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Valerio Mastandrea: «Tra Caligari e le morti bianche: vi racconto il mio debutto alla regia »

L’attore debutta dietro la macchina da presa con Ride, in bilico tra malinconia e leggerezza

Valerio Mastandrea sul set di Ride.

TORINO – «Sembra simpatico, eh», dice sorridendo Renato Carpentieri, «Ma come regista ci ha fatto lavorare. Ce n’è voluto per interpretare questo film». Del resto, tutta quell’alternanza di leggerezza, impegno e umorismo che contraddistinguono Valerio Mastandrea, non poteva non finire in Ride, primo film da regista, presentato qui al Torino Film Festival, interpretato da Chiara Martegiani, Stefano Dionisi, Milena Vukotic e, appunto, Renato Carpentieri. Così, Mastandrea, in un’ora e mezza racconta la classe operaia, un funerale da preparare e, soprattutto, il dolore di una famiglia davanti alla perdita di un padre e di un marito, morto in fabbrica.«Pensavo fossi più disponibile sul set, dico la verità, invece ero quasi… arrabbiato», ammette il regista, protagonista di una chiacchierata mai banale, in cui mescola la sua amata Roma, l’attualità e la passione.

Valerio Mastandrea sul set, insieme a Chiara Martegiani.

IL DOLORE «Il punto di partenza? Volevo raccontare come si entra in contatto con le emozioni, sia gioiose che dolorose, nell’epoca in cui viviamo. È difficile essere naturali: mi interessava dare la colpa a quanto la società ci condizioni, impedendoci di vivere le emozioni. C’è un modo di provare dolore? No, perché i parametri cambiano, ma si deve essere liberi di viverlo, quel dolore. Ci siamo assuefatti troppo, sia alle morti sul lavoro che a quelle degli africani. Simboli ipocriti di una società che condanna ma non risolve. E in Ride c’è un mondo interno che impedisce alla protagonista di vivere il suo dolore».

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Una scena del film.

IL MESSAGGIO «Già con il corto Trevirgolasettantasette, insieme a Daniele Vicari, trattavo il tema delle morti bianche. Non è un assillo, però non è cambiato nulla da allora, se non in peggio. Per esempio, come veicolare questi contesti. Non parlo di cattiva fede dalla stampa, ma capisco pure che c’è il rischio del dato di fatto, della consuetudine all’argomento. Pensiamo al Primo Maggio, oggi non è da festeggiare il lavoro, è da reclamare e criticare, per come viene messo in atto e se viene messo in atto».

Velerio Mastandrea sul set di Ride. Foto di Angelo Turetta.

IL CONSIGLIO «Il cast? Renato (Carpentieri ndr.) mi ha detto la cosa più feroce ma vera, perché bisogna imparare a dirigere gli attori. Mettevo il mio essere interprete a disposizione e detestavo far ripetere le scene. Ma a Renato non ce la facevo a dire nulla, anzi, è stato lui a dirmi: “Non possiamo recitare tutti come te!”. Ecco, è stato l’insegnamento più grande: ovvero che un attore non è solo un mezzo ma un veicolo che accompagna il regista verso un fine comune».

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Renato Carpentieri e Stefano Dionisi nel film.

SET E VITA PRIVATA «Tranne per il momento in cui le ho offerto la parte, una cosa piuttosto intima, sul set io e Chiara (Martegiani, nda) abbiamo separato le carriera e la vita privata senza problemi, tranne quando mi ha “sbroccato” come se fossimo in salotto. No, non è stata una cosa forzata, anche perché stavamo insieme già da prima, mica come quelli che si fidanzano dopo il set…Voglio vederli a mantenere un rapporto dopo che hanno lavorato assieme…».

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Chiara Martegiani.

CLAUDIO, CLAUDIO «L’ossessione che avevo provato nel 2005, con il corto, qui è diventata patologica. Come attore mi è capitato di sognare i carrelli che giravano attorno al letto, ma da regista è stato ancora più forte. Anche se, con Kimerafilm, abbiamo visto di peggio quando abbiamo girato Non Essere Cattivo di Claudio Caligari. Perché chi ha partecipato a quel set ha capito come si fa davvero cinema. E mi sembrava bello fare un film insieme dopo quell’esperienza».

Claudio Caligari e Valerio Mastandrea sul set di Non Essere Cattivo.

LA REGIA «Se il film mi rispecchia? Spero di non accorgermi di come sono fatto. C’era un calciatore, centrale di difesa, passato anche nella Roma, che diceva: ”Si gioca come si vive”. Una frase forte ma vera perché molti film raccontano tanto dei registi che li dirigono. E sì, di mio c’è molto: il tono, le contraddizioni. Anche i difetti. Quello del regista è un mestiere che ti mette in contatto con te stesso e con quello che ti circonda. Ma non sono uno studioso di cinema, un film cerco di guardarlo da spettatore, stupendomi. Dai registi con cui ho lavorato ho imparato qualcosa, e me li sono portati un po’ appresso, anche quelli con cui non vorrei più lavorare… Tutto quello che ho incontrato in questi 25 anni da attore c’è, ma non faccio nomi, sennò si montano la testa…».

  • Qui potete vedere una clip di Ride:

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