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Zelig | Mia Farrow e i quarant’anni dell’anima camaleontica di Woody Allen

La lavorazione travagliata, Gordon Willis e quelle immagini di Fitzgerald. Celebrare un cult

Mia Farrow e Woody Allen in una scena di Zelig
Mia Farrow e Woody Allen in una scena di Zelig

ROMA – «Ci sono probabilmente cinque film che ho fatto e che terrei per me: La rosa purpurea del Cairo, Match Point, Mariti e mogli, Midnight in Paris e Zelig». Così parlò Woody Allen in un’intervista del 2016. Una risposta davvero sorprendente per certi versi, specie perché – e gli alleniani di ferro lo avranno notato immediatamente – mancano all’appello Io e Annie, Manhattan, Hannah e le sue sorelle e Crimini e misfatti ritenuti da molti come i suoi capolavori incontrastati. C’è dell’intuizione però nella risposta di Allen, a partire dalla presenza de La rosa purpurea del Cairo e del suo sogno meta-cinematografico in bianco e nero, o di quel Midnight in Paris costruito intorno al concetto semiotico di Nostalgie teorizzato da Algiradas J. Greimas nel trattato Della Nostalgie del 1986.

Zelig di Woody Allen è stato presentato fuori concorso a Venezia 40 il 3 settembre 1983
Zelig di Woody Allen fu presentato fuori concorso a Venezia il 3 settembre 1983

Non ultimo Match Point considerato da Allen come una versione corretta, meglio inquadrata e aggiornata di Crimini e misfatti. E poi c’è Zelig, uno spassoso mockumentary – o per come lo ha sempre inteso Allen un documentario in bilico tra realtà e finzione («Ho sempre desiderato fare un documentario, ci ho provato con Prendi i soldi e scappa, era il mio primo film, ma volevo fosse più spartano, come fosse un vero e proprio documentario, in modo da non riuscire più a distinguerle») –, un anonimo enigma filmico ambientato nell’epoca d’oro del Jazz sul fantomatico Leonard Zelig e del medico che l’aveva in cura, la Dott.ssa Eudora Fletcher (Mia Farrow), poi sua compagna. Ascesa e caduta di un uomo affetto da camaleontismo nato come fenomeno da baraccone per poi diventare caso mediatico prima ed eroe nazionale poi.

Protagonista assoluto è Woody Allen nei panni del camaleontico Leonard Zelig
Protagonista assoluto è Woody Allen nei panni del camaleontico Leonard Zelig

Volto, mimica irresistibile e corpo sono ovviamente di Allen, ma è l’intuizione al centro del racconto a fare la differenza: il camaleontismo di Zelig. Scelta narrativa a metà tra un omaggio arguto a Il camaleonte, racconto di Anton Čechov del 1884 su di un commissario di polizia impegnato a calmare un orefice morso da un cane, e l’esigenza di Allen di raccontare un tema psicologico universale come quello del trasformismo/spirito di adattamento, ma non nel modo a cui state pensando: «Ho conosciuto molte persone che si sono sarebbero adattate al gruppo con cui erano e ho sentito che alla fine questo avrebbe portato a un fenomeno come il Fascismo. Avresti sempre detto ciò che la folla voleva sentire e rinunciato alle tue convinzioni e alla tua personalità».

«Ho sempre desiderato fare un documentario, ci ho provato con Prendi i soldi e scappa, era il mio primo film, ma volevo fosse più spartano, come fosse un vero e proprio documentario, in modo da non riuscire più a distinguerle»
«Ho sempre desiderato fare un documentario, ci ho provato con Prendi i soldi e scappa»

Un film di satira sociale e politica che punta il dito verso il conformismo del singolo e – più in generale – sugli autoritarismi, opportunamente mascherato da spassoso mockumentary misto a period drama che è un’autentica gioia per gli occhi e per l’intelletto – come tutto il cinema di Allen del resto – ma soprattutto sul piano formale. Se è vero infatti che secondo Allen: «Per me la tecnica di Zelig, la sua forma, andava bene. Voglio dire, è stato divertente da realizzare, ed è stato un piccolo risultato, ma era il contenuto del film a interessarmi di più», è anche vero che c’è del miracoloso nella sua realizzazione. Per restituire appieno odori e sapori degli straordinari anni Venti furono infatti utilizzati obiettivi, fotocamere e apparecchiature audio del tempo.

Zelig fu il secondo film del sodalizio Mia Farrow-Woody Allen
Zelig fu il secondo film del sodalizio Mia Farrow-Woody Allen

Il risultato? Il DuArt, il laboratorio che ha gestito l’intera lavorazione e post-produzione di Zelig, richiamò dal pensionamento alcuni tecnici esperti con le tecniche di elaborazione della pellicola agli inizi del XX° Secolo. Per il DoP Gordon Willis – uno che in carriera aveva lavorato con titani come Alan J. Pakula (Klute, Perché un assassinio, Tutti gli uomini del Presidente) e Francis Ford Coppola (la saga de Il Padrino) oltre che primo direttore della fotografia di fiducia di Allen – fu una sfida impareggiabile che gli valse la nomination agli Oscar 1984, ma non fu affatto facile: «C’è stato un punto in cui ho pensato che non avremmo mai finito, un punto in cui ho pensato che sarei impazzito. Non ho mai lavorato così duramente per far sembrare qualcosa di difficile così semplice».

«Per me la tecnica del film, la sua forma, andava bene. Voglio dire, è stato divertente da realizzare, ed è stato un piccolo risultato, ma era il contenuto del film a interessarmi di più»
«Per me la tecnica di Zelig, la sua forma, andava bene. Voglio dire, è stato divertente da realizzare»

Non solo per il rudimentale processo di lavorazione che costrinse Allen e Willis a invecchiare la pellicola nell’unico modo possibile: accartocciando e calpestando i negativi con mani e piedi, ma anche perché, a fine di dare credibilità al contesto storico, Zelig fu infarcito di cinegiornali e immagini di repertorio che ha visto il film arricchirsi dei camei di, per citarne alcuni, Clara Bow, James Cagney, Al Capone, Charlie Chaplin, Calvin Coolidge, Joe DiMaggio, F. Scott Fitzgerald (gli unici fotogrammi in movimento esistenti peraltro), Lou Gehrig, Joseph Goebbels, Hermann Göring, William Randolph Hearst, Rudolf Hess, Adolf Hitler, Charles Lindbergh, Carole Lombard, Dolores Del Rio e Babe Ruth. L’intero processo fu talmente elaborato che Allen e Willis ebbero il tempo di girare e montare Una commedia sexy in una notte di mezza estate e Broadway Danny Rose.

Il talento camaleontico di Leonard Zelig
Il talento camaleontico di Leonard Zelig

Un’ultima curiosità. Proprio come l’omonimo protagonista anche lo script di Zelig – ispirato a un racconto breve dello stesso Allen – ha vissuto molte trasformazioni nel suo processo creativo. Presentato fuori concorso a Venezia 40 il 3 settembre 1983, i vari draft licenziati da Allen ebbero titoli provvisori sempre più vari: The Changing Man, The Cat’s Pyjamas, The Chameleon Man, Identity Crisis and Its Relationship to Personality Disorder, infine proprio Zelig, forse il migliore di tutti, il più immediato e poetico. Corrisponde infatti a una parola della lingua yiddish che sta a significare «Anima cara (defunta)» ma soprattutto «Benedetta» che forse è l’unico aggettivo possibile per indicare Allen, il suo cinema e il suo camaleontico talento.

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Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

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