ROMA – Per capire bene l’importanza de Il fiume rosso di Howard Hawks del 1948 nella storia del cinema basti pensare al ruolo che ebbe nell’altrettanto intramontabile L’ultimo spettacolo. Nell’illusione filmata da Peter Bogdanovich, Il fiume rosso è l’ultima proiezione del piccolo cinema di Anarene, in Texas, prima della chiusura definitiva. È anche – e soprattutto – il momento che sancisce non solo la definitiva riconciliazione tra Sonny (Timothy Bottoms) e Duane (Jeff Bridges), ma anche la fine della loro giovinezza visto che di lì a poco la guerra di Corea deciderà per le loro vite. Una scelta tutt’altro che causale per Bogdanovich, visto il ruolo speciale che ha avuto il film di Hawks nella sua formazione giovanile: «Il fiume rosso? Era il mio film preferito quando avevo dieci anni…». E, d’altra parte, non poteva che essere altrimenti e così partiamo proprio da qui per la nuova puntata di West Corn, la nostra rubrica dedicata ai western di ieri e di oggi.
Tra le maglie narrative de Il fiume rosso – classico costruito su di una transumanza di 10.000 capi di bestiame lungo il percorso della storica Pista Chislom e il leggendario fiume Red River – c’è un cuore pulsante da fiaba per adulti come solo il grande cinema moderno americano sa raccontare. Un film fatto di cupidigia, violenza, brama di potere, sogni dissolti, amicizia virile e amori date alla fiamme, di cui l’anti-eroe/villain, l’allevatore Tom Dunson (John Wayne), si fa portare sano. Un uomo, Dunson, perfetto simulacro dell’uomo del West che segue il proprio Sogno Americano nella frontiera, che la narrazione di Hawks nel suo viaggio fordiano, o del viaggio come esplicitazione dell’arco di trasformazione, finisce con il rendere arido e spietato, in particolare verso il giovane Matt Garth (Montgomery Clift).
Un orfano suo protetto dall’anima pura e dal volto pulito, antitesi caratteriale del demonico Dunson. Nel mezzo, Groot Nadine (Walter Brennan), il collante e l’anima riflessiva e giocosa de Il fiume rosso. A nulla può quando, al momento del climax, l’unica soluzione per Dunson e Garth è quella di risolvere il tutto con una scazzottata alla vecchia maniera. E qui si scatena la magia de Il fiume rosso perché Hawks, in un punto in cui la tensione narrativa si taglia con un coltello, l’asciuga del tutto, ribalta l’inerzia del momento e spiazza lo spettatore trasformando un momento di dolore in uno di gioia, amore e ricongiunzione, grazie all’appassionato intervento sentimentale della giovane Tess (Joanne Dru). Un momento magico che ha contribuito a rendere leggendario il retaggio del film di Hawks.
Il climax de Il fiume rosso – seppur in maniera più didascalica nella costruzione e nell’esecuzione – è fatto della sostanza del momento-chiave di Sentieri selvaggi di John Ford, quello per cui Jean-Luc Godard ebbe a dire: «L’amore che si prova per Wayne quando solleva Natalie Wood nel finale racchiude il mistero e il fascino del cinema americano…». Eppure, che ci crediate o meno, non fu accolto benevolmente dal pubblico e nemmeno da chi vi prese parte. Un esempio? Montgomery Clift, allora 28enne, che ritenne il climax ridicolo: «Joanne Dru che interviene e risolve la contesa rende l’intero momento tra me e John Wayne una farsa…». Ma in generale non fu mai un grande estimatore né del film in sé, né della sua performance come Matt: «Mi sono riguardato e sapevo solo che sarei stato famoso».
Un certo malessere figlio, in verità, di una lavorazione difficile per Clift e questo al di là del fatto che Il fiume rosso fu il primo ruolo cinematografico per lui. A tal proposito, se è vero che, in via ufficiale, il primo film a cui prese parte Clift fu Odissea Tragica di Fred Zinnemann (il film fu distribuito nelle sale statunitensi il 26 marzo 1948), Il fiume rosso – che nei cinema d’oltreoceano ci arrivò grazie a United Artists il 17 settembre 1948 – fu in realtà girato nel 1946 ma rimase bloccato per due anni a causa di un montaggio fino a quel punto poco convincente. Questo finché il collaboratore stretto di Hawks, Christian Nyby, non intervenne prontamente dandovi amalgama e coerenza. Oltre a questo però Hawks dovette avere a che fare con una noia legale che creò ulteriori rallentamenti.
Dopo aver visionato un cut preliminare de Il fiume rosso il vulcanico produttore Howard Hughes accusò il suo quasi omonimo collega Hawks di plagio, sostenendo che il film fosse troppo simile a Il mio corpo ti scalderà del 1943 (di cui Hawks firmò la regia). Si risolse il tutto in nulla di fatto che però impedì al film di uscire, come concordato con la Monterey Productions e United Artists, nel 1946. Tornando a Clift invece, non solo era nervoso all’idea di opporsi a Wayne, ma proprio non riusciva a entrarvi in sintonia. Il motivo? Principalmente politico: Clift era un democratico dichiarato, Wayne un repubblicano tutto d’un pezzo. Ma non solo. Non riuscirono mai a ritrovarsi, nemmeno nelle partite notturne di poker organizzate da Hawks: «Ridevano, bevevano, si raccontavano barzellette sporche, si davano pacche sulle spalle».
Clift apparteneva semplicemente a un altro mondo: «Cercavano di attirarmi nella loro cerchia ma non potevo andare d’accordo con loro. L’intera roba del machismo mi ripugnava, mi sembrava solo forzata e inutile». Il risultato fu che, quando alla fine degli anni Cinquanta Hawks ragionò sulle scelte di casting per Un dollaro d’onore e propose a Clift la parte di Dude (poi andata a Dean Martin che la rese unica), rifiutò seccamente pur di non ricongiungersi con Wayne e Brennan. Se Clift non riuscì mai ad innamorarsi de Il fiume rosso, lo stesso non può dirsi di Wayne per cui, in realtà, il film rappresentò un prezioso turning point. E dire che le cose, durante la pre-produzione, non partirono esattamente con il piede giusto. Specie perché, in origine, la parte di Tom Dunson sarebbe dovuta essere di Gary Cooper.
E sarebbe stata anche dell’ex-Sergente York se, dopo aver letto lo script di Borden Chase e Charles Schnee, Cooper non si fosse reso conto che l’aura caotica di Dunson sarebbe stato un boomerang per la sua carriera costruita prevalentemente su personaggi benevoli. In seconda battuta proprio Wayne che accettò la parte solo se Il fiume rosso fosse stato pensato come un vero western e non come una una pallida imitazione. Perché Hawks, poco avvezzo al genere, pensò di affrontare un film dalla simile portata senza l’adeguato supporto tecnico. In una riunione di produzione assieme a Hawks e l’executive Charles K. Feldman, Wayne suggerì di ingaggiare mandriani e cowboy professionisti, almeno una dozzina di cavalli, mille capi di bestiame e di aumentare il budget di ben oltre il 50%. Fu accontentato in tutto e rese il film leggendario.
Dall’altra parte però, furono molteplici le discussioni tra Hawks e Wayne per la gestione dell’aspetto di Dunson. Hawks, ad esempio, credeva che oltre ai capelli grigi e le rughe, Wayne avrebbe dovuto muoversi e parlare in modo diverso tanto da suggerirgli di consultarsi con Brennan in merito. Wayne però trovò lo strascicare e il barcollare dannosi per un Dunson dalla simile componente caratteriale (oltre che per la sua immagine pubblica). Scelse di fare a modo suo, inserendo sottili movimenti per trasmettere gli anni avanzati, oltre che svariate improvvisazioni a tutto campo. Ormai Hawks era conquistato: «John non si lamenta mai di niente, è la persona più semplice con cui abbia mai lavorato. Non dice nulla al riguardo, va avanti e lo fa. È un attore dannatamente bravo, fa tutto e te lo fa credere».
Come Tom Dunson, Wayne conquistò critica e pubblico rivelandosi come un interprete straordinario: eroico, fragile e drammaticamente intenso. E infatti le parole al miele di Hawks non finirono di certo lì: «John è un attore decisamente sottovalutato. Tiene insieme una cosa, gli conferisce solidità e onestà. Rappresenta più forza e più potere di chiunque altro sullo schermo». Se ne accorse perfino il suo regista di riferimento, John Ford, che lo plasmò a icona western con Ombre rosse, che dopo aver visto Il fiume rosso si espresse così sul suo John Wayne: «Non avrei mai saputo che un figlio di put**na come lui potesse recitare». Da lì in poi arriveranno Il massacro di Fort Apache, I cavalieri del Nord Ovest, Rio Bravo, Un uomo tranquillo e tanto altro ancora. Tutte pagine indimenticabili del cinema del cuore cucite addosso al poliedrico talento di Wayne.
- WESTCORN | I Cavalieri del Nord Ovest, il cuore romantico della Cavalleria
- LEGENDS | Monty Clift, l’eterno ribelle di Hollywood
- LONGFORM | Un uomo tranquillo, il cuore d’Irlanda di John Ford
Qui sotto potete vedere il trailer del film:
Lascia un Commento