto a sottoporsi ad un’odissea sulla linea del confine, pagare un contrabbandiere e affrontare duecento chilometri di viaggio (con annessi rischi) per compiere una tratta così incredibilmente breve in linea d’aria.

200 metri
Ali Suliman è Mustafa in una scena di 200 metri.

Questa in breve la trama di un film che, per quanto paradossale possa apparire ai nostri occhi, è perfettamente credibile se calata nel contesto del conflitto tra Israele e Palestina. E non a caso il regista, Ameen Nayfeh, al suo esordio, non nega che 200 metri racconti in parte la sua storia, così come quella, in fondo, di migliaia di palestinesi. In un conflitto così duraturo e senza previsioni di miglioramento (e oggi siamo sull’orlo del baratro) ci si abitua persino alla negazione dei propri diritti fondamentali. Come la libertà di movimento. Se L’uomo che vendette la sua pelle giocava su un paradosso assurdo per mostrare le conflittualità del nostro tempo, 200 metri affronta la violazione di questo diritto fondamentale più di petto, generando consapevolezza su cosa significhi vivere nel quotidiano in un’area di conflitto da tempo immemore.

Un’altra immagine del film di Ameen Nayfeh

Ciò che più si apprezza nella pellicola, come indirettamente dichiarato in una “scena nella scena”, è che il regista non sia affatto intenzionato a fare un film che scuota le coscienze, spiattellando con rabbia al mondo che li ha dimenticati quali soprusi si accettino in quell’area. L’intento è piuttosto quello di dimostrare – con una discrezione dirompente – quanto inaccettabile sia forzare la scissione di una famiglia o, più semplicemente, pensare sia possibile costruire barriere fisiche per demarcare un territorio. 200 metri non è esente dai difetti che spesso caratterizzano le opere prime, ma rimane potente nel restituire con semplicità un’idea della situazione che spesso fatichiamo a seguire, anche per l’eccessiva complessità con la quale ci viene in genere presentata.

200 metri
In attesa: un altro passaggio della pellicola.

«Questo film è la mia storia», disse al momento dell’uscita il regista, «ma è anche la storia di migliaia di palestinesi. Qui in Palestina siamo abituati ad adattarci a nuove situazioni, a fare come viene detto e a mascherare i nostri sentimenti. Ma questo non dovrebbe essere più accettabile. La libertà di movimento è un diritto umano fondamentale che appare come una favola in una realtà così brutale. Il protagonista, Mustafa, ha obbedito alle regole, ha sopportato l’umiliazione e ha fatto come gli è stato detto per garantirsi una piccola possibilità di stare con la sua famiglia, ma quando quelle stesse regole che lo hanno alienato mettono in pericolo i suoi cari e il senso della paternità, potrà ancora obbedire?». Un piccolo grande film che è la perfetta esemplificazione della teoria secondo cui raccontare la storia con le storie sia sempre una carta vincente. Da recuperare, oggi più che mai…

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