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Jake Wachtel: «Karmalink? Il primo sci-fi della Cambogia, tra i due volti della tecnologia»

Film di apertura della SIC 36, il regista si racconta tra nuova tecnologia, tradizione e gentrificazione

Karmalink
Una scena di Karmalink, film di apertura della SIC 36

VENEZIA – Phnom Penh, in un futuro prossimo. Un ragazzino adolescente si allea con una brillante ragazzina senzatetto del suo quartiere per risolvere il mistero dei sogni delle sue vite passate. Quel che inizia come una caccia ad un tesoro buddista presto si traduce in una scoperta più grande che potrebbe portare ad una rivelazione digitale o ad una totale perdita di identità. Jake Wachtel, classe 1987, da Palo Alto, dopo aver realizzando brevi documentari per organizzazioni non profit che lavorano nel sud del mondo, si è trasferito in Cambogia per insegnare cinematografia a bambini che vivono in quartieri svantaggiati. Phnom Penh è diventata la sua base per diversi anni mentre sviluppava Karmalink, il primo film di fantascienza della Cambogia e film di apertura della 36. Settimana Internazionale della Critica, ambientato nella comunità in cui insegnava e con i suoi ex studenti.

Karmalink è il primo film sci-fi cambogiano. Come ti è venuta quest’idea?

C’erano diversi fili che convergevano insieme e che hanno dato origine a Karmalink. Tra il 2014 e il 2015 ho vissuto in Cambogia per un anno insegnando cinema ai bambini del quartiere in cui è ambientata la storia. E così ho avuto modo di conoscere molto bene quel luogo e vedere in prima persona quanto rapidamente si stessero trasformando la città e la cultura. In quel periodo c’è stata una massiccia proliferazione di telefoni cellulari e le persone si collegavano a Facebook per la prima volta. Vedendo questo rapido cambiamento ed essendo appassionato di fantascienza da tutta la mia vita, ho iniziato a pensare a quale direzione stesse prendendo la Cambogia.

Karmalink
Una scena di Karmalink

Non è comune vedere un film di fantascienza ambiento nel sud del mondo…

C’è spesso una sorta di elitarismo nei film di fantascienza; si svolgono all’avanguardia della tecnologia. In Cambogia ero davvero affascinato da questo tipo di simultaneità di tempi ed epoche diverse, cose fatte di materiali riciclati e rattoppati, monaci con i loro telefoni cellulari, ecc. C’è davvero una carenza di storie di fantascienza ambientate nel sud del mondo. Ma poiché la tecnologia prolifera in tutto il mondo, sono questi i luoghi che stanno cambiando più velocemente.
Cosa ti affascina delle due realtà, quella tecnologica e quella tradizione, che convivono nel film?
Ho un background in neuroscienze e sono anche un avido meditatore. Ed entrambe queste cose nascono dallo stesso posto, dalla mia fascinazione per il cervello. E ho sempre sentito una sovrapposizione tra queste due realtà. Mentre stavo iniziando a formulare questa storia di fantascienza cambogiana, mi sembrava un soggetto perfetto. Inoltre, vengo dalla Silicon Valley, dove c’è solo un’enorme enfasi e fiducia nel potenziale utopico della tecnologia. Questa idea che la tecnologia è uguale all’illuminazione. Ma come si inserisce tutto questo in un quadro più ampio di progresso tecnologico e sviluppo in un luogo in cui l’illuminazione è un concetto vivente e che respira?

Per Karmalink hai deciso di lavorare con dei tuoi ex studenti. Che esperienza è stata?

È stata una gioia enorme lavorare con i miei ex studenti per i due ruoli principali. In effetti, la svolta nell’origine della storia è stata quando ho capito che i due personaggi principali avrebbero dovuto essere basati su due studenti della mia classe di cinema, Leng Heng e Srey Leak. Prima delle riprese abbiamo provato per tre mesi. Abbiamo dovuto approfondire ogni scena e passare il tempo a riscrivere la sceneggiatura nella lingua più vicina a quella di un bambino. Ricordo quando ci siamo presentati il primo giorno sul set e hanno visto per la prima volta quante persone erano coinvolte nella realizzazione di un film. È stato così divertente vederli prosperare in quello spazio. Inoltre, conoscevo Srey Leak e Leng Heng da quattro anni quando abbiamo iniziato a girare, quindi abbiamo condiviso tutta questa storia insieme. E questo è stato davvero fondamentale per me, poter tornare a quelle relazioni, mentre tutta questa follia e il caos turbinavano.

Karmalink
Un’immagine di Karmalink, film di apertura della SIC 36

Quando hai lavorato al film? È stato difficile trovare i finanziamenti?

I primi semi dell’idea sono apparsi nella mia testa intorno al settembre del 2015. Ora siamo a settembre del 2021. È passato tanto tempo! È sempre stato un progetto super ambizioso fin dall’inizio: vite passate, tempi diversi, lavorare con i bambini, in una lingua che non è la mia lingua madre, in un paese che non ha molte infrastrutture per il cinema. Quindi doveva essere un processo da fare un passo alla volta, per passare dalla fase dell’idea alla fase della sceneggiatura fino all’assemblaggio di una squadra. Ma ho scoperto che era abbastanza facile far entusiasmare le persone per questa idea solo perché era qualcosa di nuovo. Penso che ciò che mi ha attratto della storia, la sua natura molto improbabile, è qualcosa che ha entusiasmato e ha risuonato negli altri miei collaboratori. La produttrice Valerie Steinberg ha fatto parte di The Third Wife, ambientato in Vietnam, e da tempo lavora a progetti che elevano gli emarginati, quindi c’era una connessione molto fluida quando è salita a bordo.

Mostri un mondo in cui ipertecnologie e tradizioni convivono, Come hai lavorato con Blaise & Kyle Hossain per creare l’equilibrio perfetto con gli effetti speciali tra queste due realtà?

Era qualcosa che permeava davvero tutti gli aspetti del design, una sorta di guida ethos: la realtà che in Cambogia che c’è il vecchio e il nuovo, fianco a fianco, ovunque si guardi. Le cose vengono riciclate e le persone utilizzano ciò che è disponibile. Allo stesso tempo, c’è una rapida proliferazione della tecnologia. Abbiamo parlato molto di come ci sia questa vibrante mescolanza nella società tra il vecchio e il nuovo. Avvicinandoci agli effetti visivi del film, abbiamo guardato alla realtà per informarci. L’idea era che il film fosse ambientato nel futuro prossimo e che quindi non sarebbe stato super fantastico o troppo estrapolato da quello che sta succedendo ora. Per lo skyline, abbiamo guardato gli skyline di molte altre città del sud-est asiatico, come Jakarta e Ho Chi Minh. Volevamo anche che la tecnologia si adattasse al contesto dell’ambiente buddista. Come con il dispositivo AUGR, che viene indossato sul “terzo occhio”. Dal lato del design e dal lato degli effetti speciali c’era il desiderio di farlo sembrare sia plausibile sia un po’ magico.

Una scena di Karmalink

La gentrificazione è una sorta di co-protagonista del film. Una realtà che molte città stanno vivendo spesso a discapito dei più poveri…

Questo è davvero il fulcro di ciò di cui parla il film per me: quali sono i diversi modi in cui avviene la gentrificazione? Ci sono modi davvero ovvi: una delle ispirazioni dirette del film è stata la storia di questo lago nel centro di Phnom Penh, chiamato Beoung Kak. 4000 famiglie vivevano sul lago che è stato riempito di sabbia. Sono stati sfrattati e trasferiti in comunità di ricollocamento alla periferia della città. E ora ci sono complessi residenziali di lusso che sorgono dove un tempo c’era l’acqua. I poveri vengono sfrattati, non hanno alcun potere su queste forze. Volevo che quel genere di cose fosse una sorta di ronzio di sottofondo nel film. Ma ci sono modi più sottili in cui avvengono la gentrificazione e lo spostamento. Mentre le alte tecnologie si spostano nello spazio, come cambia la cultura? Come cambia l’anima di un luogo? Funziona in modo diverso da un posto come la Cambogia a un posto come la Silicon Valley, da dove vengo io.

Come speri questi temi vengano accolti dal pubblico?

Penso che ci sia molta attenzione crescente sui modi in cui le tecnologie e le piattaforme, come i social media, stiano cambiando il nostro cervello. Spesso guardiamo a queste domande attraverso la lente delle persone al vertice della piramide socioeconomica e delle persone in Occidente. Ma queste tecnologie sono ovunque ormai. Ed è complicato. Non sono un luddista, non credo che dobbiamo sbarazzarci della tecnologia. Ma sono davvero felice di vedere nella cultura che c’è una sorta di maggiore controllo su come queste tecnologie ci stanno cambiando. E spero che questo film possa essere parte di una conversazione che metta in discussione più profondamente i compromessi che vengono fatti mentre ci lanciamo in un futuro più connesso, più omogeneo e “più sviluppato”.

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