ROMA – «Te dunque, o Bonaparte, nomerò con inaudito titolo LIBERATORE DI POPOLI E FONDATORE DI REPUBBLICA. Così tu alto, solo, immortale, dominerai l’eternità, pari agli altri grandi nelle gesta e ne’ meriti, ma a niuno comparabile nella intrapresa di fondare nazioni». Così scrisse Ugo Foscolo in un passaggio della sua celebre Orazione a Bonaparte del gennaio 1802. Victor Hugo disse lo stesso e in molto più diretto: «Un uomo che sfidò Dio». Perché in fondo la storia ci racconta e ci ricorda della grandezza di Napoleone Bonaparte nella sua parabola da Ufficiale di Artiglieria a giovane Generale legato inizialmente alla fazione giacobina (e quindi al Direttorio) e poi Primo Console, Imperatore, quindi condottiero e conquistatore, genio tattico e dominatore di tutta Europa, archetipo dell’uomo di guerra vittorioso secondo solo ad Alessandro Magno.
La differenza la fece la formazione dell’esercito francese – ribattezzato napoleonico per l’appunto – innovato da Napoleone da cima a fondo. Seppe fondere nel suo sistema di guerra le innovazioni di pensatori francesi come il Conte di Guibert (Essai général de tactique, Observations sur la constitution politique et militaire des armées de S. M. Prussienne) e Jean du Teil (Manœuvres d’infanterie pour résister à la cavalerie et l’attaquer aver succès; Usage de l’artillerie nouvelle dans la guerre de campagne, connaissance nécessaire aux officiers destinés à commander toutes les armes) con lo studio analitico di grandi condottieri del passato come Federico II di Prussia con l’obiettivo di scardinare i rigidi schemi tattici delle lente e ripetitive campagne di guerra dalla tattica lineare, per far leva invece sullo slancio aggressivo e lo spirito democratico.
Con Napoleone l’obiettivo della guerra diventa la distruzione dell’esercito nemico attraverso campagne rapide con cui costringerlo a combattere in circostanze sfavorevoli. E quindi il Primo Impero Francese, la Grande Armata, le battaglie e quello che il poeta Alessandro Manzoni cantò ne Il Cinque Maggio come: «Dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno; scoppiò da Scilla al Tanai, dall’uno all’altro mar. Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza». E lo fu davvero. Non a caso a lungo rincorso dal cinema. Ancor prima dell’agognato, mastodontico e atteso Napoleon di Ridley Scott – in sala dal 23 novembre per poi approdare in streaming su Apple Tv+ – il genio napoleonico ha vissuto molte vite. La prima – e certamente più importante – è quella offertagli da Abel Gance nel 1927 con Napoleone.
La pellicola con protagonista Albert Dieudonné (Napoléon vu par Abel Gance in v.o.) racconta i primi passi di Napoleone dalla scuola militare a Brienne-le-Château – dove gestisce una battaglia a palle di neve come fosse un’autentica campagna militare – alla Rivoluzione Francese sino alla Campagna in Italia. Un’origin story insomma, a pieno titolo, specie considerando che Gance aveva concepito Napoleone come il primo capitolo di un’esalogia. Progetto narrativo ambiziosissimo poi accantonato per l’impossibilità nel sostenere i costi di produzione. La pellicola è riconosciuta come un capolavoro tecnico di movimento fluido caratterizzato di un taglio veloce, primi piani estesi e ossessivi, riprese a mano, immagini caleidoscopiche e subacquee, sovraimpressioni. In particolare nel climax dove Gance si servì della pionieristica tecnica della Polyvision. Attraverso la proiezione simulata di tre pellicole senza suono disposte su di una riga orizzontale in modo da ottenere un’aspect ratio di 4:1.
A conti fatti l’antenato del Cinerama che vedrà la luce soltanto un quarto di secolo dopo. Sforzi tecnici eccellenti al servizio del Napoleone di Dieudonné autore di una performance essenziale nel comunicare le emozioni, la determinazione e le passioni del proprio agente scenico con un semplice sguardo nel suo minutaggio monstre di 333 minuti (ottenuti da oltre 290 ore di pellicola). Negli anni, manco a dirlo, Napoleone ottenne lo status di cult assoluto grazie anche ai restauri della pellicola compiuti dallo storico di cinema Kevin Brownlow e questo nonostante alcuni critici dell’epoca videro nel film una nemmeno troppo velata propaganda Fascista. Il motivo? L’ossessione di Benito Mussolini per la figura di Napoleone e con esso il parallelismo valoriale del ruolo del duce come raccontato da Campo di Maggio, film di propaganda del 1935 di Giovacchino Forzano.
I piani di Gance per Napoleone cambiarono rispetto alla visione originale, ma andarono comunque avanti. Nel 1960 realizzò infatti La Battaglia di Austerlitz noto anche come Napoleone ad Austerlitz con protagonisti – tra gli altri – Pierre Mondy, Leslie Caron, Claudia Cardinale, Vittorio De Sica e Jack Palance che racconta della vita del Bonaparte dalla battaglia di Marengo ad Austerlitz, il suo capolavoro bellico. Eppure, nonostante la sua aura mitologica (Ridley Scott a proposito del confronto con il suo Napoleon dirà del film di Gance: «In tutta onestà non sono riuscito a superarlo») la pellicola ebbe un detrattore famosissimo, nientemeno che Stanley Kubrick: «So che è un capolavoro di invenzione cinematografica e ha portato sullo schermo innovazioni all’avanguardia e piene di inventiva, ma d’altro canto, trattandosi di un film su Napoleone, devo dire che ne sono rimasto deluso».
Kubrick che un film su Napoleone, in verità, provò pure a realizzarlo rincorrendolo per quasi un decennio. Al punto che già nel 1961, tra Spartacus e Lolita, buttò giù uno script dal titolo Napoleon, immaginato come un’epopea grandiosa di gloria e autodistruzione. Kubrick parlava delle battaglie napoleoniche come: «Bellissime, dei vasti balletti letali, di una brillantezza estetiche non richiede una mente militare per essere apprezzata». Avrebbe voluto replicarle nel modo più autentico possibile al punto che si dice sarebbe arrivato a prendere a prestito le forze armate di un intero paese pur di renderle in immagine filmica. Nel 1968, all’indomani del successo de 2001: Odissea nello Spazio, la Metro-Goldwyn-Mayer mise il progetto in pre-produzione. Per il cast si fecero i nomi di David Hemmings, Ian Holm e Jack Nicholson per il ruolo di Napoleone e Audrey Hepburn per quello di Giuseppina.
Nei successivi due anni Kubrick pianificò meticolosamente il film tra location scouting e ricerche su oltre cento saggi storico-letterari. E sarebbe anche andato in porto il suo Napoleon pur tenendo conto dei proibitivi costi di lavorazione. La differenza la fece il flop commerciale del concorrenziale Waterloo di Sergey Bondarchuk del 1970 con un cast formato, tra gli altri, da Rod Steiger, Christopher Plummer, Orson Welles, Jack Hawkins e Virginia McKenna, ovvero della ragione per cui si è dovuto aspettare oltre cinquant’anni per rivedere Napoleone al cinema. Una co-produzione Italia-Russia da 12 milioni di sterline che a conti fatti ha rappresentato il progetto della vita per Dino De Laurentiis che, esattamente come Kubrick, lo rincorse per lungo tempo. Dal 1965 per la precisione quando propose il pitch alla Columbia Pictures candeggiando John Huston alla regia.
Solo l’intervento economico (e non solo quello) della MosFilm gli permise di portare a casa il progetto: 4 milioni di sterline, ingegneri, tecnici, maestranze, 20.000 soldati e un’intera brigata di cavalleria dell’Armata Rossa. Di questo poté disporre De Laurentiis per la realizzazione di Waterloo che altrimenti sarebbe potuto costare tre se non perfino quattro volte tanto. Per ricreare il campo di battaglia i sovietici rasero due colline al largo di Uzhhorod, in Ucraina, costruirono cinque miglia di strade, trapiantarono 5.000 alberi, seminarono campi di segale, orzo e fiori di campo, ricostruirono quattro edifici storici e crearono ben sei miglia di tubazioni sotterranee per l’irrigazione. Un progetto mastodontico alla maniera del Napoleon di Scott, al punto che la stampa dell’epoca scherzò sul fatto che, in quel momento, Bondarchuk si ritrovò al comando del settimo esercito più grande del mondo.
Un novello Napoleone Bonaparte insomma. Ruolo per cui, in Waterloo, fu scelto Steiger dopo un testa a testa con Richard Burton e Peter Sellers (voluto da De Laurentiis). Nonostante la narrazione abbia assunto una posizione neutrale sugli eventi dei Cento Giorni, ragionando nell’ambito di una spiccata coralità arricchita da scene belliche sontuose e una cronologia relativamente accurata, Waterloo fu accolto con enorme scetticismo sin dall’inizio da critica-e-pubblico pur risultando, al tempo, il quinto film più atteso al box-office britannico. Il costo totale si aggirò intorno ai 25 milioni di dollari. Il risultato al botteghino world-wide mai reso noto, di molto sotto però le previsioni di incasso. Infine Ridley Scott partito proprio dallo script del Napoleon di Kubrick e ispirato dal Napoleone di Gance, di nuovo al lavoro con David Scarpa dopo il controverso Tutti i Soldi del Mondo.
Il progetto Napoleon fu annunciato da Scott esattamente il giorno di fine lavorazione di The Last Duel sotto il titolo provvisorio Kitbag (Zaino nda) derivante da una celebre aforisma di Bonaparte («Every French soldier carries a Marshal’s baton in their knapsack/Ogni soldato francese porta nello zaino il bastone di un maresciallo»), poi passato a Marengo in onore dell’omonima battaglia presente nel film, e nato dall’attrazione magnetica di Scott verso il leggendario condottiero: «Napoleone è un uomo da cui sono sempre stato affascinato. È uscito dal nulla per governare tutto e per tutto il tempo ha condotto una guerra romantica con la moglie adultera Joséphine. Ha conquistato il mondo per cercare di conquistare il suo amore e, quando non ci è riuscito, l’ha conquistato per distruggerla, e nel farlo si autodistrusse». Ovvero il cuore della narrazione storico-kolossale di Scott.
Raccontare l’indomabile Napoleone come un eroe romantico. Facile quando hai Joaquin Phoenix in formato Oscar e soprattutto inedito. Lungo il dispiego dell’intreccio di una narrazione colossale, dalla scansione lineare impropriamente episodica e scandita dalle macrosequenze di Tolone, Austerlitz, Marengo, la Campagna di Russia e Waterloo di assoluto rigore registico, il suo Napoleone viene progressivamente asciugato dell’abituale aura di eroe di guerra glorioso, inossidabile e tutto d’un pezzo nella sua componente caratteriale, per esserci infine restituito come fragile, terreno, umano, tanto megalomane quanto dubbioso e terrorizzato, manipolato e manipolatore. Stretto nella morsa della sua Giuseppina (una straordinaria e diabolica Vanessa Kirby) in un rapporto di amore e odio, potere e controllo, ragione, sentimento e dipendenza. Una pellicola fatta di grandezza, Napoleon, che aspira e che richiede grandezza e nobiltà di sguardo (critico e non).
Certo, le licenze poetiche, i riadattamenti storici per le necessarie ragioni drammaturgiche, un montaggio di peso, ritmico, che a volte non sembra dare il giusto respiro alle componenti – fino a costringerle – nei 158 (corposi) minuti licenziati dalla Theatrical Cut. Ed ecco il punto di Napoleon: non sembra bastare quel minutaggio. Perché nella realtà di un mondo narrativo così denso, intenso, stratificato e maestoso (le ricostruzioni delle sequenze belliche sono semplicemente impressionanti) fatto di epica e umanità, l’occhio si perde e si ritrova nei dettagli e nei colori delle composizioni d’immagine ricercate e variopinte rese dipinti in movimento dalla cura e la dedizione di un ispirato DoP Darius Wolski. Da qui l’attesa frenetica per l’annunciata Director’s Cut da 240 minuti su cui il regista ha fatto chiarezza a proposito dell’effettiva distribuzione in streaming su Apple TV+.
«Ci sto ancora lavorando. Siamo ancora sulle 4 ore e 10 minuti. Quando verrà distribuita la versione cinematografica e quando la finestra di programmazione nelle sale sarà terminata, la Director’s cut sarà disponibile in streaming. Avremo un film di circa quattro ore» di cui immaginiamo già una maggiore organicità e tutti quei momenti rimasti tagliati fuori dalla Theatrical. Quel che importa però è che Napoleon è arrivato. Un kolossal magnificente, il ritorno in grandissimo stile del cinema di Ridley Scott per uno dei film-evento dell’annata cinematografica che – al pari dello straordinario Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese – conferma la bontà d’intenti artistici degli Apple Studios che – piaccia o meno – è sempre più imprescindibile presenza del panorama industriale hollywoodiano.
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Qui sotto potete vedere il trailer del film
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