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La Signora del Venerdì | Cary Grant, Rosalind Russell e la modernità di un capolavoro

I temi, The Front Page, Howard Hawks e quella cena rivelatrice: Ottantacinque anni di un classico

Cary Grant e Rosalind Russell in una scena di La Signora del Venerdì, film di Howard Hawks del 1940
Cary Grant e Rosalind Russell in una scena di La Signora del Venerdì, film di Howard Hawks del 1940

ROMA – Intanto il titolo, perché se La Signora del Venerdì ha una sua certa musicalità e nota di colore che va subito a identificarne l’appartenenza al genere della commedia sofisticata, in realtà ha poco a che vedere con l’originale His Girl Friday di cui è null’altro che una semplice (e un po’ improvvisata) traduzione letterale. Perché la Girl Friday del titolo è una Ragazza Friday. Un epiteto giornalistico con cui si era soliti chiamare l’assistente personale del Direttore incaricata di svolgere una serie di faccende che avevano poco a che vedere con la stesura di articoli. Il curioso nome, infatti, non allude al Venerdì che dà poi inizio al weekend, ma all’omonimo indigeno-amico del Robinson Crusoe di Daniel Defoe. È un titolo ironico – come lo è il cinema tutto di Howard Hawks – perché la Signora del titolo, Hildy Johnson, è tutto meno che un’assistente di Walter Burns.

Rosalind Russell in una scena di La Signora del Venerdì
Rosalind Russell in una scena di La Signora del Venerdì

È una sua pari, ed è un mondo, quello fotografato da Hawks tra le maglie narrative di La Signora del Venerdì, dove non è il genere a determinare l’individuo, piuttosto l’intelligenza, il talento e le proprie capacità. Ed è forse questa la principale ragione per cui oggi, a ottantacinque anni di distanza da quel 18 gennaio 1940 che lo vide approdare nelle sale statunitensi con Columbia Pictures, il film non intende smettere di stupire e destare meraviglia. Perché nei contorni caratteriali di Hildy vive un archetipo straordinario e senza tempo in imperfetto bilico tra emancipazione lavorativa e ordinaria vita familiare, amori tumultuosi e altri confortevoli, desiderio e impotenza emotiva, che se il raffreddato happy-ending – o per meglio dire effetto di chiusura – riporta al punto di partenza nella sua circolarità narrativa, dall’altro è rivelazione dell’amoralità e delle manipolazioni egoistiche del fallimento allo sviluppo caratteriale di Walter.

Cary Grant in un momento del film
Cary Grant in un momento del film

Un agente scenico odioso, tossico, pessimo su tutta la linea, ma che lo charme di Cary Grant ha finito con il rendere divertentissimo, irresistibile e immortale perché mattatore assoluto e depositario dell’anima comica di La Signora del Venerdì (lo trovate oggi in streaming su Prime Video ed Apple TV+) nonostante la critica dell’epoca lo ritenesse un autentico miscasting. In origine, infatti, ci sarebbe dovuto essere uno fra Clark Gable – che interpreterà poi un ruolo similare in 10 in amore, nel 1958 – e il radiocronista Walter Winchell al suo posto. Questo perché da principio La Signora del Venerdì sarebbe dovuto essere un diretto remake e non un semplice rifacimento di The Front Page, film pre-Code del 1931 di Lewis Milestone con protagonisti Adolphe Menjou e Pat O’Brien ispirato, a sua volta, dall’omonima pièce teatrale di Ben Hecht e Charles MacArthur del 1928.

La Signora del Venerdì di Howard Hawks fu distribuito nelle sale statunitensi da Columbia Pictures il 18 gennaio 1940
La Signora del Venerdì di Howard Hawks fu distribuito nelle sale statunitensi il 18 gennaio 1940

Che poi è il vero inizio della storia di La Signora del Venerdì. Nello specifico una sera in cui, nel bel mezzo di una cena in cui Hawks era tra gli invitati, si iniziò a parlare della brillantezza degli scambi vivaci del copione di The Front Page che il regista, anni dopo, arrivò a definire come: «Il miglior dialogo moderno mai scritto». Così, un po’ per gioco, fu improvvisata una sessione di lettura con Hawks che iniziò a leggere le battute di Walter mentre un’ospite femminile presente alla cena quelle di Hildy. In quel momento gli venne un’illuminazione. Hawks capì come il dialogo suonasse più vero e spontaneo se Hildy fosse stata un personaggio femminile anziché maschile. Di lì a poco non ci volle molto prima che si assicurasse i diritti di utilizzazione economica dal titanico Howard Hughes, con Hecht che diede il benestare approvando l’idea del genderswap.

Ralph Bellamy, Rosalind Russell e Cary Grant in un momento del film
Ralph Bellamy, Rosalind Russell e Cary Grant in un momento del film

Anni dopo, durante la lavorazione di Avventurieri dell’aria, propose l’idea a Grant che si mostrò subito entusiasta. Ora si trattava solo di convincere l’allora Presidente della Columbia Harry Cohn, che non si convinse del genderswap finché Hawks non organizzò una sessione di lettura con Grant come Walter e la segretaria di Hawks in quelli di Hildy. Per gennaio 1939, la Columbia diede il via libera a La Signora del Venerdì con in un primo momento lo sceneggiatore Gene Fowler a curare l’adattamento dopo che Hecht e MacArthur si rivelarono indisponibili per impegni pregressi. Solo che Fowler si tirò indietro anzitempo perché sentiva davvero poco nelle sue corde il genderswap di Hildy. Quindi Charles Lederer, che aveva lavorato all’adattamento cinematografico del 1931 e che aggiunse delle note di colore convincenti in modo da rendere più autentica e viva la backstory dei personaggi nelle nuove e tutto sommato inedite forme caratteriali.

Rosalind Russell e Cary Grant in un momento del film
Rosalind Russell e Cary Grant in una scena del film

Decise, infatti, che Hildy e Walter erano una coppia infelice separata dal lavoro, che avrebbero divorziato e che le intenzioni di Hildy di risposarsi sarebbero servite a Walter come motivazione per dar vita al sottile (ed esilarante!) gioco di intrighi e manipolazioni con cui riconquistarla. In tutto Lederer scrisse tre draft per La Signora del Venerdì con Hecht che lo aiutò tra stimoli creativi e revisioni organizzative. Ognuno di questi aveva un finale completamente diverso. Nel primo Walter finge un incidente che spinge Hildy a dichiarare il suo amore, nel secondo – esattamente come nell’originale teatrale – Walter lascia andare Hildy per poi farla arrestare. Non ultimo il terzo, quello definitivo, con Walter che libera Hildy dandole la sua benedizione e lei, impressionata dal gesto, che si convince a restare. Per le riscritture, invece, Hawks si affidò a Morrie Ryskind per rendere più pungenti alcune componenti dialogiche.

Ralph Bellamy e Cary Grant in un momento del film
Ralph Bellamy e Cary Grant in un momento del film

Ne riscrisse oltre la metà di quelle originali di Lederer ed Hecht, e perfino un nuovo finale (mai utilizzato) con Walter e Hildy che dopo essersi detti «Lo voglio» al matrimonio tenutosi in sala stampa, iniziano immediatamente a litigare tra le risate generali. Dopo aver esaminato lo script, l’Ufficio Hays non riscontrò problemi particolari, a parte alcuni commenti denigratori verso i giornalisti e alcuni comportamenti ritenuti illegali dei personaggi. Questo diede il via libera a Hawks per l’agognata ricerca della sua protagonista femminile. Jean Arthur fu la prima scelta ma rifiutò la parte (e per questo la Columbia la sospese per un po’ di tempo). Poi, nell’ordine, Joan Crawford, Katharine Hepburn, Carole Lombard (a cui la Columbia disse no perché il suo status da free-agent rese il suo cachet proibitivo), Margaret Sullavan, Ginger Rogers, Claudette Colbert e Irene Dunne (che rifiutò seccamente).

Rosalind Russell in una scena di La Signora del Venerdì
Rosalind Russell in una scena di La Signora del Venerdì

Quindi Rosalind Russell che la Columbia ebbe in prestito dalla MGM – Metro-Goldwyn-Meyer e che aveva appena finito di girare Donne con George Cukor. Seppe del casting nella maniera peggiore possibile: da un articolo sul New York Times in cui c’era scritto che Cohn si trovò costretto a ingaggiarla perché tutte le stelle di Hollywood dissero di no a La Signora del Venerdì. In tutta risposta, dopo che Hawks iniziò a trattarla con indifferenza il primo giorno di lavorazione, Russell gli disse chiaro e tondo: «Non mi vuoi qui, vero? Beh, sei bloccato qui con me, quindi potresti anche provare a trarre un vantaggio dalla cosa!». E la cosa ebbe ripercussioni anche nelle settimane successive con l’attrice che si rese conto che le sue battute non erano all’altezza di quelle di Grant. Assunse così uno scrittore pubblicitario tramite suo cognato in modo da averne di migliori.

Rosalind Russell, Cary Grant e Howard Hawks sul set de La Signora del Venerdì
Rosalind Russell, Cary Grant e Howard Hawks sul set de La Signora del Venerdì

La cosa passò inosservata lì per lì, perché Hawks stesso diede loro libertà d’azione e d’improvvisazione incoraggiando una recitazione aggressiva e che fosse diversa, vivace, ricca di imprevisti. Chi se ne accorse quasi subito fu Grant, che su quel set si divertì talmente da non farci caso, finendo con incoraggiarne l’estro creativo. E questo ci porta all’altra ragione del perché non possiamo fare a meno di amare La Signora del Venerdì: la velocità dei dialoghi. Per capirci, un normale ritmo dialogico nella maggior parte dei film si aggira intorno alle 90 parole al minuto. In quello di Hawks ce ne sono 240. Dialoghi scattanti e sovrapposti tra interruzioni e discorsi rapidi che garantiscono a La Signora del Venerdì un ineguagliabile ritmo sincopato reso possibile da un prodigio tecnico di registrazione audio multitraccia artigianale che prevedeva l’accensione-spegnimento dei vari microfoni sopraelevati fino a 35 volte nella stessa sequenza.

Nei cinema italiani il film fu distribuito il 23 agosto 1946
Nei cinema italiani il film fu distribuito il 23 agosto 1946

Un’intuizione che diede realismo e carattere al film, frutto di una considerazione che Hawks confessò a Peter Bogdanovich nel corso di un’intervista contenuta nel celeberrimo Who Devil Made It: Conversations with Legendary Film Directors del 1998: «Avevo notato che quando le persone parlano, parlano l’una sull’altra, specialmente le persone che parlano velocemente o che stanno discutendo o descrivendo qualcosa. Quindi abbiamo scritto i dialoghi nel film in un modo che rendeva inutili l’inizio e la fine delle frasi, erano lì per sovrapporsi». Il risultato? Ottantacinque anni dopo siamo ancora qui a parlarne, perché La Signora del Venerdì è intramontabile storia del cinema. Un capolavoro, un punto di riferimento assoluto e un film che fa scuola a ogni visione.

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