MILANO – E allora diciamolo: non c’è solo Mary Poppins! Se siete stati bambini negli Anni Novanta, è praticamente impossibile che non abbiate trascorso un pomeriggio, almeno un pomeriggio, con La tata. L’eccentrica, eccessiva, eccezionale Francesca Cacace. Dalla Ciociaria con furore. Una spiantata del Flushing (quartiere del Queens) che aveva una gran parlantina e nessun talento particolare, se non un tempismo perfetto per invadere la vita e la casa del signor Sheffield (Charles Shaughnessy) e dei suoi tre figli, in fase di ripresa dopo un grave lutto.

Ricordate? C’erano il pestifero Brighton (Benjamin Salisbury), l’angelica Maggie (Nicholle Tom) e l’assennata Grace (Madeline Zima), che conosceva Freud ma non si sapeva allacciare le scarpe. Con loro il maggiordomo Niles (Daniel Davis), aplomb impeccabile e frecciatine sempre pronte per colpire l’algida C.C. Babcock (Lauren Lane), ma anche l’irresistibile zia Assunta (Renée Taylor), la svanita zia Yetta (Ann Morgan Guilbert) e la vanesia Lalla (Rachel Chagall). Erano una famiglia allargata. Erano quelli che ti facevano sentire a casa anche se, tecnicamente, erano loro che entravano nel tuo salotto.

E poi la sigla della serie. Quella che, se avessimo avuto la capacità o semplicemente l’attenzione di ascoltare, stava sempre lì a ripeterci per 146 episodi che la nostra infanzia era una bugia. Sì, perché la voce di Ann Hampton Callaway faceva da sottofondo a un cartoon colorato, di gran ritmo, ma che di fatto riassumeva in pochi secondi l’inizio della storia: dopo una furiosa lite con il fidanzato in un negozio di abiti da sposa del Flushing, “lei” si reinventa venditrice porta a porta di cosmetici, arriva dagli Sheffield, il padrone di casa la nota e così “lei” diventata la tata di nome “Fran”!

Capito? Non Francesca ma Fran come l’attrice Fran Drescher! Non Frosinone ma Flushing! Praticamente è come se l’adattamento italiano avesse creato una fan fiction tutta sua. Ogni riferimento alla cultura ebraica svanito. Mamma Sylvia diventa zia Assunta, Yetta perde lo status di nonna e Val viene ribattezzata Lalla. Un inganno bello e buono. O una semplificazione per esigenze di doppiaggio, se vogliamo essere diplomatici. Ma la sostanza resta, intere generazioni sono state cresciute con una menzogna.

Tanto vale quindi resettare, ricominciare daccapo, in lingua originale. E lì la logica toglie un po’ di magia ai ricordi nostalgici. Nell’episodio pilota, per esempio, casa Sheffield era totalmente diversa. Gli applausi erano veri, ma le luci di scena gridavano “soap!” e la mancanza di ritmo era esasperante. A un certo punto qualcuno poi ha avuto la brillante trovata di pettinare la povera Maggie come la First Lady. All’epoca era Hillary Clinton. E considerando tutto quello che è successo dopo, è piuttosto scioccante sentire citare Ivana Trump, ospite prestigiosa della festa organizzata da Maxwell, anche se effettivamente non la vediamo mai.

In mezzo a tante cose che non funzionano però c’è lei, Fran Drescher. Ideatrice, produttrice e protagonista della serie. Eroina in tacchi a spillo, gonne vertiginose e cofana montata ad arte. Fran che ha messo in scena un pezzo della sua vita (ha origini ebraiche, la madre si chiama Sylvia), trasformando le parti negative in positive: lo stupro, la fine del matrimonio con il marito Peter Marc Jacobson (tutt’oggi socio in affari), il cancro. Fran che ci ha cresciuti facendoci ridere e tenendoci compagnia. Fran che alla sua tata è ancora affezionata ed è decisa a riportarla in scena. Non in tv ma a Broadway. Con un effervescente musical curato a quattro mani insieme a Rachel Bloom, autrice di un’altra comedy di successo, Crazy Ex-Girlfriend. Quindi lanciamoci in una nuova maratona con La tata. E quando avremo finito, niente compiti!
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