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Mimang | Il primo film di Kim Tae-yang e la negazione come linguaggio

Tra Hong Sang-soo e Ryusuke Hamaguchi, un’opera tripartita dal titolo enigmatico. Ma com’è?

Ha Seong-guk e Lee Myung-Ha in una scena di Mimang, opera prima di Kim Tae-yang, del 2023
Ha Seong-guk e Lee Myung-Ha in una scena di Mimang, opera prima di Kim Tae-yang, del 2023

UDINE – Il linguaggio forma e modella il mondo, ma ancora dentro a una dimensione astratta. È l’uso del linguaggio che permette di plasmare la realtà, di sfondare i confini ed entrare nel reale, di rendere il mondo tangibile, visibile. La parola Mimang, in coreano, assume molteplici significati: non essere capaci di dare un senso a un qualcosa, non riuscire a scordare ciò che si vorrebbe dimenticare, cercare qualcosa in un lungo e in largo, ovunque. Varie strade, varie interpretazioni, tre modi di smussare gli angoli del mondo, e Kim Tae-yang, giovane regista coreano, nel suo primo lungometraggio Mimang ha deciso di modellare un’opera tripartita che sviscera ogni significato attraverso una precisa prospettiva. Il film, presentato in anteprima mondiale al Toronto Film Festival 2023 e per la prima volta in Europa alla 26ª edizione del Far East Film Festival, è un oggetto filmico atipico e misterioso, consolidato e strutturato come una continua scoperta attraverso la sottrazione, quello che non c’è, quello che non si sente e non si vede.

Ha Seong-guk e Lee Myung-Ha in una scena di Mimang
Ha Seong-guk e Lee Myung-Ha in una scena di Mimang

In Mimang non esiste una struttura, non è sorretto da un classico andamento narrativo, è soltanto puro movimento fluido e incontrollato che indaga la storia e la relazione di personaggi legati da un filo invisibile. Tre precise scene nell’arco di quattro anni che diventano segmenti fluviali (quasi interamente dei piani sequenza, con la macchina da presa che quasi sempre osserva e spia da lontano) capaci di raccontare il cambiamento nello spazio e nel tempo di due persone che vagabondano perse per Seoul in attesa di una partenza che non arriverà mai, di una precisa parola che non verrà mai pronunciata, di un gesto che non si compirà. La relazione tra i due personaggi principali è appena accennata, si può soltanto intuire dai gesti naturali dei corpi e dal movimento degli occhi: un amore che non è mai sbocciato e che non ha la possibilità di sbocciare e di coltivarsi. E nient’altro, il resto è parola, occhi, mani, silenzi, sospiri.

Mimang, opera prima di Kim Tae-yang, presentato in anteprima europea alla 26ª edizione del Far East Film Festival
Mimang, opera prima di Kim Tae-yang, presentato in anteprima alla 26ª edizione del Far East Film Festival

Tutto è nascosto, sotterrato, in Mimang, si riempie e si nutre di quello che non viene mostrato, di quello che succede fuori dalla finzione dell’immagine. Kim Tae-yang racconta quello che apparentemente sembra superfluo per far emergere ancora più forte e strillante il nucleo centrale attorno a cui ruota la narrazione. Attraverso la negazione viene fatta luce sul reale, sono il movimento delle parole e dei corpi a dare forma alla relazione, al contrasto, alla concatenazione vincolata tra i due protagonisti. In Mimang è lo spazio a diventare tempo, la città in cui i personaggi si muovono diventa passato, presente e futuro, luogo temporale dove dentro persiste la memoria e già una traccia del futuro.

Ha Seong-guk e Lee Myung-Ha in un momento di Mimang
Ha Seong-guk e Lee Myung-Ha in un momento di Mimang

Kim Tae-yang guarda fedelmente al suo conterraneo Hong Sang-soo e dal giapponese Hamaguchi (soprattutto quello di Happy Hour e uno dei segmenti de Il gioco del destino e della fantasia) per disegnare un’opera capace di reggersi solo sul dialogo, sul linguaggio come possibilità di scelta, di prendere una strada rispetto a un’altra, per esplorare lentamente il concetto di mimang che è impossibile da sbrogliare e raggiungere completamente, e per questo, quindi, interessante e stimolante in ogni parola e inquadratura.

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  • VIDEO | Qui per il trailer del film: 

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