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Scott Derrickson: «Black Phone? Il mio film più emotivo. Tra Ethan Hawke e I 400 colpi…»

Il regista si racconta a Hot Corn in occasione dell’uscita del nuovo horror targato Blumhouse

Scott Derrickson
Scott Derrickson

ROMA – Avrebbe dovuto dirigere Doctor Strange 2: nel Multiverso della Pazzia ma divergenze creative gli hanno fatto lasciare il progetto. Così Scott Derrickson ha deciso di riprendere in mano un racconto breve, datato 2004, di Joe Hill – figlio di Stephen King – e adattarlo in Black Phone, in sala dal 23 giugno. Presentato in anteprima al Fantastic Fest lo scorso settembre, il film è ambientato alla fine degli anni Settanta in una cittadina del Colorado in cui cinque bambini sono stati rapiti. Finney (Mason Thames) è il sesto a finire nello scantinato del rapitore con il volto, o meglio, la maschera di Ethan Hawke. Lì troverà un vecchio telefono fuori uso che gli permetterà di entrare in contatto con le vittime del suo rapitore che tenteranno di aiutarlo a fuggire. Abbiamo parlato del film prodotto dalla Blumhouse di Jason Blum con Scott Derrickson in collegamento da Los Angeles che ci ha raccontato, tra le tante cose, dei riferimenti a I 400 colpi e del perché questo sia il suo film più emotivo.

Quando ha iniziato a lavorare alla sceneggiatura con C. Robert Cargill quali erano gli aspetti del racconto breve di Joe Hill che volevate evidenziare?

«Volevo realizzare un film che catturasse la paura che ho provato io nel crescere nel mio quartiere alla fine degli anni Settanta al nord di Denver. Ho detto a Cargill che volevo fare qualcosa che ricordasse I 400 colpi. Abbiamo avuto l’idea di combinarlo con il racconto breve di Hill. L’ho letto la prima volta quando uscì, quindici anni fa, e ho sempre avuto l’impressione che potesse essere un gran film. Ci ho messo dentro anche molte delle mie esperienze e ricordi, il trauma dell’infanzia vissuta in certi luoghi intrecciato al racconto di Joe. Ci sono molti più personaggi nel film ma il cuore del racconto c’è ancora tutto».

Con Black Phone Ethan Hawke rompe la sua regola del “No bad guys”. Come lo ha convinto a prendere parte al progetto? E perché proprio lui?

«L’ho convinto mandandogli la sceneggiatura! Gli ho chiesto di interpretarlo perché lo volevo tantissimo per il ruolo. Mi ha detto che solitamente non interpreta i “villan”, ma ha letto lo script ed immediatamente ha deciso di farlo. Sono rimasto davvero entusiasta dal fatto che volesse esserne parte. Credo sia stato intrigato dall’idea di poter recitare con la maschera. Avevamo già avuto un’esperienza cinematografia in Sinister e anche questo, ovviamente, ha avuto una grossa influenza sulla sua scelta di interpretare il personaggio…».

Scott Derrickson
Un post Instagram dall’account di Scott Derrickson

Ethan Hawke indossa la maschera per quasi tutto il film. Come ha lavorato con lui su questo aspetto? Gli ha chiesto di sottolineare la sua voce, la sua postura…?

«No, quella parte è tutta una sua invenzione. Gli ho parlato un po’ della backstory del personaggio ma, in realtà, mi sono davvero molto fidato di lui, del fatto che sarebbe venuto sul set e avrebbe fatto qualcosa di interessante come poi è stato. Credo che abbia avuto anche la sensibilità di rappresentarne lo squilibrio. Inoltre è stato anche in grado di rappresentarlo come un performer perché si spaccia per mago. Si è perfettamente adattato alla storia che stavamo raccontando».

La maschera è stata disegnata da Tom Savini. Era un elemento presente nel racconto? È stato difficile arrivare alla versione finale?

«Non riesco a ricordare se ci fosse una maschera anche nel racconto. Ma anche se c’era non credo fosse stata descritta a fondo. È qualcosa di cui io e Cargill abbiamo parlato in modo molto specifico così da poter andare da Tom e dirgli: “Ecco, questo è quello che avevamo in mente”. Qualcosa di davvero molto iconico. E Tom ha fatto un lavoro pazzesco realizzando una maschera straordinaria».

Il post Instagram di Ethan Hawke dedicato al film di Scott Derrickson

Com’è stato lavorare con Mason Thames e Madeleine McGraw? Ci è voluto molto per trovare i giusti interpreti di Finney e Gwen?

«Ho visto davvero molte persone per quei ruoli. E sono stato davvero molto fortunato a poter lavorare con Mason e Madeleine. Sono straordinari. Hanno realizzato delle performance che lasciano il segno. Ho lottato molto per avere Madeleine nel ruolo di Gwen perché avremmo dovuto girare il film in autunno e lei era impegnata con le riprese del suo show Disney (I segreti di Sulphur Springs, n.d.r.) e non era disponibile. Avrei dovuto trovare un’altra attrice. Ho detto a Jason Blum che non avrei potuto, solo lei poteva interpretare Gwen. Così abbiamo spostato le riprese fino alla fine di gennaio solo per averla con noi. E ne è valsa la pena!».

Come avete lavorato con costume e production designer oltre che con il direttore della fotografia per ricreare l’atmosfera degli anni Settanta?

«Ci sono molti film e serie ambientati tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta. Ma ho avuto un’esperienza molto distintiva. Sono cresciuto in un quartiere della working class nel nord di Denver. È un posto nel quale ho provato molta paura. Un posto che non ho mai sentito sicuro. C’è stata molta violenza domestica nella mia vita e in quella degli amici con cui sono cresciuto. Sono cresciuto per strada ed ero il più piccolo di un gruppo di ragazzini. Venivo bullizzato. Volevo catturare la sensazione che vivere in quei posti significa. Patti Podesta, la production designer, e Brett Jutkiewicz, il direttore della fotografia, hanno fatto un ottimo lavoro nel capirlo e nel creare qualcosa che non fosse nostalgico ma un vero tentativo di trasmettere cosa quel genere di luoghi siano davvero».

Scott Derrickson
Mason Thames e Madeleine McGraw in una scena di Black Phone di Scott Derrickson

In Black Phone torna a collaborare con Jason Blum? Secondo lei qual è il segreto del suo successo?

«Ha un gran rispetto per il regista e per il suo talento. Nel mio caso ha sempre cercato di potenziarmi, sia in Sinister che in Black Phone. Mi ha permesso di realizzare i film che volevo realizzare. Ci sono stati anche momenti in cui eravamo in disaccordo su come certe cose sarebbero dovute andare. Mi ha detto: “Non sono d’accordo, ma fallo a modo tuo”. Ha il dono di riconoscere il talento nella scrittura e nella regia. Parlando per la mia esperienza, fa un ottimo lavoro nel dare supporto creativo ai registi».

Viviamo in un momento storico per molti aspetti spaventoso. Crede che questo si rispecchi anche nel cinema? 

«La risposta credo sia diversa per diversi registi. Il modo in cui i miei film sono spaventosi è diverso rispetto a quello di un altro regista. Black Phone è un film molto più emotivo rispetto a Sinister. È il film più emotivo che ho mai fatto. C’è una sorta di comprensione del male non detto o indicibile nel mondo, in un personaggio, in se stessi, nella natura… Credo che il mondo sia un posto spaventoso ora perché le cose che sono fuori dal nostro controllo hanno a che fare con il male del mondo e con la violenza del mondo. E si tratta di realtà incontrollabili. Credo sia questo che li connetta».

  • Black Phone: Ethan Hawke versione villain e l’horror emotivo di Scott Derrickson

Qui potete vedere il trailer di Black Phone:

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