MILANO – The Last of the Starks, lo scorso episodio de Il Trono di Spade, a discapito del titolo, è stato principalmente incentrato su Daenerys (Emilia Clarke), tra timori, vendetta, perdite, rabbia…e tazze di Starbucks. La Madre dei Draghi ha visto morire sotto i suoi occhi Rhaegal, ucciso dalle frecce scoccate dalle navi capitante da Euron (Pilou Asbæk), e ha dovuto assistere all’esecuzione dell’amata Missandei (Nathalie Emmanuel) per volere di Cersei (Lena Headey). Tutto questo mentre alle sue spalle Varys (Conleth Hill) e Tyrion (Peter Dinklage) venivano a conoscenza della reale identità di Jon Snow (Kit Harington) e della sua legittima discendenza al trono di spade.
Con The Bells – lo trovate su CHILI -, quinto episodio scritto da David Benioff & D. B. Weiss e diretto da Miguel Sapochnik, che torna dietro la macchina da presa dopo l’incredibile The Long Night, ritroviamo Daenerys a Roccia del Drago, consapevole di essere stata tradita – da Jon in primis – e pronta ad eliminare ogni ostacolo tra lei e la vittoria finale. Ne sa qualcosa il suo Maestro dei Sussurri Varys giustiziato davanti agli occhi dell’ex Guardiano della Notte e Tyrion. E chissà se il suo motto – «maggiore il rischio, maggiore la ricompensa» – avrà un esito anche dopo la sua morte. Un’escalation di violenza quella della figlia del Re Pazzo che culmina nella seconda parte dell’episodio.
A discapito di quanto ipotizzato in queste settimane, tra le profezie di Melisandre (Carice van Houten) e i commenti di stampa e spettatori, The Bells non è andato (in parte) come ci si aspettava. Non è stata Arya (Maisie Williams) ad annientare Cersei, stretta nell’ultimo abbraccio con Jaime, e un solo drago ha fatto la sua comparsa ad Approdo del Re. Uno solo, Drogon, capace però di gettare il panico tra le strade della città e mettere in ginocchio la Regina dei Sette Regni. Non sono servite le accorate richieste di clemenza da parte di Tyrion né le campane suonate a sottolineare la resa: Daenerys, sul dorso del suo drago, ha distrutto tutto con quel «Dracarys» ancora nelle sue orecchie, pronunciato da Missandei prima di morire, mostrando una natura non poi così diversa da quella della Regina rivale.
«Quando un Targaryen nasce, gli Dei tengono il fiato». Parole confidate da Varys a John Snow per cercare di convincerlo a rivendicare il trono e sottolineare la (probabile) pazzia di Daenerys. Pazza o non pazza, di certo spietata. E lo sguardo attonito dell’ex Re del Nord, circondato dalla violenza insensata della sua Regina ad Approdo del Re, testimonia l’epifania di un uomo, un cavaliere che ha sempre agito in funzione di un bene maggiore (spesso a discapito del suo), lottando contro un nemico reale e mai ad armi impari. Dopo The Long Night, è questa a nostro avviso la puntata migliore (finora) della stagione finale de Il Trono di Spade.
Non è un caso che a dirigerla ci fosse Miguel Sapochnik, capace, ancora una volta, di dare vita a un episodio visivamente spettacolare, ricco e complesso. Un’insieme di dettagli, campi lunghi e primi piani, rumori e movimenti di macchina funzionali al racconto. A fare il resto ci ha pensato il commento musicale di Ramin Djawada, modulato tra le contaminazioni elettroniche e la melodia del piano. C’è ancora così tanto da risolvere ad un solo episodio dal finale de Il Trono di Spade che ci sembra impensabile essere arrivati ad un passo dalla parola fine. Eppure, poco meno di dieci anni dopo Winter Is Coming, ci ritroviamo a dover congedarci da Westeros e Essos, da Arya e Jon, Tyrion e Sansa, consapevoli di assistere alla fine di un’era.
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