ROMA – Nel 2013 un quasi esordiente Destin Daniel Cretton scrisse e diresse un piccolo film indipendente, Short Term 12, che finì per diventare un titolo rivelazione lanciando le carriere dei suoi protagonisti, da Brie Larson a Rami Malek. Proprio la Larson interpretava Grace, supervisore di un centro per ragazzi in difficoltà con un passato difficile che fatica ad affrontare. Otto anni dopo Cretton è regista e co-sceneggiatore – insieme a David Callaham – di Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli (su CHILI dal 12 novembre). Origin story sull’omonimo personaggio dei fumetti con il volto di Simu Liu e primo film della Marvel con protagonista su supereroe asiatico. Anche Shang, che vive a San Francisco dove lavora come parcheggiatore in un albergo e si fa chiamare Shaun, è fuggito dal un passato che non vuole affrontare. Neanche il futuro sembra andargli troppo a genio e con la sua migliore amica Katy (Awkwafina) vivono una vita da moderni Peter Pan.

Almeno fino a quando è quello stesso passato a bussare alla sua porta e costringerlo a fare i conti con tutto quello che si è lasciato alle spalle. Negli ultimi anni la Marvel ha chiamato nel MCU una serie di registi dal background molto diverso, da Taika Waititi a Cate Shortland fino a Destin Daneil Cretton proprio per Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli. Questo ha permesso alle storie raccontate di battere a ritmi diversi facendo della diversità di toni e generi un elemento fondante per la sua evoluzione. Ne è un esempio anche Shang-Chi che dietro la sua struttura imponente cela un cuore caldo fatto di tematiche legate sì alla cultura asiatica ma anche profondamente universali.

Le scelte dei nostri nonni e genitori e la conflittualità che può scaturire da quei rapporti, ci suggerisce il film, definiscono chi siamo. Shang fugge da un padre che lo vorrebbe uguale a lui ma nel farlo lascia dietro si sé molto altro finendo per perdere in parte contatto con la propria identità. È un film sulla riscoperta Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli che trova il suo equilibrio nel giusto bilanciamento tra azione ed emozione. Le scene dei combattimenti, supervisionate da Brad Allan – stuntman di Jackie Chan alla cui memoria il film è dedicato – sono spettacolari e rendono omaggio alla tradizione delle arti marziali aggiungendo un elemento fondamentale che fa la differenza: una narrazione fisica parallela a quella verbale.

Amore, dolore, perdono e identità sono i temi cardine attorno ai cui ruota il film guidato da un gruppo di personaggi femminili eterogeneo. A partire da Jiang Li (Fala Chen), la madre di Shang-Chi, profondamente convinta della possibilità del cambiamento, passando per Katy e la sua arte della confusione e Xialing (Meng’er Zhang), sorella di Shang-Chi con un’infanzia trascorsa nell’ombra che ha trovato il suo posto nel mondo facendosi strada da sola. Una menzione speciale per l'(auto)ironia di Ben Kinsley che torna a vestire i panni (inediti) di Trevor Slattery in un film che sottolinea l’importanza dell’unione e del ricordo di chi ha compiuto sacrifici piccoli e grandi per permetterci di essere qui oggi. Un film che incita a non farci immobilizzare dalla paura ma ad affrontare il buio che abbiamo dentro di noi per vivere nella luce.
- Volete vedere Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli? È su CHILI
L’intervista a Simu Liu è a cura di Manuela Santacatterina:
Lascia un Commento