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HOT CORN SOCIAL CLUB | Dolore, cuore, anima: perché riscoprire Ride di Valerio Mastandrea

Un grande film fatto di testa, anima e imperfezioni. Sottovalutato, va recuperato in streaming

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Il film da (ri)vedere all'Hot Corn Social Club: Ride di Valerio Mastandrea.

ROMA – Carolina proprio non ci riesce. Si sforza, sia chiaro, ma non ci riesce. Non riesce a buttarsi per terra e strapparsi i capelli come una vedova tormentata. «Però sarebbe stato più facile», dice. Niente sussulti, niente lacrime, qualche smorfia, un po’ d’ombra. Nulla più. E nemmeno il piccolo Bruno sembra lasciarsi troppo andare. Meglio pensare a cosa indossare il giorno dopo, al funerale del papà, morto in una fabbrica come tante, come troppe. Così, Bruno, che di scuro non ha nulla, si fa prestare dall’amichetto la tuta nera del Borussia Dortmund, che tanto va bene uguale, pure se ha le strisce gialle sulle spalle. Purtroppo però, la tuta promessa, non è che quella di una squadra locale, ha il giacchetto verde e allora con quella forse no. Anche perché, ad attenderlo fuori dalla chiesa, ci sono le televisioni.

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Madre e figlio: una scena di Ride.

Ecco, non è mai una cosa semplice, un debutto. Che sia il primo giorno di scuola, la prima da titolare, l’entrata in chiesa, ad una funzione a cui non vorresti andare. O il debutto alla regia, insidioso, pericoloso, difficile. Ma se ci metti il cuore, magari, tutto diventa più facile, più bello, più luminoso. E in Ride, l’esordio di Valerio Mastandrea – film che scegliamo per il nostro Hot Corn Social Club, lo trovate in streaming su CHILI qui – dietro la macchina da presa (non dimentichiamo però il corto del 2005, Trevirgolasettantasette), di luce ce n’è, tanta e forte, nonostante si parli, essenzialmente, di un lutto e della sua elaborazione. Elaborazione che, come imperativo vuole, deve passare attraverso la sofferenza della lacrime. Ma no, dice Carolina – Chiara Martegiani –, non ci sono regole scritte, ognuno il buio lo vive come vuole, come lo sente. L’importante è tenere un ombrello a portata di mano, che il diluvio può arrivare quando meno te lo aspetti.

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Chiara Martegiani è Carolina.

Ed è chiaro che in Ride, tutto il Mastandrea attore diventa regista, e si mette a disposizione di un film dall’anima sensibile ma spessa, capace di accusare, senza abbassare la testa, quel mondo che fa dello scontato l’ennesima morte evitabile, andando però – e soprattutto – a raccontare una storia intima, in una manciata di ore che anticipano il funerale. Mattina, pomeriggio, sera fino alla notte e al mattino seguente. Nella casa di Cristina e Bruno, a Nettuno, entrano ed escono condoglianze, frasi e persone non richieste.

Un’immagine del film.

Tutti, ad abbracciare quella vedova che non ci pensa minimamente a quale foto mettere sulla lapide. Dall’altra parte, contemporaneamente, c’è Bruno – Arturo Marchetti, all’esordio – e il suo amico del cuore Ciccio – Mattia Stramazzi, altro debutto – che nella loro semplicità di bambini di un’altra sostanza, fanno i conti involontariamente con il dato di fatto che vuole il telegiornale messaggero di un morto sul lavoro. Un morto di tanti, ma che dovrebbe essere per pochi.

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Renato Carpentieri e Walter Toschi.

Perché il dolore non lo si può mica inquadrare in un servizio televisivo. Non lo si può imporre, non dev’essere notizia. Perché davanti al dolore più forte, c’è pure chi scappa. Per spavento, inadeguatezza, senso di colpa. Come un padre – Renato Carpentieri, bravissimo, sempre –, nella sua casa sulla spiaggia a cucinare pasta e vongole, ”vongole da accarezzare, perché so’ gli ultimi momenti pe’ loro”, gli ricorda quel vecchio collega di fabbrica, la stessa fabbrica in cui il figlio è morto. Non c’è (quasi) mai lo strazio, in Ride. Addirittura si sorride, di uno humour malinconico e spontaneo, ma certe immagini, per un attimo, fanno tornare alla mente il cinema dell’amico Claudio Caligari, amato da Mastandrea e ricordato – a cominciare dalle luci sbiadite del litorale laziale – ogni volta che c’è l’occasione, pur mettendo in scena un’opera personale e vera, costruita senza perfezioni forzate. Mettendoci solo cuore e faccia. Come Carolina, dal dolore imperfetto e libero. Con un filo di trucco e quell’ombrello in mano. Perché la pioggia se la prende tutta chi resta.

Qui potete vedere il trailer, il film è su CHILI qui.

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