ROMA – Quando, nel tentativo di salvare la sua famiglia, Barry Allen alias The Flash usa i suoi superpoteri per viaggiare indietro nel tempo e cambiare gli eventi del passato, il futuro viene alterato. Intrappolato in una realtà in cui il generale Zod è tornato, minacciando distruzione, e senza alcun supereroe a cui rivolgersi, a Barry non resterà altro che far uscire dalla pensione un Batman decisamente diverso per salvare un kryptoniano imprigionato. A quel punto l’unica speranza per Barry sarà quella di correre per le sua vita, ma basterà questo estremo sacrificio a riequilibrare le sorti dell’Universo? Da qui parte la sfida (enorme) di The Flash diretto da Andy Muschietti, il primo stand-alone dedicato al Velocista Scarlatto della DC prodotto da Warner Bros Pictures. Ma com’è il film? Beh, un autentico miracolo cinematografico, non fosse altro perché non ci credeva davvero più nessuno alla sua realizzazione.
E non tanto per le tonnellate di controversie attorno alla figura del suo interprete, Ezra Miller che tra le accuse di aggressione e violazione di domicilio sparse tra Reykjavík, Hawaii, Massachusetts, Vermont e il difficile rapporto con l’attivista Tokata Iron Eyes, sembrava essersi smarrito – e con lui il suo talento artistico poliedrico – in un vortice di puro caos. Ma perché di un potenziale The Flash si parla sin dall’alba dei tempi del cinecomic, nello specifico all’indomani del successo del primo Batman di Tim Burton alla fine degli anni Ottanta. Non se ne fece nulla – la storia è nota – ma quel concept a firma Jeph Loeb sarà poi la base su cui la Warner Bros andrà poi a delineare il primo serial televisivo dedicato a The Flash con John Wesley Shipp come Barry e l’indimenticabile Mark Hamill come The Trickster.
Ci vorranno più di dieci anni prima di tornare a parlare di The Flash al cinema e avverrà in due differenti occasioni. La prima nel 2004, dopo che lo sceneggiatore David S.Goyer – complice un grande pitch per Batman Begins – sembrava essere la persona giusta per delinearne il concept con Shawn Levy alla regia (qui Barry avrebbe dovuto avere volto e corpo di Ryan Reynolds). La seconda nel 2007 come parte di quell’ormai mitologico Justice League: Mortal di George Miller che avrebbe visto The Flash esordire finalmente al cinema come Wally West con Adam Brody come interprete. Infine il DCEU – DC Extended Universe del fumettista Geoff Johns in cui il Barry Allen/The Flash di Miller fu introdotto gradualmente tra Batman v Superman: Dawn of Justice e Suicide Squad nel 2016, per poi esordire in Justice League.
E qui entriamo nel vivo di The Flash. Perché dal suo annuncio nel 2014 al 2023 della resa filmica ed effettiva distribuzione in sala sono trascorsi nove lunghissimi anni: lo stesso tempo che ha avuto il The Flash dell’Arrow-verse per nascere, crescere, lasciare un segno nell’immaginario collettivo grazie a un convincente Grant Gustin, giocare con il Multiverso e infine avviarsi verso uno stanco series finale. In quello stesso arco temporale The Flash ha visto avvicendarsi ben dieci registi (James Wan, Phil Lord & Christopher Miller, Seth Grahame-Smith, Rick Famuyiwa, Matthew Vaughn, Robert Zemeckis, Marc Webb, Sam Raimi, Jordan Peele e Ben Affleck) e quattro sceneggiatori (Lord & Miller, Famuyiwa, Joby Harold, Dan Mazeau), esclusi i definitivi Muschietti e la coppia di sceneggiatori John Francis Daley e Jonathan Goldstein (Spider-Man: Homecoming, Game Night) chiaramente.
L’unica certezza in un development-hell da antologia, è che lo script di The Flash avrebbe riguardato due dei più interessanti cicli narrativi della storia fumettistica del Velocista Scarlatto, nello specifico: Flash dei Due Mondi e Flashpoint. Il primo, datato 1961 e firmato da Gardner Fox e Carmine Infantino, racconta di come Barry (eroe simbolo della Silver Age della DC Comics) scopre che facendo vibrare le sue molecole a una certa frequenza è in grado di trasferirsi in un’altra versione della Terra dove incontra Jay Garrick (il primo Flash, quello della Golden Age). Il secondo a firma Geoff Johns e Andy Kubert del 2011 – ritenuta in maniera unanime una delle miniserie più creative e rilevanti della storia della DC Comics (e non solo quella) – vede Barry catapultato in un universo parallelo dove tutto è radicalmente mutato.
Cyborg è infatti l’eroe del mondo in questa timeline, Batman non è Bruce – qui deceduto – ma il padre, un Thomas Wayne giustiziere sadico, Superman è rinchiuso in una prigione sotterranea a Metropolis sotto stretta sorveglianza governativa e il mondo è spaccato in due da una guerra mondiale tra il Regno di Atlantide dell’Imperatore Aquaman e il Regno delle Amazzoni della Regina Diana, sovrana conquistatrice del Regno Unito rinominato New Themyscira. Premesse ambiziose da cui Muschietti è partito nel delineare un The Flash che vede Flashpoint ricalibrato – su ammissione dello stesso regista – in chiave Allucinazione perversa sul piano emozionale e della suspense, secondo il registro e la scia narrativa di Ritorno al futuro: «È fondamentalmente un viaggio nel tempo che include l’origin story di Barry, ovvero la madre, il padre e il loro incidente».
Muschietti sottolinea inoltre un altro aspetto: «Nelle fondamenta di The Flash c’è qualcosa di davvero emozionante. Senza questo presupposto, non c’è modo di costruirci qualcosa sopra. E questa storia sprigiona un’infinità di emozioni sufficientemente potenti da generare un’avventura di questa portata. Tutti gli elementi erano in qualche modo collegati al viaggio nel tempo» e con esso l’ineluttabilità del destino che per quanto manipolato, distorto e provato a riavviare dal potere dell’amore, vedrà il doppio Barry (un grandissimo Miller in un continuo meta-dialogo catartico con sé stesso carburato dal dolore e dal rimpianto) accettare la fallibilità dell’essere un eroe, anche se dotato di poteri super. Sempre secondo Muschietti: «Ovviamente viaggiare nel tempo è sempre una buona idea in un film, così come Batman. Batman è sempre una buona idea» e con esso il Multiverso come straordinaria occasione narrativa.
Ricalibrare Flashpoint significa anche spezzarne le fondamenta, giocarci sopra. Accantonare la suggestione Thomas Wayne/Batman (con Jeffrey Dean Morgan già pronto a vestirne i panni dopo Batman v Superman) per attingere a piene mani nell’immaginario collettivo. E quindi di nuovo Michael Keaton come Bruce Wayne/Batman trentun’anni dopo Batman – Il ritorno di Tim Burton, ricodificato in una nuova veste eremita-crepuscolare a metà tra Il Ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller e Batman of the Future per un ultimo giro nella giostra dei divertimenti in un continuo riaffiorare di sentimenti nostalgici e amore per il cinema. Da qui il valore intrinseco dell’operazione The Flash. Una narrazione che, pur rischiando in più occasioni di perdersi in un secondo atto pieno di lungaggini, vive di un prologo e di un terzo atto pirotecnici che sono celebrazione del passato per guardare al futuro.
Perché i primi dieci-quindici minuti di The Flash, quasi un prologo improprio se rapportato all’economia del racconto, sono null’altro che l’ultima volta dello SnyderVerse e dell’originale Justice League cinematografica – seppur a ranghi ridotti – tra Barry, naturalmente, Batman/Bruce Wayne (un Ben Affleck sempre più convincente in un ruolo che gli ha regalato, purtroppo, più dolori che gioie), Alfred (un Jeremy Irons sempre poco celebrato) e il cameo di Wonder Woman/Diana Prince (Gal Gadot). Nessuno di loro tornerà nel DC Universe di Gunn e Safran. Nemmeno l’Amazzone visto che Wonder Woman 3 pare essere stato cancellato e/o rimandato a data da destinarsi dopo il netto rifiuto di Patti Jenkins a rimettere mano allo script per renderlo più coerente con la nuova visione d’insieme. E poi c’è il terzo atto che alza l’asticella nel trattare il Multiverso a mezzo filmico.
Se Spider-Man: No Way Home – che dalla sua sfruttò proprio i ritardi produttivi di The Flash per riadattare lo script in ottica Multiverso – il riportare in scena gli Spider-Man di Tobey Maguire e Andrew Garfield come agenti scenici e non semplici funzioni, ha permesso all’MCU di ampliarsi rendendo una trilogia esaurita (gli Spider-Man di Sam Raimi) e una abortita sul più bello (i The Amazing Spider-Man di Mark Webb) come passato remoto e recente di qualcosa di più ampio in retcon/retro-continuity, The Flash per certi versi sembra perfino andato oltre le ambiziose intenzione di Marvel/Sony. Non solo il Bruce Wayne/Batman di Keaton il cui passato burtoniano trova qui legame e sviluppo. In quella battaglia finale per il destino del mondo e dei Barry c’è tutto il passato della DC cinematografica e televisiva tra pietre miliari e suggestioni.
Da George Reeves (Superman and the Mole-Man, Adventures of Superman), Christopher Reeve (Superman, Superman II, Superman III, Superman IV) ed Helen Slater (Supergirl – La ragazza d’acciaio) come volti storici di Superman e Supergirl, ad Adam West (Batman, Batman – La serie) e George Clooney (Batman & Robin). Perfino la suggestione Nicolas Cage che nel 1998 fu a un soffio dall’interpretare Superman nel mai realizzato Superman Lives per la regia di Burton, qui comunque fatto vivere e reso canon venticinque anni dopo. Tutti lì insomma, a diventare in retcon parte di qualcosa di più ampio come il DC Universe di Gunn e Safran: un organo vivente e senziente in continuo cambiamento. E poco importa, ad un certo punto, se la CGI risulta rivedibilissima, con un cuore così, romantico e appassionato, The Flash, ha già fatto la storia del cinema.
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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