ROMA – La magia di Wonder torna ad emozionarci con un nuovo capitolo. Dopo gli eventi del film precedente, il bullo Julian è stato espulso dalla scuola e cerca di ambientarsi nel nuovo istituto. Sentendolo in difficoltà, la nonna lo sorprende, gli fa visita da Parigi e gli racconta la storia della sua infanzia. Di come lei, giovane ragazza ebrea nella Francia occupata dai nazisti, fu nascosta e protetta da un compagno di classe, oggetto di bullismo a causa di una deformità alla gamba destra frutto della poliomielite. Il suo nome? Julien, proprio (quasi) come lui. Parte da qui Wonder: White Bird, il nuovo film di Marc Forster che dopo Ritorno al Bosco dei 100 acri e Non così vicino continua a raccontare del potere della gentilezza e dell’empatia come unica ricetta possibile per cambiare il mondo.

Tratto da A Wonder Story – Il libro di Julian, graphic novel di R. J. Palacio del 2015 e e al cinema dal 4 gennaio con Notorious Pictures e Medusa Film, rispetto all’opera originaria la narrazione di Wonder: White Bird si discosta in parte dal legame diretto con il predecessore, quel Wonder instant-cult di buoni sentimenti, famiglie e gioia di vivere, reso piccolo capolavoro cinematografico dal trio Julia Roberts, Owen Wilson e Jacob Tremblay, qui rievocato in apertura di racconto attraverso un piccolo espediente. Si parte da lì però, dalle conseguenze su Julian (Bryce Gheisar), l’unico superstite del capitolo precedente, per raccontare ancora di discriminazione ma in modo diverso. L’ingresso scenico di Nonna Sara (una Helen Mirren preziosa come voce narrante e rivelatrice) amplia i confini narrativi della pellicola raccontando di sensibilità e coraggio in tempo di guerra.

E qui entriamo nel vivo di Wonder: White Bird, nel suo sorprendente e in fin dei conti spiazzante cuore narrativo, che ci lancia dritti nel cuore dell’avanzata nazista in Europa attraverso i volti e i corpi della giovane Sara (Ariella Glaser) e di quel Julien (Orlando Schwerdt) anima candida e pura in un mondo resistente ma in bilico su di un baratro, disposto sempre a porgere l’altra guancia nonostante le violenze e i soprusi. Nel loro incontro, l’indifferenza mista a pregiudizio diventano amicizia salvifica e infine amore mai realmente vissuto – e quindi divenuto memoria e reso nostalgia – sullo sfondo di un affresco storico in cui Forster non lesina mai in dolcezza, commozione e momenti magici di evasione (con tanto di omaggio a Tempi Moderni). Una lezione senza tempo sul valore della memoria e sull’importanza di fare del bene, sempre, a qualunque latitudine della vita.
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