MILANO – Mentre si accendevano i riflettori su Get Back, il mastodontico documentario di Peter Jackson sull’ultimo periodo del percorso dei Beatles (ve ne abbiamo parlato qui), il catalogo di Disney+ in maniera molto più silenziosa (anche troppo) offriva un’altra perla assoluta non solo per gli appassionati del gruppo, ma anche di musica in generale: McCartney 3, 2, 1. Cos’è? Una serie di sei puntate da trenta minuti ciascuna con Paul McCartney in fitto dialogo con un produttore e guru totale come Rick Rubin. I due si incontrano davanti ad un mixer ed entrano nelle pieghe della musica dei Beatles e della carriera solista di McCartney. Incontri intimi e confidenziali in cui perfino Rubin appare intimidito davanti al gigante Paul che si muove con semplicità e magia.

Ascoltare McCartney fa sembrare incredibilmente facile il percorso creativo che portò alla nascita dei più grandi capolavori della musica popolare del Novecento, ma il grande merito di McCartney 3, 2,1 – proprio grazie alla presenza di Rick Rubin – è di non limitarsi all’aneddotica ma addentrarsi nel come certe opere furono immaginate e costruite, quali gli elementi musicali che vennero stratificati fino a costituire quelle forme-canzoni entrate a far parte della vita di tutti. Rubin conduce rispettosamente e con atteggiamento deferente McCartney lungo un percorso in cui il genio creativo suo e dei suoi antichi compari John, George e Ringo si svela in modo trasparente ed onesto. E noi? Noi spettatori siamo portati dentro le singole tracce, dove si percepisce il furore creativo di ogni componente della band.

Il coraggio, la sperimentazione ma anche l’impeccabile capacità esecutiva e tecnica sono emozionanti per il pubblico, ma anche per lo stesso Rubin di cui si percepisce un sincero stupore davanti a certe intuizioni e a certe esecuzioni durante le sessioni. Così, ecco Paul McCartney – in un bianco e nero davvero potente quanto elegante – raccontare come è nata Michelle oppure Yesterday, in una visione che è un’esperienza esaltante e anche frustrante. Perché? Perché più si va in profondità nella ricerca del come nascano certi capolavori e più si rimane delusi (inevitabilmente) davanti all’impossibilità di comprendere i meccanismi creativi.

Forse l’unica rivelazione che McCartney 3, 2, 1 offre è che per un artista che parla il linguaggio universale tutto è mezzo, tutto è strumento. La fase compositiva, sia solitaria o collettiva, l’esecuzione e la registrazione sono momenti al servizio di un’esigenza espressiva ed emotiva superiore. Tutto in questa serie suona. Perfino il corpo di Paul. A volte pare un semplice strumento che entra in risonanza e trasmette la musica verso l’esterno, quasi come fosse un flusso proveniente da altrove. Una serie che ha il raro pregio di mostrare i riflessi e le ombre di quel meraviglioso, inviolabile segreto che è l’arte. Assolutamente da recuperare.
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