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Non Aprite quella Porta e quel sequel che diventa un incredibile (e annunciato) bluff

Non basta una buona messa in scena (e un buon finale) a salvare il salvabile. Da oggi su Netflix

Non Aprite Quella Porta, un sequel che sembra invece un bluff
Non Aprite Quella Porta, un sequel che sembra invece un bluff

ROMA – Operazione impossibile: concepire, realizzare e distribuire il sequel diretto di uno dei più grandi film horror della storia senza creare attorno a sé la famigerata attesa (abborriamo il termine hype), ingrediente necessario – anzi, vitale – per operazioni del genere. Certo, nel titolo non compare nessun “2”, facendo credere di primo acchito che sia solo un altro reboot, annunciato e, come detto, rilasciato abbastanza in sordina. Eppure no, che ci crediate o meno, David Blue Garcia su soggetto di Chris Thomas Devlin, Fede Álvarez e Rodo Sayagues, si è messo dietro la macchina da presa (per la prima volta) realizzando il seguito originale di Non Aprite quella Porta, arrivato su Netflix dopo l’idea embrionale di distribuirlo in sala.

Non Aprite quella Porta
I malcapitati protagonisti del film

Prima di addentrarci nell’opinione vera e propria (altro che sabbie mobili…) va detto che il Non Aprite quella Porta del 2022 ha avuto una gestazione decisamente travagliata (cambi di regia, sviluppi bloccati e via discorrendo) che, come spesso accade, non giova al risultato finale. C’è da dire pure che riportare al centro dell’attenzione un’icona come Leatherface non è affatto mestiere per novelli: con The Texas Chainsaw Massacre ci si scontra infatti con il mito capostipite degli slasher, con la violenza di una società malata costruita da Tobe Hooper, e con la brutalità ereditata dai conflitti idealistici e politici esplosi con la guerra del Vietnam. Insomma, argomenti che potrebbero essere aggiornati e rivisti – come ha fatto David Gordon Green per Halloween –, ma che mai e poi mai dovrebbero essere dati per scontati. Non siamo più nel 1973, e dunque anche la motosega di Faccia di Cuoio finisce per imbattersi in un autobus riempito (letteralmente) di influencer.

non aprite quella porta
…Cucù!

Chiaro, il tempo è cambiato e gli hippy non esistono più, ma appare di per sé già abbastanza sconveniente lasciare lo stesso identico titolo dell’originale, nascondendo dietro alla mostruosa leggenda un’operazione – a tratti – indefinibile. Partiamo dalla storia: Melody e sua sorella Lila accompagnano Dante, il loro amico chef da milioni di follower (sono interpretati da Sarah Yarkin, Elsie Fisher e Jacob Latimore) nella cittadina semi abbandonata di Harlow, nel quale dovrebbe sorgere una sorta di centro abitativo contemporaneo. Caffè letterari, fumetterie, cibo biologico, ristoranti vegani. Solo che siamo nel Texas più profondo, le tradizioni sono marcatamente diverse e gli abitanti hanno una certa diffidenza verso gli “stranieri”. Figuriamoci quelli che arrivano a bordo di una Tesla. Come se non bastasse, quel luogo vive ancora con il retaggio inquietante della mattanza avvenuta cinquant’anni prima a casa Sawyer, da cui si è salvata solo la final girl Sally, alias Olwen Fouéré, che qui riappare come una sorta di fantasma risolutivo in cerca di definitiva vendetta.

Marilyn Burns è ancora Sally nel sequel di Non Aprite quella Porta
Olwen Fouéré è ancora Sally nel sequel di Non Aprite quella Porta

Tra bandiere confederate, dirette Instagram e ammiccamenti al film di Hooper, i tre (in verità ci sarebbe anche Ruth, fidanzata di Dante ma… vabbè) finiscono per “svegliare” proprio Faccia di Cuoio, che arrivato a sessant’anni è diventato ancora più grosso e spaventoso. Capace, nonostante tutto, di riempire lo schermo con efficace disgusto. E di questo va dato atto al Non Aprite quella Porta di David Blue Garcia. Perché se da una parte si nota quanto ci sia rispetto (e ci mancherebbe) per l’universo di Texas Chainsaw Massacre, dall’altra è lampante quanto l’intero racconto non sfrutti la buona messa in scena (la fotografia è ottima e la scenografia fa il suo) perdendosi in un film incerto, che fatica a trovare la giusta prospettiva senza essere schiacciato dal titolo che ha scelto di affibbiarsi e, di conseguenza, con cui confrontarsi.

Il ritorno di Leatherface
Il ritorno di Leatherface

Non solo, il rischioso cammino intrapreso dagli autori (Fede Álvarez e Rodo Sayagues sono le firme dietro l’ottima saga di Man in the Dark) non fa nemmeno i conti (oppure lo ha fatto, ma tant’è) con la stoica inflessibilità della sconfinata fan base della pellicola originale, che qui si ritrova sotto gli occhi un sequel che, scena dopo scena – sono poche, il film dura appena un’ora e venti –, appare più come un bluff. Un inconsueto e spiazzante bluff (fatta esclusione del buon finale, beffardo e a modo suo riuscito), notevolmente arrotondato e smussato da quella potenza epica e “nostalgica” che dovrebbe possedere il sequel ufficiale di una delle pellicole più influenti, citate e studiate dell’intero cinema.

Qui il trailer di Non Aprite quella Porta:

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