ROMA – Siamo nel tribunale di Saint-Omer, vicino Calais. La scrittrice Rama (Kayije Kagame) assiste al processo di Laurence Coly (Gusliage Malanda), una donna accusata di aver ucciso la figlia di quindici mesi dopo averla abbandonata sulla riva di una spiaggia del Nord della Francia. Rama intende trarre dal caso una rivisitazione contemporanea del mito di Medea. Ma mentre il processo va avanti, nulla procede come previsto e la scrittrice, incinta di quattro mesi, si ritroverà a mettere in discussione ogni certezza. Anche la propria maternità. Da qui prende le mosse Saint Omer, acclamata opera prima di Alice Diop presentata in concorso alla Mostra di Venezia e disponibile ora in streaming su Rarovideo Channel a partire dal 27 settembre, su Prime Video e su The Film Club.
Un’edizione fortunata per la Diop che ha visto la cineasta francese insignita del Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria e del Leone del Futuro – Premio Venezia opera prima Luigi De Laurentiis. Per un Saint Omer che è sì prima regia, ma solo di finzione. La Diop si è imposta infatti negli anni come raffinata e incisiva documentarista dedita principalmente a soggetti della società francese contemporanea come La Tour du Monde, documentario dedicato alla diversità culturale del complesso residenziale Cité des 3000, oppure Vers La tendresse, cortometraggio vincitore del César Award 2017 sulle vittime di violenza da parte delle forze dell’ordine (qui potete vedere il trailer).
Non ultimo Nous – presentato alla Berlinale nella sezione Encounters, e ora su Rarovideo Channel, The Film Club e MUBI con il titolo di We – che si serviva di un binario ferroviario che attraversava Parigi da Nord a Sud per intrecciare quattro storie ai margini della società. Saint Omer invece nasce altrove, dall’esigenza della Diop di sbarazzarsi di un’ossessione: «Tutti i miei film nascono sempre da un sentimento, un’intuizione, che cresce e cresce fino a diventare un’ossessione così forte da far nascere il film. Per Saint Omer l’ossessione nasce da una foto pubblicata su Le Monde nel 2015. È un’immagine in bianco e nero, scattata da una telecamera di sorveglianza: una donna di colore, alla Gare du Nord, spinge una carrozzina con un bambino di razza mista tutto fasciato…».
E non finisce qui il racconto della Diop: «Due giorni prima, un bambino era stato trovato a Berck-sur-Mer, trasportato dalle onde, alle sei del mattino. Nessuno sapeva chi fosse, i giornalisti e gli investigatori pensavano a un’imbarcazione di migranti che era andata alla deriva. Gli investigatori avevano trovato un passeggino in un boschetto a Berck-sur-Mer e da lì, studiando i filmati delle telecamere di sorveglianza, erano risaliti a questa donna di colore con il bambino. La guardo, so che è senegalese, so che abbiamo la stessa età, la conosco così bene che mi riconosco. E così inizia l’ossessione per questa donna». Sette anni dopo (il film è del 2022, nda) Saint Omer, un’opera prima folgorante, spiazzante, cruda e vera, da aspettare (e vedere) a ogni costo.
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