BENEVENTO – «Se perdiamo la compassione allora è davvero finita. Non possiamo più definirci umani». Al festival di Benevento per presentare una nuova serie, The Hot Zone, e chiudere i conti con il suo Davos Seaworth e Game of Thrones, Liam Cunningham si permette una piccola deviazione: «Ma non voglio fare di politica. Dico semplicemente che se permettiamo a leader populisti di impaurirci e farci negare l’accoglienza siamo sulla strada sbagliata. I siriani accolsero migliaia di polacchi durante la Seconda Guerra Mondiale. Perché non è accaduto il contrario?». Brillante e sempre pronto alla battuta («Sì, sono qui anche per il vino»), Liam Cunningham ha raccontato The Hot Zone, dal 4 settembre in onda su Fox, ma non solo.
THE HOT ZONE «Sulla carta potrebbe sembrare una storia noiosa, piena di dati scientifici, dottori, test, scienziati e molto altro, invece c’è questo nemico invisibile che nello show chiamiamo il mostro e che è l’Ebola. Siamo nel 1989, al tempo della primi grande crisi. L’aspetto inquietante? Che oggi si sta vivendo una seconda rinascita dell’Ebola, anche se spesso non si dice, e l’Africa non è più un continente lontano o alieno, ma un luogo raggiungibile in dieci ore di volo. La decisione di far diventare The Hot Zone una serie e non un documentario ci permetterà di raggiungere molte più persone, così come il cast: Topher Grace, Julianna Margulies, Noah Emmerich».
KEN E STEVE «Nella mia carriera ho lavorato con registi come Ken Loach e Steve McQueen e sono molto grato delle possibilità che ho avuto. Loach è stato uno dei motivi per cui ho cominciato a fare questo mestiere, quel film me lo porterò come un onore nella tomba, mentre Steve è un autore incredibilmente potente nella sua visione delle cose e quel film, Hunger, era il suo debutto al cinema. Amo molto girare con registi che ancora non sono stati contaminati o corrotti dalla macchina produttiva di Hollywood. Nel 1995 ho anche girato il primo film in lingua inglese di Alfonso Cuarón, La piccola principessa».
GOMORRA «Conosco la serie, l’ho vista e mi piace. Le polemiche sul rendere affascinante la mafia? Succede spesso, dissero la stessa cosa di Marlon Brando ne Il padrino. Non credo a questi accostamenti: se basta un film o una serie per spingere alcune persone verso la mafia o la camorra, allora hanno già dei problemi loro. Allo stesso tempo però se dopo aver visto The Hot Zone qualcuno vuol diventare uno scienziato e combattere l’Ebola allora ne sarò particolarmente felice (ride, nda)».
GAME OF THRONES «Se ho paura di essere indicato solo come il tizio de Il Trono di Spade? No, onestamente no. Recito da trent’anni e solo negli ultimi cinque anni sono diventato riconoscibile ed è accaduto grazie a GoT. Non ho problemi con cinema o tv, ogni genere può muovere differenti muscoli, anche La mummia o Scontro tra Titani. L’importante è che ci sia una storia da raccontare, che ci sia qualcosa di valore da dire. Il mio lavoro è quello di raccontare le storie, noi irlandesi abbiamo una lunga tradizione di storytelling, è nel nostro sangue».
I LOVE ITALY «Amo l’Italia, penso che dovrei essere italiano invece che irlandese visto che non bevo nemmeno la Guinness. Credo anche che Monica Bellucci rappresenti per l’Italia quello che Catherine Deneuve è per la Francia. Abbiamo anche fatto un film insieme (The Whistleblower con Rachel Wesiz, nda, nel 2010), ma non ci siamo mai incontrati, al tempo lei era incinta. Ogni volta che vengo qui c’è qualcosa di magico, questa è una terra di grandi passioni, di cibo e buon vino. E poi io amo i motori e qui avete Ferrari, Ducati, Lamborghini, un sogno…».
IL TEMPO «Ho letto un tweet recentemente che diceva che tra poco il 1990 sarà trent’anni fa. Già? Incredibile. Sono due generazioni fa, ci sono persone che non sapevano cos’era Chernobyl prima di vedere la serie della HBO, per questo c’è tanta attenzione. Chissà, magari tra trent’anni faranno una serie horror sulla presidenza di Donald Trump…».
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