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Io, Dio e Bin Laden | Nicolas Cage, una folle missione e il senso dell’America

Assurdo e reale: un film che è una fotografia dell’America. Ma perché recuperarlo in streaming?

Nicolas Cage con il suo asinello in una scena di Io, Dio e Bin Laden.

MILANO – Partiamo dall’inizio della storia: Io, Dio e Bin Laden, film distribuito molto male in Italia che trovate ora finalmente in streaming su Prime Video e AppleTV, oltre ad essere una pazzesca storia vera, è soprattutto un piccolo grande film sugli Stati Uniti. Un’esagerazione? No, perché, dietro l’apparenza farsesca, folle e sgangherata, il film di Larry Charles – che già aveva trattato una certa fetta del Paese nel controverso Borat, nel 2006, dopo l’esordio alla regia intitolato Masked and Anonymous, sceneggiato insieme a  Bob Dylan (!) – è una stilizzazione perfetta di cosa si nasconde all’ombra della bandiera a Stelle e Strisce ancora oggi (o soprattutto oggi?). Nobile per certi versi, esagerata per altri, sfrenata per altri ancora. E poi impudente ma amabile, iperbolica ma spettacolare. Epica, certo, ma pure avventata, alcune volte.

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Missione spericolata: Nicolas Cage in azione.

Così, nel film di Charles (in originale Army Of One, non a caso) la storia vera di un tale chiamato Gary Brooks Faulkner, partito da Denver, Colorado per uccidere – sì, fino in Pakistan – Osama Bin Laden, racchiude il senso stesso degli Stati Uniti. La vicenda, qualcuno lo ricorderà, venne ripresa dai giornali nel 2010, quando Gary, tuttofare edile nonché ex-carcerato, intraprese un folle viaggio per rintracciare, stanare e uccidere – a colpi di una katana comprata sui canali della TV – il leader di Al Qaeda. Per Faulkner, quello, però, non fu il primo ed unico viaggio. Per raggiungere il Pakistan, tentò varie strade (pazze ma vere), tra qui quella via mare. Ma, un po’ come Colombo, finì in Messico. Del resto, il piano gli fu chiarissimo dal 2004. Il motivo? Come da lui stesso più volte affermato – fu ospite anche da David Letterman – la missione gli fu incaricata dal boss dei boss: Dio.

Ancora Cage nei panni di Gary Faulkner.

Se non ci credete (e potrebbe essere lecito), allora la pellicola di Charles potrebbe farvi ricredere. Ne ricostruisce la vicenda, i motivi, il background. C’è colore e c’è frenesia. C’è, come detto, un parallelo – volente o nolente – con l’approccio istintivo degli Stati Uniti d’America nel ”risolvere” le situazioni. Gary, appunto, è un uomo ossessionato dal senso di giustizia. Il suo hobby, dicono i parenti, è di quelli inusuali: reagire all’orrore con una dottrina testarda e improvvisata. Repubblicano? Democratico? No, più semplicemente Gary Faulkner, ci Io, Dio e Bin Laden, è un uomo che vorrebbe essere grande (facendo qualcosa di grandioso) usando il cuore e il gesto. È palese che in lui coesiste una vena di (consapevole?) follia, tradotta alla perfezione da un Nicolas Cage che, barba lunga e capelli ancor più lunghi, conferma tutta la sua capacità versatile da grande attore, troppo spesso poco ricordata.

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Born in the USA: una scena di Io, Dio e Bin Laden.

L’esito della sua missione impossibile – di fatto terminata in diretta mondiale da un deus ex machina alla Casa Bianca – non è poi così rilevante nel film bensì è molto più ”spinto” il messaggio che, nel post 9/11, gli States, nel periodo forse più delicato della loro storia, cercavano disperatamente un eroe (o un gesto eroico) a cui potersi aggrappare. Perché – e Charles lo accenna – i tentativi della Guerra al Terrore, proclamati e urlati in tv, non hanno (mai del tutto) dato i loro frutti. Si è spinto sull’opinione pubblica, convinta che la guerra, prima o poi, avrebbe estirpato il male da quella sabbiosa terra lontana. Ecco, quindi, il motivo per cui Io, Dio e Bin Laden ricopia il senso che ha l’America per i fuochi d’artificio, con quel sogno di speranza per i better days, nonostante tutto, mai ammainato. Vedere per credere.

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